Feldenkrais e pomodori

Oggi ho preparato un condimento per gli spaghetti. Cercavo un gusto particolare che mi è venuto in mente passando davanti alla pianta di alloro in giardino. Ne ho raccolte due foglie, le ho messe in una padella assieme a un po’ di olio, una cipolla, dei pomodorini e un peperone. Fiamma abbastanza alta.

Mi piace cucinare senza ricette. Inseguendo una sensazione. Immagino un gusto, una consistenza, ogni tanto assaggio, ma più che altro guardo. Guardo gli ingredienti che si trasformano sotto l’azione del calore e ne immagino il gusto in quel momento.

Mi piace il nostro motore di simulazione. Gli puoi dare in pasto di tutto, applicarlo alle cose più disparate e lui risponde con delle sensazioni. E impara. Sbaglia, spesso, e impara.

Nel residenziale di Feldenkrais Silvia ci ha spinti a provare a fare la verticale sulla testa. Ci riuscivo da giovane, ma a quest’età e a questo livello di peso non ci avrei mai provato. Alla fine il lavoro preparatorio a cui Silvia ci ha indirizzati mi ha convinto a tentare. Tutti quegli esercizi sul piegare la spina dorsale in tutti i modi possibili sono diventati risorse utilizzabili per questa sfida.

Intanto la padella si è riempita d’acqua, emessa dai pomodorini e dal peperone. Ho alzato la fiamma per farla consumare.

Non ce l’ho fatta a fare la verticale. Ma sono riuscito a stare una manciata di secondi con le ginocchia poggiate sui gomiti e il peso sostenuto solo da mani e testa. Ne vado già orgoglioso. Forse con qualche altro giorno di lavoro ci sarei riuscito a sollevare del tutto le gambe.

Non sarei arrivato neanche a questo risultato, in effetti, se non fosse stato per il motore di simulazione. Ero abbastanza depresso, dopo tanti tentativi che si scontravano con un dolore alle mani e alle braccia che si rifiutavano di reggere tutto quel peso. A quel punto Silvia ha suggerito di fermarsi e immaginare cosa avrebbe dovuto fare la spina dorsale per tirarsi su. Immaginare la situazione finale, immaginare il movimento per arrivarci.

Nel Feldenkrais lo si fa spesso. Immaginare un movimento prima di farlo. Immaginarlo nei dettagli e poi farlo davvero. E rendersi conto delle differenze tra come te l’eri immaginato e la realtà.

L’acqua dei pomodori si è abbastanza asciugata. L’acqua della pasta bolliva. Troppo presto. Ne ho aggiunta un po’ di fredda e ho abbassato la fiamma. Ho aperto la scatoletta di sgombri e l’ho aggiunta alle verdure. Gli sgombri erano essenziali per il gusto che avevo in mente, era un gusto che aveva a che fare col mare. Forse qualcosa che avevo mangiato tanto tempo fa.

Il movimento immaginato è stato illuminante. Uno degli esercizi fatti a terra era proprio di raddrizzare la colonna vertebrale come serviva qui. Lo facevamo sdraiati su un fianco, ma la sensazione era quella. Ad un certo punto il peso sulle mani è diventato più sopportabile e anche il secondo ginocchio si è sollevato. Euforia per il traguardo raggiunto, ma soprattutto presa d’atto che la sensazione immaginata era simile a quella sperimentata.

Gli sgombri si sono frantumati tra la verdura. La fiamma molto alta comincia a bruciare qualcosa, devo mescolare con più attenzione. Butto gli spaghetti, la scatola dice 9 minuti. Il gusto del condimento lo immagino già buono ora, abbasso la fiamma per farlo addensare ancora un po’, immagino un gusto più yang.

La parola residenziale riferita ad un corso non l’avevo mai sentita. In pratica significa che vivi dove si tiene il corso, e che al posto di fare una lezione alla settimana ne fai tre o quattro al giorno.

E non si può sfuggire. Un giorno dopo un buon pranzo innaffiato da un ottimo Pigato ero andato a riposarmi in camera e mi ero addormentato. Lory è venuta a svegliarmi perché la lezione era già iniziata. A parte questo episodio il ritmo è piacevole.

E sono piacevoli le persone.

Non ci conoscevamo tutti. All’inizio c’è sempre un po’ di, non dico diffidenza, ma riservatezza reciproca. Ma passa rapidamente. Dopo un paio di giorni sembrano tutti amici di vecchia data.

La pasta è cotta. Dopo 9 minuti era cruda, l’ho lasciata ancora un po’. Scolata, buttata in padella assieme al resto e continuato a mescolare a fiamma alta per un altro paio di minuti. Spento la fiamma, aggiunto un cucchiaino di patè di olive, nel gusto che inseguivo c’era questa punta di aspro, e impiattato.

Il titolo del corso era relativo alla camminata fluida. Di cose direttamente legate al camminare ne abbiamo fatte poche. Un esercizio all’inizio, e alla fine, in cui provavamo a camminare tenendo una bacinella in bilico sulla testa e la lezione in spiaggia sul contrarre in modo ritmico le due diagonali spalla-anca. Bella la lezione in spiaggia dopo il bagno.

Il resto delle lezioni è stato più su vari modi di cadere e sulla verticale. Eppure alla fine col camminare c’entrava. Per qualche strano motivo la camminata, parlo della mia, più fluida lo è diventata.

L’esperimento culinario alla fine non è riuscito del tutto. Gli spaghetti erano molto buoni, ma il gusto che avevo in mente era un po’ diverso. Riproverò.

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Una sera del corso, cercando di filmare le tantissime lucciole.

3 risposte a “Feldenkrais e pomodori”

  1. “Se non vedo una foto di te a testa in giù, non credo”
    (cit. Tommaso).

    PS: nel video delle lucciole, ad un certo punto mi sembrava di vederne due ENORMI che ti venivano addosso! 😀

    1. Verrà sicuramente ricordato come uno dei miracoli del Camino. Chiuderanno qualcuno in una gabbia dentro una chiesa a cucinare tutto il giorno a testa in giù durante le funzioni 😂

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