Credo

Si parla molto, in questi giorni, del Credo di Matteo Salvini. Lo si critica per aver usato questa parola come logo per la sua campagna elettorale. La critica sottolinea in genere la mancanza di quelle certezze che, secondo i critici, dovrebbero indirizzare il pensiero di un politico.

In effetti non mi è chiaro perché Salvini l’abbia scelta. Probabilmente, dal suo punto di vista, è solo un richiamo familiare all’elettorato cattolico conservatore. Mi auguro non voglia richiamare anche il “credere, obbedire, combattere” dei motti fascisti.

In ogni caso, aldilà delle motivazioni salviniane, a me questa parola applicata alla politica piace.

Credere, sia in campo religioso che nella prosaica vita quotidiana è il risultato di un’elaborazione inconscia. Di fronte a problemi troppi complessi per arrivare ad una decisione razionale il nostro cervello non rinuncia e ci propone un risultato non verificabile, un risultato fatto di sensazioni. Anche la decisione razionale si manifesta alla coscienza come sensazione, ma ci permette di smontarla, seguirne i passi logici. Quella istintiva no, al massimo è accompagnata da una sensazione di probabilità, ci comunica in qualche modo il suo grado di certezza, o meglio, il suo rapporto costi benefici.

credo teologico

Se ci poniamo le domande importanti, quelle che riguardano il perché esistiamo, se la vita abbia un significato, cosa sia la coscienza e che ruolo abbia, la nostra mente ci propone, tra le altre risposte, la possibilità dell’esistenza di un assoluto, di un intelligenza al di là di noi. Magari queste risposte sono influenzate dalla scienza, dalla tradizione che ci ha educati. Ma ragionare su queste cose è la sfida più ardua per la ragione. Le uniche risposte, positive o negative, sull’esistenza di questa super intelligenza ce le dà l’intuito. E quindi crediamo o non crediamo in un Dio. Niente certezze, solo sensazioni di probabilità.

Le religioni tendono a trasformare questa sensazione in certezza, in atto di volontà, atto di asservimento a questo super essere, ma fanno, in questo, una mossa falsa. Il dubbio è l’unica fonte di energia spirituale sensata. La molla che può spingerti a cercare costantemente prove, la molla che ti fa cercare Dio continuamente, non dandolo per acquisito una volta per tutte. Senza dubbi la Fede si trasforma in crociate, “il mio Dio è meglio del tuo”, “il mio Dio è l’unico possibile”.

credo politico

I problemi che affronta la politica sono sempre complessi. Più complessi di quanto la nostra mente razionale è in grado di sbrogliare. Semplicemente non abbiamo abbastanza dati per sapere con certezza cosa funzionerà e cosa no.

Le dottrine economiche sono sempre delle scommesse, e i proponenti sono inclini a sostenerle più per il grande potenziale guadagno che vedono per se stessi o la classe di persone rappresentata, che per la certezza del risultato.

Liberalismo e comunismo, ad esempio, sono entrambe ricette per un mondo migliore. Se entrambi funzionassero penso non ci sarebbe una grossa differenza, per un cittadino medio, a vivere in una società governata dall’una o dall’altra ideologia. Il problema nasce quando la scommessa non funziona: in un capitalismo sfrenato avremo pochi ricchi agiati a spese di una massa di gente in sofferenza economica, in un comunismo immaturo avremo una massa di burocrati che vive alle spalle di tutti gli altri.

Sono credi, comunque. Fedi irrazionali.

È una fede quella che vuole autoritarismo, l’uomo forte. Chi ci garantisce che saprà fare le scelte giuste ?

È una fede la democrazia diretta, o anche la democrazia tout court. Non sappiamo se la gente avrà l’impegno per partecipare, informarsi e prendere decisioni sensate.

È una fede il sovranismo. Come si può essere sicuri che non staremmo meglio cedendo sovranità a organismi più grandi ?

Ed è una fede anche essere moderati e riformisti. Chi può dire con certezza che decisioni azzardate e potenzialmente destabilizzanti non possano produrre alla fine buono risultati?

Quindi gettiamo la spugna ? Tanto è tutto uguale, inutile prendersela calda per un’idea ?

Certo varrebbe la pena di smorzare i toni. Anche qui un po’ di sano dubbio sulle proprie convinzioni non guasterebbe. Ma, in fondo, l’unico modo di verificare se un’idea funziona è provare ad implementarla. Cercare di coinvolgere altri su una possibile idea la mette anzitutto alla prova della coscienza collettiva, se in tanti ci credono non deve essere poi malaccio.

tifo

L’unica cosa a cui starei attento, anche qui, sono le crociate. La politica sembra sempre più una questione di squadre, vedo pochissime persone disposte a sentire davvero le idee degli altri, la sola idea di votare qualcuno che “è stato della parte avversa” è impensabile per molti. Ci si rinfaccia a vicenda di essere di destra o essere di sinistra, come se se uniche possibili soluzioni al problema politico fossero quelle inventate nell’800. Quelli che sfuggono a questa dicotomia si irrigidiscono su questioni di simpatia/antipatia.

E invece la mobilità, la velocità di incrocio e propagazione delle idee è fondamentale per trovare in fretta quelle migliori (i virus a RNA insegnano).

Credo dovremmo impegnarci tutti a vagliare sia le idee che le persone sulla base dei risultati ottenuti. Cosa non facile, ma nemmeno impossibile, almeno quel tanto che basta per dire “per questa elezione Credo”.

Campagna elettorale

guerra

Già il nome campagna è fastidioso. Sa troppo di bellico, di conquista. Tutto il lessico intorno poi gira intorno alla guerra: alleanze, nemici (quando va bene avversari), tattiche, strategie, corsa per il potere, tutto un noi contro loro.

La democrazia finisce per diventare un modo per imporre le proprie regole agli altri. Dovrebbe essere invece un modo per trovare tutti insieme le soluzioni migliori per vivere meglio insieme, per progredire.

coalizioni

Da questo peccato originale discendono tante cose, secondo me sbagliate.

Le coalizioni per esempio. Sento dire da più parti: “Questa legge elettorale obbliga alle coalizioni”. E non è assolutamente vero, non obbliga nessuno.

Fare una coalizione tra partiti che non sono d’accordo su quasi niente significa semplicemente creare ingovernabilità. Significa sottrarre la democrazia dai cittadini e renderla oscura, maleodorante. Le decisioni vere saranno prese da qualche altra parte, non dai cittadini che votano, che verranno usati semplicemente come pallottole in una guerra tra potenti a colpi di slogan, paure e tifo.

destra

Ha iniziato la destra, forte delle previsioni nei sondaggi, a mettere insieme tre partiti con visioni assolutamente divergenti su cose fondamentali (presidenzialismo, autonomie, economia, politica estera). A questo punto gli altri partiti avrebbero potuto presentarsi semplicemente con le loro proposte e farsi forti proprio della denuncia di questa coalizione raffazzonata. Se ognuno degli altri avesse avuto il coraggio di presentarsi con la propria identità ben precisa, con proposte concrete e tutti insieme si fossero vantati di opporre chiarezza a inciucio, proposte concrete a proclami fumosi, credo sarebbe stato meglio. Penso che i cittadini avrebbero premiato la scelta, e, se così non fosse stato, avrebbero potuto fare un’opposizione più limpida e avere più chances la volta seguente.

l’argomento Armageddon

Eh, ma la destra distruggerebbe l’Italia

Penso che il nostro Paese sia più robusto di quello che si crede. Il PNRR ha messo l’Italia su binari da cui è difficile uscire. Penso che un governo gestito da una destra come questa possa fare dei danni, ma non irreparabili.

Invece i danni, gravi, li fa questa coalizione alternativa. Azione, PD e sinistra radicale non riuscirebbero a governare insieme, e la gente lo sa. Possono anche riempirsi la bocca di “Agenda Draghi” (e già lo slogan è messo in discussione dall’ultra sinistra e declinato con aggiunte divisive dal PD) ma non riuscirebbero a metterla in pratica.

Ma intanto vinciamo e blocchiamo la destra

Non ce la farai ! Dai solo ossigeno a chi è vittima di determinate paure. E quelli delusi dalla politica, quelli che si sentono (forse con delle ragioni) vittima di una Casta autoreferenziale, che protegge gli interessi dei privilegiati a vario titolo, continueranno a non votare, o a votare le posizioni più estreme, non importa quanto credibili. Mentre, almeno in parte, potresti dare loro una alternativa credibile presentando un ventaglio di proposte articolate.

scelta incivile

Dire “è colpa della legge elettorale” per giustificare il fatto che fai un’ammucchiata perché la fanno a destra è l’esatto equivalente del buttare la carta per terra perché vedi altri farlo. In quel caso ragioneresti diversamente (almeno molti di noi). Sugli atteggiamenti incivili sembra che abbiamo raggiunto una forma di maturità che nelle scelte politiche ancora ci manca.

paura

Le scelte dettate dalla paura non sono mai buone. Vorrei dei politici capaci di comunicare entusiasmo, non paure. Capaci di proporre visioni e aspettarsi che la gente entri in risonanza con loro. E invece ci ritroviamo con agitatori di spauracchi.

speranza

Per fortuna (e spero continuino su questa linea) Italia Viva sta facendo una scelta diversa e voterò per loro. Che superino o meno lo sbarramento (spero di sì), che risultino o meno determinanti nel governo (sono abbastanza sicuro lo saranno) sarò contento di aver sostenuto chi si è dimostrato maturo anche in questo tipo di scelta.

Carlo Rovelli e la guerra

creato da Midjourney in base al testo "Machine gun shooting at the Constitution"
creato da Midjourney in base al testo “Machine gun shooting at the Constitution”

Rovelli

Nelle ultime settimane ho visto rimbalzare diverse volte sui social questa riflessione di Carlo Rovelli sulla guerra in Ucraina.

Rovelli sottolinea l’ipocrisia dell’Occidente nell’ammantare di

belle parole: democrazia, libertà, rispetto delle nazioni, pace, rispetto della legalità internazionale, rispetto della legge

la decisione di intervenire contro l’invasione perpetrata dalla Russia ai danni dell’Ucraina, quando è chiaro che l’Occidente

non vuole una soluzione, vuole fare male alla Russia.

Penso che Rovelli abbia ragione. Nell’articolo cita numerosi esempi del comportamento dell’Occidente che evidenziano la nostra impostazione imperialista.

Rovelli ha ragione su tutto questo, ma non trae conclusioni esplicite. Non dice, ad esempio, che dovremmo cessare gli aiuti militari a Zelensky. Si può pensare che lo dica implicitamente, e, immagino, che chi ha riproposto questa riflessione la intenda in questo senso.

Io sul trarre questa conclusione non sono d’accordo.

Harari

Yuval Noah Harari, nel suo bellissimo Sapiens, parla degli imperi come di una delle forze che hanno contribuito, nel corso almeno degli ultimi 2500 anni a organizzare l’umanità in insiemi sempre più vasti.

Queste unificazioni sono costate lacrime e sangue. Sono avvenute attraverso lo sterminio di intere popolazioni, attraverso l’oppressione, le deportazioni, i genocidi. Se pensate che queste non siano belle cose sono d’accordo con voi, ma questo è quello che è stata l’umanità fino ai nostri tempi, e la storia recente dimostra che non ne siamo ancora usciti.

A fronte di questa moneta di orrore con cui abbiamo pagato la nascita e la prosperità degli imperi abbiamo ricavato dei benefici non da poco. Ogni volta che un impero ha invaso una popolazione è avvenuta una fusione di due culture. L’insieme più grande che ne è nato viene salutato dalla Storia in modo positivo. L’impero che impone una lingua comune a tutti i suoi territori pone le premesse per la nascita di una civiltà migliore per tutti. Gli scambi, anche culturali, i commerci, le strade, l’arte, il benessere economico generale finiscono per guadagnarci.

guerre

La sensibilità comune, soprattutto nel mondo occidentale, si era illusa negli ultimi 70 anni di aver eliminato la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Questa illusione è stata in gran parte frutto dell’ipocrisia denunciata da Rovelli, perché le guerre ci sono state eccome, Rovelli ne cita parecchie, e molte sono state condotte dall’impero Occidentale.

La minaccia dell’escalation nucleare ha di fatto imposto questa ipocrisia. Non sono stati più possibili scontri diretti tra i grandi blocchi, ma quelli striscianti hanno continuato ad esserci, sia durante la guerra fredda che dopo la caduta del Muro.

Il fatto è che gli imperi ci sono ancora e noi facciamo decisamente parte di uno di essi, il blocco occidentale. E fuori dai nostri confini ci sono altri imperi: quello Russo e quello Cinese, che potremmo considerare sull’orlo di fondersi, e altri minori.

È implicita negli imperi la tensione a prevalere, a fagocitare gli altri. Non è possibile negare questa realtà. Queste tensioni non cesseranno finché in qualche modo tutta l’umanità sarà sotto il controllo di un unico governo. E dobbiamo augurarci che questo, in un modo o nell’altro avvenga in fretta, perché problemi come la crisi climatica o lo spreco di risorse si possono affrontare solo a quel livello.

Sarebbe bellissimo essere capaci di arrivarci in modo dolce, senza l’uso della violenza, attraverso la diplomazia, la globalizzazione economica e culturale, attraverso la politica. Ma se guardiamo anche solo all’Italia, alla difficoltà di cedere sovranità da parte delle regioni allo stato centrale, alle continue spinte localistiche, è chiaro che non siamo ancora pronti per andare in quella direzione.

per quale impero tieni ?

Forse è il caso che ognuno di noi si chieda, a questo punto, di quale impero preferirebbe far parte. O almeno di chiedersi quale impero abbia le migliori probabilità di vincere, perché anche questo è un criterio: trovarsi dalla parte sbagliata della Storia implica dover ammettere un giorno di aver rallentato il processo di unificazione.

Gli imperi di oggi non coincidono necessariamente con collocazioni geografiche. Oggi, grazie alla globalizzazione diventa tutto un po’ trasversale. Forse addirittura in ognuno di noi convivono due o tre prospettive alternative.

l’impero Occidentale

Da una parte abbiamo l’impero Occidentale, che promette un sistema in cui le scelte sono, in qualche modo, espressione dei cittadini, in cui gli individui sono tutelati nei confronti del potere centrale, in cui il vero potere non è detenuto da qualche persona, ma da un insieme di regole, una Carta Costituzionale, a cui tutti sono tenuti ad adeguarsi. Carta derivata da Principi inderogabili.

Un sistema, soprattutto, in cui c’è libertà di espressione, in cui non si viene arrestati per motivi ideologici, per aver espresso posizioni critiche verso il potere.

Non è privo di difetti.

Da una parte c’è quello denunciato da Rovelli: l’ipocrisia. Le cose non stanno nei termini ideali enunciati sopra. Quei Principi non sono praticamente rispettati, i cittadini non partecipano, i governanti sono una Casta che si ammanta di paroloni per fare scelte in gran parte tese ad alimentare i privilegi di chi sta al potere e degli amici suoi.

Dall’altra quei Principi stessi rendono il sistema molto fragile:

    • l’estrema libertà di espressione rischia di far prevalere posizioni di intolleranza che vanno espressamente contro gli stessi Principi democratici. La libertà di espressione rischia di demolire il castello.
    • la difficoltà di mediare posizioni diverse provoca rallentamenti e impasse, un sistema democratico è sicuramente meno agile ed efficiente di uno autoritario. Le minoranze restano scontente, ma anche la maggioranza non vede spesso grandi benefici a causa delle decisioni lente e poco nette. Questo scontento alimenta poi il punto precedente e il tutto rischia di cadere. Una democrazia vera è difficilissimo tenerla in piedi. Richiede una grande maturità dei cittadini, che devono veramente adorarla in quanto tale per farla funzionare. E spesso non è così. Tra l’altro è il motivo per cui non la si può imporre.

gli imperi fascisti, come Russia e Cina

Sulla carta anche questi sono sistemi democratici. In questi paesi si vota e si eleggono i governanti. Il fascismo nasce sempre da una democrazia che non funziona.

Il punto fondamentale a cui si è rinunciato è quello della libertà di espressione. Dove si può essere arrestati per aver espresso posizioni antigovernative (come nel caso di Alexei Navalny) l’ipocrisia democratica viene eretta a sistema. Si possono conservare le forme esteriori della democrazia, ma di fatto viene creato un sistema in cui chi è al governo fa quello che crede, il consenso viene acquisito con la violenza e la corruzione.

Sono sistemi sicuramente più stabili, il potere ha tutti gli strumenti per perpetuarsi. Sono sistemi più agili nelle decisioni. Hanno anche loro necessità di mediare, non più con i cittadini, ma con le oligarchie corrotte che lo sostengono e con la necessità di finanziare le loro inefficienze.

In genere crollano per eventi esterni, o per decisioni avventate dei leader o soffocati dalle difficoltà economiche provocate dalla corruzione.

neutralità

C’è una terza scelta rispetto allo schierarsi con un mondo o con l’altro: restare neutrali. Scegliere di ritagliare il proprio paradiso (che spesso diventa anche paradiso fiscale). Tagliare i legami e rimanere equidistanti da tutti. Difficilissimo riuscirci. Chi ce la fa finisce per diventare una specie di parassita globale. Non è una scelta che caldeggerei.

Credo che sia latente, inconscia, in chi assume una posizione non interventista.

condizionatori o guerre ?

È inevitabile che l’impero Occidentale abbia mire espansionistiche ? E, se così è, condividiamo questa scelta ?

Nel caso dell’Ucraina la scintilla che ha scatenato l’invasione Russa è stata la decisione di un governo sovrano di aderire spontaneamente alla Nato. Non la si può necessariamente vedere come una manovra espansionistica dell’Occidente. Ma ci sono stati sicuramente casi in cui queste manovre ci sono state. Il voler imporre la democrazia nei paesi arabi è sicuramente stato un mascherare con belle parole l’accaparramento di risorse energetiche, e molti dei casi citati da Rovelli sono dello stesso tipo.

Si è trattato di decisioni democratiche ? I cittadini occidentali hanno davvero deciso di aggredire altri paesi per pagare di meno la benzina ? Forse non proprio direttamente e coscientemente, ma direi che la risposta è sì.

L’impero Occidentale ha abituato i suoi cittadini ad un tenore di vita superiore a quello medio nel resto del mondo, ed è molto difficile per le forze politiche che si rendono conto di questo squilibrio, e ambirebbero a calmierare questo scompenso, essere elette. È già difficile tenere in piedi la democrazia, costruire una democrazia illuminata che ragioni tenendo conto dei problemi di tutto il mondo lo è ancora di più. Anche se sarebbe l’unico mezzo per arrivare in modo non violento ad un governo mondiale.

La reazione negativa di molti alla battuta di Mario Draghi

Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?

è esemplificativa di questa difficoltà.

Secondo me bisogna lavorare per costruire questo tipo di maturità e sensibilità, ma finché questo percorso non avrà dato i suoi frutti non possiamo che accettare questi episodi.

Le alternative possibili/reali sono molto peggio.

Quelle Cinque Stelle

Photo by Clay Banks on Unsplash
Photo by Clay Banks on Unsplash

Morning

Nella puntata di Morning, il podcast de Il Post condotto da Francesco Costa, di stamattina c’è una bellissima introduzione che parla del fenomeno Movimento Cinque Stelle. Sentitela, credo valga da sola l’abbonamento.

L’introduzione tenta un bilancio dell’avventura di questo movimento, facendo notare che, comunque la si pensi nel merito dei temi proposti e delle scelte fatte, è stato senza dubbio un successo politico. Nell’arco di quindici anni, che è molto poco rapportato ai tempi in cui normalmente un partito riesce a incidere sulla società, sono riusciti a proporre all’elettorato una serie di questioni, a farsi votare, e a realizzare soluzioni concrete a quei problemi. Soluzioni richieste da chi li aveva votati. Sono stati un esempio di democrazia che ha funzionato.

svecchiamento

Tra i temi portati avanti dal movimento viene citato lo svecchiamento della politica, l’ingresso di tanti giovani in parlamento. È un tema molto caro a Francesco che ce l’ha un po’ coi boomers. Essendo io un boomer condivido poco l’entusiasmo su questo, ma il ricambio generazionale è effettivamente avvenuto, non solo nei cinque stelle: hanno obbligato di fatto gli altri partiti a seguirli in questo.

lotta ai privilegi

Altro tema citato è la lotta ai privilegi della casta. E anche qui i successi sono sotto gli occhi di tutti, dal taglio dei vitalizi, alla riduzione dei parlamentari, ai tagli ai finanziamenti all’editoria. Su tutte queste cose si possono avere opinioni diverse, personalmente condivido alcuni dei dubbi, credo si sia esagerato un po’, ma è innegabile che ci fossero privilegi, inefficienze e incrostazioni che andavano per lo meno curate.

i temi ambientali

Su altri temi, soprattutto ambientali, hanno avuto meno successo. Su TAV, TAP, trivelle e termovalorizzatori sono riusciti a incidere meno. Per fortuna secondo me, perché le proposte erano irrealistiche e avrebbero distrutto senza proporre niente di concreto e funzionante come rimpiazzo.

reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza, cito ancora Morning, è stato il loro successo principale. Anche qui, penso sia stato implementato molto male e voterò per la sua abolizione al referendum proposto da Renzi. Ma il tema dell’aiuto a chi è in difficoltà era reale, e andava affrontato, come quello del lavoro. Eventuali revisioni di questa legge non potranno non tenerne conto.

Morning conclude questa riflessione dicendo che quella a cui stiamo assistendo oggi, la polverizzazione del Movimento, è dovuta al fatto di aver esaurito il loro compito storico e non essere stati capaci di inventarsene un altro.

democrazia diretta

Mi spiace che Francesco non abbia citato il tema che, personalmente, ritengo più centrale nella proposta dei 5S, il cambiamento delle forme del fare politica, del fare democrazia: la democrazia diretta.

Ho seguito il blog di Grillo praticamente da quando è nato. Ho anche votato M5S alla prima tornata e me ne sono immediatamente pentito quando ho visto la masnada di scimmie urlanti che avevamo eletto. Resto però convinto che il concetto in sé di democrazia diretta, non fosse sbagliato.

Oggi i progressi tecnologici permetterebbero di avere luoghi virtuali in cui ai cittadini sia permesso anzitutto di approfondire, poi discutere e infine deliberare sulle macro scelte. Il day by day, il decidere sulle questioni pratiche, va comunque gestito da qualcuno che faccia politica a tempo pieno. E questo qualcuno deve essere un professionista, non uno scappato di casa, deve aver avuto una formazione adeguata. Il limite ai due mandati è una cura da cavallo a un problema che merita soluzioni più intelligenti, quello di evitare gli incancrenimenti che un esercizio prolungato del potere inevitabilmente produce.

Ma la democrazia diretta è l’unico modo di far decidere ai cittadini

    • se sia meglio tassare di più i redditi da lavoro o quelli da capitale
    • se si debbano considerare i migranti una risorsa o un pericolo
    • se lo stato debba intervenire o meno sui temi etici: aborto, eutanasia, orientamento sessuale
    • se sia necessario liberalizzare o meno i taxi, le droghe e quali, o la prostituzione
    • se lo stato debba essere laico o finanziare enti e scuole religiose
    • che tipo di alleanze internazionali si voglia cercare e che visione geopolitica del mondo si voglia partecipare a costruire
    • che tipo di soluzioni ai problemi energetici sia meglio: spegniamo i condizionatori o finanziamo dittatori in giro per il mondo ?, non è una battuta
    • e decine di altri.

Il fatto è che, sicuramente con delle ragioni, abbiamo paura di far davvero decidere su queste cose alla gente (io stesso avrei delle remore).

E qui, secondo me si arriva al vero motivo per cui l’esperimento 5S è fallito. Prendiamola un po’ larga: chi sono i 5S ? Anzi, chi sono i partiti in generale ?

Anzitutto sono un’idea di fondo, un manifesto, una proposta. Poi un gruppo di persone che decidono di investire tempo, denaro, energie e passione lavorando perché questa idea di fondo sia presentata all’elettorato e infine gli elettori stessi che decidono se investire il loro quantum di potere su questa proposta.

Nel caso dei 5S il manifesto è stato inizialmente redatto da Beppe Grillo e poi rifinito sul sistema informatico messo a disposizione da Casaleggio. Il gruppo dirigente si è auto-organizzato intorno a questa piattaforma e per qualche strano motivo, che credo abbia sorpreso anche loro, hanno avuto un grande consenso elettorale. Dico che il motivo debba essere stato non ovvio perché chi ha votato 5S senza partecipare alla forma di democrazia diretta che veniva offerta non ha evidentemente capito per cosa votava. Il senso del movimento era essenzialmente lì.

I 5S, almeno inizialmente, non si sono proposti come l’ennesimo partito, un’altra delle numerose offerte politiche a scatola chiusa che vengono presentate agli elettori. Questa volta i contenuti potevi partecipare a metterceli. Ma pochissimi l’hanno fatto. Intorno alle 50000 persone hanno aderito alla piattaforma contro otto milioni di elettori nel 2013, e pochi degli aderenti hanno partecipato alle votazioni, e pochissimi hanno partecipato alla discussione o proposto contenuti.

È passata l’idea che la democrazia diretta fosse una forma di antipolitica. Di fatto l’antipolitica è stata la mancanza di partecipazione a questa embrionale forma di democrazia diretta. Quest’ultima è stata ridotta a barzelletta dal fatto di aver mandato in parlamento un branco di persone incapaci e piene di slogan, votati da pochissime persone (parlo dei voti sulla piattaforma). Il voto massiccio al Movimento rappresentava un grosso Vaffanculo alla casta, e forse non è poco, ma c’erano le premesse perché fosse molto di più.

maturità

Le cose avrebbero potuto andare diversamente. Provate a immaginare uno scenario di questo tipo:

    • Grillo pubblica le sue idee, lancia la proposta, crea, assieme a Casaleggio, la piattaforma su cui interagire
    • Tante persone, diciamo un quinto di chi ha votato 5S, si riconosce nella direzione della proposta e partecipa a raffinare l’idea, proporre ed eleggere i candidati

A questo punto i candidati non sarebbero stati il meno peggio degli scappati di casa, ma gente filtrata tra un insieme di persone molto ampio e votata da un insieme ancora più vasto. Avremmo potuto avere in quel movimento politici più adeguati.

Avendo questi eletti sperimentato sulla propria pelle che il metodo funzionava ci saremmo potuti aspettare che la prima proposta politica fosse di offrire a tutta la popolazione questo strumento di democrazia. Una piattaforma di interazione politica a livello nazionale, gestita dallo Stato, con identità digitale verificata e via dicendo.

Sarà per la prossima volta. Con un elettorato più maturo.

Come si dovrebbe eleggere il presidente della Repubblica

(O qualsiasi altra carica dello stato)

Non so voi, ma io ad assistere in tv allo spettacolo del parlamento immobilizzato giorni o settimane per l’elezione del presidente mi intristisco.

Siamo nel 2022, non è possibile che si voti ancora con schede di carta, su cui si può scrivere nomi che non hanno nessuna garanzia di individuare senza ambiguità una persona, con la successiva conta fatta a mano. Ieri ci hanno messo 5 ore. Intanto il paese è paralizzato, non prendiamo decisioni di politica estera in un momento critico e l’attività legislativa è congelata.

E quindi, caro Parlamento, visto che non ci arrivi, ti detto il nuovo regolamento.

Regolamento per l’elezione

  1. L’elezione si svolge in una giornata. Alla fine della giornata si avrà il nome della persona eletta. Se questo non avviene si manda a casa il Parlamento.
  2. L’elezione avviene in cinque fasi, distribuite ad ore precise nell’arco della giornata.
  3. Dispositivi
    1. La procedura è supportata da un sistema informatico locale.
    2. Il sistema è composto da un server ridondato ad alta resilienza e da una serie di terminali connessi al server tramite una rete locale non connessa alla rete pubblica.
    3. Saranno disponibili una serie di cabine distribuite fisicamente nel luogo in cui avviene la votazione. Le cabine saranno in numero sufficiente per garantire la conclusione delle varie fasi nell’arco di tempo previsto.
    4. Un display di generose dimensioni esporrà le statistiche durante la votazione e l’esito finale. Questi dati saranno anche disponibili on line per i giornalisti e i cittadini. Il collegamento del server alla rete pubblica permetterà solo il display dei dati e nessuna possibilità di modifica degli stessi.
    5. In ogni cabina sarà presente un terminale con il software per la votazione.
    6. Il software del sistema, sia quello sul server che quello sui terminali sarà open source. I candidati e i cittadini potranno visionarlo per accertarsi che implementi esattamente la procedura descritta in questo regolamento. Gli eseguibili del sistema, server e terminali, saranno autenticati con una chiave digitale ispezionabile da chiunque, sia sul server che sui terminali.
    7. Ogni operazione effettuata su questi terminali sarà anonima. Alla fine di ogni operazione I dati saranno processati dal server e aggregati ai dati totali, mentre i dati relativi alla singola operazione saranno cancellati.
    8. Eccezione al punto precedente sarà il fatto che l’operazione non sia stata valida, con conseguente perdita del diritto di voto dell’elettore. Questa eventualità sarà resa nota immediatamente.
  4. Fase 1. Collezione dei candidati.
    1. Inizia alle ore 08:00, si conclude alle ore 09:45.
    2. Ogni avente diritto al voto si recherà in una delle cabine .
    3. L’elettore potrà inserire da uno a cinque candidati. Per ognuno dovrà inserire Nome, Cognome e Data di Nascita, codice fiscale (in attesa di un identificativo digitale univoco). L’ordine di inserimento non ha, in questa fase, nessuna rilevanza.
    4. Es.
      Rocco Siffredi, 04/05/1964, SFFRCC64E04G141X
      Mario Draghi, 03/09/1947, DRGMRA47P03H501B
    5. Il tempo di voto avrà un time out, calcolato in base alla disponibilità dei terminale e del tempo a disposizione. Scaduto il tempo, se non sarà stata inserita una lista di candidati valida, l’elettore perde il diritto al voto e sarà escluso dalle fasi successive.
    6. Una volta che tutti gli elettori abbiano espresso la propria lista di candidati il sistema produrrà quella che nel seguito chiameremo <LISTA CANDIDATI>. In questa lista affluiranno tutti i nomi proposti. Ogni nome sarà presente una sola volta. La lista sarà in ordine alfabetico, basata sul Cognome, in seconda priorità sul Nome, e, in caso esistano ancora omonimie, su data di nascita e CF.
    7. La lista viene resa pubblica, presentata sul display generale e diffusa via internet.
  5. Fase 2. Prima chiama.
    1. Inizia alle 10:00, si conclude alle 11:45
    2. All’inizio della fase il server:
      1. predispone, nella sua memoria un dizionario che mette in relazione ogni candidato con le preferenze ricevute. Questo dizionario sarà chiamato nel seguito <CONTA1>
      2. Il dizionario sarà una tabella contenente i dati di <LISTA CANDIDATI>, quindi Nome, Cognome, Data di nascita, CF più un campo aggiuntivo: Voti.
      3. Al campo Voti di tutti i candidati viene assegnato il valore 0.
    3. Ogni elettore che ha ancora diritto si recherà in una delle cabine
    4. L’elettore potrà prendere visione della <LISTA CANDIDATI>.
    5. L’elettore dovrà inserire una lista di al massimo 20 nomi, scelti dalla lista.
    6. L’ordine è qui importante: il primo candidato in questa lista sarà quello a cui l’elettore assegnerà la preferenza massima, il secondo sarà un po’ meno preferito, il terzo ancora meno e via così.
    7. L’elettore dovrà indicare almeno una preferenza.
    8. L’operazione avrà un time out, calcolato come sopra. In assenza di un voto valido allo scadere del tempo l’operazione sarà considerata nulla e l’elettore perderà il diritto di voto, non partecipando alle fasi successive.
    9. Man mano che ogni elettore conclude la propria votazione il sistema esegue la seguente elaborazione:
      1. Assegna il nome <LISTA ELETTORE> alla lista inserita.
        1. Assegna alla variabile <VOTO> il numero di elementi della <LISTA CANDIDATI>.
        2. Estrae il primo elemento della <LISTA ELETTORE>.
        3. Identifica il candidato nella tabella <CONTA1>
        4. Somma il valore della variabile <VOTO> al campo Voti del candidato identificato.
        5. Decrementa di 1 il valore della variabile <VOTO>
        6. Elimina il primo elemento della <LISTA ELETTORE>
        7. Se esistono altri candidati nella <LISTA ELETTORE> torna al punto 2. Altrimenti l’operazione di voto si conclude.
    10. Una volta che tutti gli elettori abbiano espresso la propria preferenza il sistema riordinerà la tabella <CONTA 1> sulla base del campo Voti, in ordine discendente. In cima alla lista avremo quindi il candidato che ha ricevuto più preferenze.
    11. La tabella <CONTA 1> viene resa pubblica.
  6. Fase 3. Seconda chiama.
    1. Inizia alle 14:00, si conclude alle 15:45
    2. Gli elettori avranno avuto due ore per visionare il risultato della fase precedente e per consultarsi tra loro.
    3. Le operazioni sono identiche a quelle della Fase 2, se non per il nome della tabella prodotta, che sarà <CONTA 2>
  7. Fase 4. Terza chiama.
    1. Inizia alle 18:00, si conclude alle 19:45
    2. Gli elettori avranno avuto due ore per visionare il risultato della fase precedente e per consultarsi tra loro.
    3. Le operazioni sono identiche a quelle della Fase 3, se non per il nome della tabella prodotta, che sarà <CONTA FINALE>
  8. Fase 5. Verifica candidati.
    1. Inizia alle 20:00, si conclude al primo candidato che accetta l’incarico
    2. La tabella <CONTA FINALE> contiene la lista dei candidati in ordine di gradimento. Viene verificato il primo, se corrisponde senza ambiguità ad una persona reale, se questa ha i requisiti di eleggibilità e accetta l’incarico viene eletto, in caso contrario si passa al successivo, se esiste, in caso contrario si licenzia tutto il Parlamento e si va a elezioni.

21 lezioni per il XXI secolo

Ho appena finito di ascoltare l’audiolibro di “21 lezioni per il XXI secolo” di Yuval Noah Harari. L’ho trovato molto bello e ho voglia di parlarne. Ringrazio di cuore Antonio per la segnalazione.

Il libro

È un racconto del mondo com’è ora, dei problemi che ha, e di ciò che li ha generati, dell’evoluzione, delle forze che lo stanno cambiando, inclusi i pericoli che corriamo per i prossimi decenni.

I miti

Parla soprattutto di narrazioni. Le storie che hanno plasmato la nostra civiltà. Invenzioni che parlano di cose inesistenti, ma che hanno la capacità di unire le persone in un sogno comune. Storie come il fascismo o il comunismo, ormai cassati dalla storia. E storie che ancora sopravvivono, come il liberalismo, le nazioni o le religioni.

Il libro è, per buona parte, una critica a questi miti residui dell’umanità. Critica composta e avvincente, che cerca di aprirci gli occhi sui pericoli che corriamo procedendo con una visione annebbiata, mentre gravi pericoli sono all’orizzonte.

Le pazzie

L’umanità prende spesso decisioni incomprensibili. Il terrorismo, che temiamo più di quanto dovremmo, visti i danni molto limitati che produce in termini di vite umane, e la guerra che, a differenza di quanto avveniva nei secoli scorsi, non ha più nessun potenziale vantaggio per chi la intraprende.

I pericoli dell’evoluzione tecnologica

Il grosso pericolo da cui Harari ci mette in guardia è connesso all’evoluzione tecnologica. L’evolversi delle tecnologie informatiche e biotecnologiche, l’Intelligenza Artificiale e la manipolazione genetica, aprono scenari in cui la differenza tra classi sociali rischia di esacerbarsi. L’IA, secondo l’autore, sfrutterà la scarsa capacità degli esseri umani di comprendere se stessi e gli altri per diventare il nodo in cui vengono prese tutte le decisioni, ridisegnando la mappa del potere. L’AI sarà aiutata in questo dal diffondersi di sensori biologici che capiranno l’essere umano meglio di quanto lui stesso o altri esperti possano fare.

Democrazia

Il concetto di democrazia è oggi basato sull’idea che le sensazioni degli individui, nel loro insieme, siano in grado di prendere le decisioni migliori. Cosa accadrà quando l’IA conoscerà gli individui meglio di loro stessi e dimostrerà di poter fare meglio di noi nel pilotare le nostre scelte ?

È molto interessante la descrizione del processo che porterà a questo. Processo ineluttabile e già in atto. Le biotecnologie permetteranno la creazione di umani di categoria avanzata, che non si ammaleranno, che avranno una aspettativa di vita più lunga, capacità cognitive, sensoriali e motorie superiori. È facile prevedere che questi miglioramenti saranno esclusivo appannaggio dei ricchi. I detentori delle infrastrutture a supporto dell’IA saranno i nuovi padroni del mondo. Senza contare il rischio che le macchine stesse prendano il sopravvento.

Il concetto di uguaglianza tra esseri umani terrà ancora quando alcuni di noi avranno oggettivamente capacità cognitive superiori ?

Occupazione

In questo percorso la maggior parte dei mestieri umani scomparirà, perché le macchine sapranno fare meglio degli umani quasi tutto, compresi i lavori basati sulla creatività, come comporre musica o scrivere romanzi. L’umanità dovrà affrontare crisi occupazionali senza precedenti, e ripensare, di conseguenza, tutti i processi e gli equilibri economici. La necessità di leggi che impongano un reddito universale svincolato dal lavoro si scontrerà con la necessità di tassare pesantemente i pochi detentori del potere, con inevitabili scontri in cui le classi povere saranno disarmate.

La formazione e la meditazione

E come possono gli esseri umani prepararsi a questi cambiamenti ? Cosa dovrebbero studiare i giovani, ad esempio, per essere pronti per i pochi lavori disponibili domani ? La risposta di Harari è in qualche modo disarmante: non possiamo saperlo.

Come linee guida di fondo suggerisce ai giovani di non fidarsi degli adulti, perché la loro esperienza diventa sempre più inutile in questo nuovo mondo. Suggerisce anche di non fidarsi della tecnologia, perché si rischia di diventarne schiavi. L’unica cosa su cui ha senso investire è sulla conoscenza di se stessi. In quest’ottica è importante l’ultimo capitolo del libro, che parla della meditazione.

Commento

Delle cose che dice Harari mi lascia perplesso anzitutto l’affermare che le sensazioni siano un semplice calcolo biochimico. La scienza non può affermare una cosa del genere. La scienza, finché non sarà in grado di costruire un cervello funzionante, finché non sarà in grado di mettere qualcosa in provetta e farne uscire un’intelligenza indipendente, potrà solo dire di aver capito qualche frammento, come un medico del Medioevo che dissezionava un cadavere. Non siamo molto distanti da lì. Conosciamo qualche dettaglio in più ma non abbiamo la visione completa. Personalmente non credo che la scienza ce l’avrà mai.

Continua a piacermi di più l’idea che il cervello sia una sorta di radio, che comunica con un’intelligenza esterna, non fisica. La mia personale convinzione è che la vita e l’intelligenza esistano su un piano diverso da atomi e molecole.

Altro punto che ho trovato disturbante é la critica alle religioni. Ha ragione secondo me, sul fatto che siano superate, che ormai facciano più danni che altro etc, ma buttando via la spiritualità assieme alle religioni si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca.

Tolta la spiritualità resta un vuoto incolmabile. La spiritualità è una necessità dell’essere umano (in varia misura, magari). Questa mancanza di senso non può essere colmata in modo razionale, né scienza, né filosofia, né psicologia possono farlo.

L’idea di base dell’autore sulla religione

  1. Una cosa non vera che viene creduta da mille persone per un mese è una notizia falsa, una cosa non vera che viene creduta da un miliardo di persone per mille anni è una religione
  2. La grande domanda che gli esseri umani dovrebbero farsi non è “qual’è il senso della vita ?” bensì “come si esce dalla condizione di sofferenza ?”

Perché è una visione troppo limitata

Sul punto 1 sono d’accordo, ma non sul 2.

Sofferenza

Siamo sicuri che la sofferenza sia una cosa sbagliata ? Una cosa da evitare a tutti i costi ?

La sofferenza e l’infelicità, come il piacere e la gioia sono semplicemente sensori di cui l’evoluzione ci ha dotato per farci muovere in una certa direzione. Il dolore e il piacere, che condividiamo con gli organismi più elementari riguardano i bisogni fondamentali, nostri o della specie a cui apparteniamo.

La tristezza e la gioia sono propri di organismi più progrediti, ma sono sensori anch’essi. Ci dicono se le ultime scelte che abbiamo fatto hanno avuto un risultato per lo più positivo (in questo caso la sensazione di felicità ci dice semplicemente “ok, continua così”) o per lo più negativi (e in questo caso la tristezza ci avverte che c’è qualcosa di fondo da cambiare, l’ambiente, le relazioni, il nostro modo di pensare/operare).

La ricerca della felicità in se stessa è una sciocchezza. Quando raggiungiamo una sensazione di gioia essa è per definizione effimera, perché riguarda il passato. Ci dice solo come siamo andati ultimamente. Se ci fermiamo lì, se vogliamo perpetuarla, si trasforma immediatamente in noia, che è il modo dei nostri sensori di dirci che dobbiamo muoverci, esplorare altro.

Pianificare la ricerca della felicità è una cosa assurda. Pianificare è ambito della razionalità, che è la parte più stupida della nostra mente. La razionalità è nata in funzione del linguaggio, è uno strumento di comunicazione, non serve a prendere decisioni corrette.

I limiti di una visione esclusivamente razionale

La razionalità, la logica, sa solo mettere in relazione le conoscenze che abbiamo, che sono infinitamente limitate rispetto all’insieme delle forze che influenzano le nostre vite.

Di fatto le nostre decisioni vengono prese ad un livello molto più profondo, un livello di cui, spesso, non ci rendiamo nemmeno conto.

Harari guarda a cose come le religioni, la spiritualità, la meditazione, con una mente razionale e, semplicemente non le capisce.

Il fallimento delle religioni

Tutto quello che Harari dice è vero, innegabile. Le religioni sono state, spesso, più un male che un bene. Probabilmente perché i loro stessi fautori non ne hanno capito il senso.

Il rischio a cui tutte le religioni sono state esposte (fallendo miseramente la prova) è stato quello di pensare, ad un certo punto, di aver capito, e, di conseguenza, di voler diffondere verso altri questa scoperta.

Ma il diffondere, il fare proseliti, anche quando sia scevro (e non lo è mai) da ricerca di potere o ricchezza, è, spesso, un’operazione basata sul linguaggio, sulla razionalità.

La conoscenza spirituale è per definizione poco chiara, piena di dubbi. Per qualche verso consiste proprio nella capacità di accettare il dubbio, accettare l’impossibilità di capire. Non può essere trasferita ad altri semplicemente con la parola. Se tento di codificare quella conoscenza in modo che sia raccontabile non posso che inventare narrazioni, favole. E non posso che dividere il mondo in amici (i fedeli, quelli che accettano le mie favole) e nemici (gli infedeli, quelli che le rifiutano), e magari prendere le armi contro i secondi. E tutto questo indipendentemente dal fatto che l’idea originaria contenesse o meno qualcosa di valido.

Ma la spiritualità non è quello. Se bolliamo tutta l’elaborazione non razionale come sciocchezza, e le nostre sensazioni come elaborazione biochimica, che magari oggi non comprendiamo, ma che la scienza riuscirà presto a chiarire, creiamo un vuoto incolmabile, ci tagliamo le braccia perché non abbiamo capito a cosa servono.

La spiritualità riguarda certo il dolore e la tristezza, come il piacere e la gioia, ma non per annullare i primi in favore dei secondi. Riguarda la capacità di rendere più sensibili questi e altri sensori e di integrarne le indicazioni. Sì, abbiamo anche altri sensori. Il senso del “significato globale”, che Harari liquida frettolosamente, è lì, forse sviluppato in misura differente tra le varie persone.

La meditazione

Il libro sfugge, in parte, a queste critiche dedicando l’ultimo capitolo alla meditazione. Un capitolo molto bello, tra l’altro.

La butta lì, come racconto di un’esperienza personale che ha trovato vantaggiosa.

Giustamente fa notare che la meditazione, pur essendo nata in seno delle religioni non prevede nessun dogma o atto di fede, ma è un semplice strumento che abbiamo a disposizione per migliorare le nostre vite, la nostra capacità di attenzione. Un allenamento a usare meglio la mente.

Purtroppo, anche qui, nel tentativo di scrostare la pratica meditativa dal retaggio religioso finisce per togliere un po’ troppo. C’è uno sforzo di rendere la meditazione un fatto razionale, e credo sia decisamente sbagliato. Indipendentemente dal fatto che un Dio esista o meno, e dal fatto che questa pratica possa metterci in comunicazione con lui, c’è molto, molto che non comprendiamo, su cui la meditazione getta un po’ di luce. Forse questo molto riguarda la comunicazione con gli altri esseri viventi, forse col passato della nostra specie. Forse sono anticipazioni confuse di cose su cui un giorno la scienza saprà fare piena luce.

In ogni caso io non vorrei perdermi tutto questo.

Non capiremo mai il senso della vita, ma il desiderio di capire ce l’abbiamo, e proprio quello dovrebbe diventare la nostra bussola.

Ricordi, lavoro, smart work e sindacato

Ho lavorato qui parecchi anni. Questo edificio di vecchi mattoni è la Vecchia ICO (Ingegner Camillo Olivetti) di Ivrea. Pare sia del 1895.

Ai tempi in cui ci lavoravo io l’aspetto esterno era grosso modo lo stesso, eccetto per la portineria, che aveva aveva un aspetto meno da film distopico. Oggi, entrando, non ti stupiresti di incrociare qualche zombie.

Gli uffici e le officine all’interno erano un po’ più moderne, ma sto comunque parlando della fine degli anni 80 dello scorso secolo.

Lungo il lato sinistro della strada, via Jervis, si intravedono le estensioni che la fabbrica ha avuto nel corso dei decenni. La ICO, che arrivava fino alla portineria del pino (il pino si vede, che spunta tra gli edifici). Più oltre la Nuova ICO.

Qualche centinaio di metri più avanti ci sono Palazzo uffici 2 (l’ultimo arrivato) e Palazzo Uffici senza numero, quello coi top manager che arrivavano in elicottero o in Ferrari.

Quando vedete i manager arrivare in quel modo in una ditta preoccupatevi: vuol dire che sta per fallire.

Questa è l’ingresso della Vecchia ICO. Sulla destra si vedono antiche cose: un telefono, una specie di citofono e, sotto, una bollatrice a badge.

Ai miei tempi quella non c’era. Si timbrava l’ingresso all’interno con una timbratrice a schede di carta. Il famoso cartellino. Intorno alla timbratrice c’era un raccoglitore con tutte le schede dei dipendenti, tu cercavi la tua e la infilavi in questo robo meccanico che, con un bel “clang”, metteva un timbro con l’ora nella casella del giorno.

Dal sesto livello in poi si timbrava solo l’ingresso. Si supponeva, giustamente, che un sesto livello facesse un tipo di lavoro per cui l’impegno non fosse strettamente correlato al tempo passato in ditta. La timbratura aveva uno scopo puramente assicurativo.

Adesso c’è quella barra di traverso, probabilmente gli zombie non escono di lì.

Ci ho lavorato parecchi anni, ma ci ho anche abitato per diverso tempo. Nel senso che abitavo nello stesso isolato. Vedete quel lucernario a torretta che si intravede sotto il passaggio, appena più a destra e più in alto del centro della foto ? Quella era casa nostra (abitavamo al piano sotto, non nel lucernario). Al mattino scendevo a piedi e, passando per quella stradina che si intravede sul lato sinistro, entravo in ufficio. Ci mettevo il tempo di una sigaretta. Non c’erano i tornelli, le guardie ti salutavano e andavi a lavorare.

Ora si passa dalla portineria, anche se la ditta non c’è più, perché c’è una sede distaccata dell’ASL. Ci fanno fisioterapia, tra le altre cose. Stamattina ci sono andato per accompagnare Umberto che aveva una visita.

Mentre aspettavo lì fuori ho fatto due chiacchiere con un’infermiera che era uscita a fumarsi una sigaretta. Mi diceva che molti dei suoi pazienti sono ex olivettiani, che guardano con tristezza e commozione questo edificio abbandonato. Secondo lei è stato acquistato di recente da qualcuno che conta di farci qualcosa. Forse un museo. Non mi sembra una buona idea che una città si riduca a vivere di ricordi, ma tant’è.

Lavoro

Ricordo che lavoravo tantissimo. Al mattino entravo molto tardi, anche dopo le dieci e mezza o le undici. Non uscivo quasi mai prima delle otto o le nove di sera. E, dopo cena, continuavo a lavorare a casa, fin verso le due o le tre di notte. Il tempo a casa lo dedicavo, per lo più, alla formazione.

Questo sfasamento temporale dell’orario di lavoro, ricordo che si prestava bene ad una forma di collaborazione a staffetta con colleghi più mattinieri. È successo in modo decisamente efficace con Cetty e con Giovanna. Lavoravamo insieme per una parte della giornata, poi io andavo avanti da solo fino a tarda sera, lasciavo qualche nota su quello che avevo fatto e loro al mattino proseguivano di lì.

Smart Work

Adesso sento miei ex-colleghi parlare di smart working. Mi ha stupito leggere oggi, su un gruppo whatsapp di cui faccio ancora parte, un sindacalista esprimere preoccupazione sul fatto che lo smart work possa trasformarsi in un arma nelle mani del datore di lavoro per sbilanciare il rapporto di lavoro a detrimento dei dipendenti, oltre che minare il bisogno di socialità del lavoratore.

Le preoccupazioni espresse erano sostanzialmente due:

  • Lo Smart Work tende a modificare il modo in cui il lavoro viene valutato. Non più quanto tempo lavori, ma quanto bene lo fai, e, in definitiva, quanto serve quello che fai. Questo aiuta l’azienda a rendersi conto delle inefficienze, e apre la strada alla perdita del posto di lavoro per le persone meno utili.
  • Una volta assodato che determinati lavori si possono fare fuori dall’azienda, cosa impedisce di farli fare in altri paesi ? O con contratti più precari, magari a corpo ?

Il primo argomento è un vecchio cavallo di battaglia di molti rappresentanti sindacali. Lo ricordo come ricorrente in quasi tutte le ditte in cui ho lavorato.

Lo smart work evidenzia il problema, ma quello era lì già da prima, irrisolto, nascosto, e, secondo me, una delle cause principali del declino delle nostre aziende (per lo meno quelle di dimensioni medio grandi).

Misurare il lavoro

Ha davvero un qualche senso che il lavoro delle persone sia valutato in base al tempo fisicamente trascorso in un dato luogo ? Non ho esperienze di lavoro operaio, ma credo che anche in una catena di montaggio, anche nel caso del lavoro più meccanico e disumanizzante che riesco a immaginare questo tipo di valutazione abbia un sacco di limiti. Trasforma il lavoro in carcere. Toglie qualsiasi dignità a quello che fai. Ed è inefficiente per l’azienda.

Misurare invece quello che fai, quanto bene lo fai, quanto serve quello che hai fatto, reintrodurre un concetto di imprenditorialità, di professionalità nel lavoro, apre la strada ad un sacco di benefici.

Per l’azienda sono indubbi, non li cito neanche, ma anche per il lavoratore ce ne sono tanti. La soddisfazione di essere pagato di più se hai fatto bene, la spinta a migliorare, o a trovare il posto più adatto a te se sei finito in una situazione che non ti permette di esprimere le tue potenzialità.

E quest’ultimo aspetto è il punto cruciale. Il sindacalista medio è perfettamente cosciente della presenza di molte persone, in azienda, che sono fuori posto. Che non dovrebbero essere lì, che non sono adatte al lavoro che fanno.

Vale anche, e forse soprattutto, per i manager, ma lì il problema è più clientelare che sindacale.

Bilanciamento

Quindi cosa c’è sul piatto, anzi sui piatti di questa ipotetica bilancia. Da una parte la difesa del salario di persone inadatte al lavoro che fanno (o spesso non particolarmente interessate a farne qualcuno, per usare un eufemismo), dall’altra la difesa del posto di lavoro di tutti i lavoratori dell’azienda, se questa rischia di pagare queste inefficienze con la scomparsa dal mercato.

Credo sia giusto non snobbare il primo problema, che va risolto cercando di capire se per quel dato lavoratore non sia possibile trovare mansioni più adatte, ad esempio. O ricorrendo, in casi estremi, a forme di assistenza, solidarietà.

Ma il secondo, il permettere alle aziende di essere efficienti e competitive, credo non dovrebbe essere assolutamente perso di vista, anche dal sindacato.

Mi sembra manchi al sindacato italiano (contrariamente a quello tedesco, mi par di capire) questo sentirsi parte dell’azienda. Questo vedere l’azienda non come perpetua controparte, ma come barca su cui si viene trasportati.

Non so, visione ingenua forse. Ma se lo smart work rischia di porre il problema maggiormente in luce, ben venga, direi.

Quanto al secondo timore, quello del “my work has gone to India”, credo sia abbastanza privo di fondamento.

Un’azienda che funziona ha tutto l’interesse a tenersi stretti i collaboratori validi. Ha tutto l’interesse che ci siano rapporti personali che funzionano. Il parlare la stessa lingua, aver vissuto la storia di un dato lavoro, avere le competenze specifiche, sono tutti elementi che proteggono da quel tipo di esternalizzazione, e anche da forme più precarie di contratto.

D’altra parte, peraltro, un recupero di imprenditorialità da parte dei lavoratori non sarebbe un male. Se un dato lavoro richiede competenze così generiche da poter essere svolto da qualcuno in Pakistan vuol dire che un lavoratore italiano che ha lo stesso tipo di competenze può misurarsi su un’arena più vasta anche lui.

Tutto considerato anche sotto questo aspetto questa botta del Covid potrebbe finire per averci fatto bene.

When I’m Sixty Four

Ok. Da oggi sono vecchio anche secondo il criterio dei Beatles.

Doing the garden

Digging the weeds

Who could ask for more?

2 6

A due alla settima non credo di arrivarci, ma non si sa mai.

È un bel numero 64.

Emana un senso di positività.

Oggi i sistemi operativi migliori sono a 64 bit. Già dai tempi del Commodore 64 se ne presagiva la potenza.

La sua rappresentazione in numeri romani ne esprime chiaramente la vocazione politica (LXIV = Lode per Italia Viva).

Potrebbe essere usato anche per correggere evidenti errori del nostro passato, come i sessantaquattro gatti in fila per otto e senza resto (sulla metrica c’è un po’ da lavorarci, ma matematicamente è molto più elegante).

19

Epperò c’è il virus. Che ci chiude in casa, che farà morire molti di noi.

Ieri bella chiacchierata con Antonio, Giuseppe e Gianni. Ho scoperto l’ennesimo programma per videoconferenza (anzi, ne abbiamo provati un paio, per l’occasione).

Si parlava del virus. Ci si chiedeva se avesse un significato. Sicuramente ce l’ha: tutto ha un significato. Si parlava di come andrà.

pessimismo

Ho messo a fuoco il fatto di essere parecchio pessimista. Sì, io scopro quello che penso parlando con gli altri, o scrivendo. O forse non è pessimismo, nel senso che vedo le cose con un certo distacco. Comunque ho detto cose che sono suonate inquietanti agli orecchi degli altri.

Secondo me ci si sta illudendo molto sui tempi di uscita dalla crisi sanitaria, e si sta sottovalutando l’aspetto economico.

Lo scenario che intravedo, catastrofico per qualcuno, è che alla fine ne usciremo con più morti di quelli che prevedeva il Boris Johnson prima ora e avremo anche distrutto l’economia.

Succederà questo: riusciremo a tenere il lockdown rigoroso ancora per poco. Si sta già slabbrando, ma le pressioni per riaprire le aziende sono forti. Come è sempre più forte la poca pazienza (poco giustificata) dei più attivi di noi, che mal sopportano la vita reclusa. E come è sempre più forte (ma questa è più comprensibile) la mal sopportazione della clausura da parte dei meno fortunati, quelli che vivono in spazi più ristretti, senza balconi, giardini. Di quelli che non hanno le risorse economiche per affrontare un lungo periodo di inattività.

Pressioni, insomma, che unite alle prime notizie confortanti sui numeri dei contagi ci faranno allentare la stretta. E il virus è ancora lì fuori ad aspettare. Altre ondate, altri picchi.

E intanto l’economia va a pezzi. L’economia non sono le quotazioni delle borse, e nemmeno i capitali dei ricchissimi, che ammesso che vengano scalfiti lo saranno di poco, anzi, è più probabile che molti di loro trovino il modo di arricchirsi anche in questa situazione. L’economia che crolla è la gente che ha fame, o ha paura, o ha paura e fame. L’economia che crolla sono i servizi che spariscono e diventano sempre più inefficienti. L’economia che crolla sono le merci che non si trovano più, perchè nessuno più le produce e le trasporta.

Tanta gente che ha paura e fame distrugge qualsiasi ordine sociale. Sommosse.

Oggi si vedono i primi segnali. Ci sono già famiglie che hanno problemi a comprare i beni essenziali. Ed è bello che si tenti di supplire con varie forme di solidarietà. Ma la solidarietà funziona se i poveri sono pochi e quelli solidali tanti. Se questo rapporto tende ad invertirsi non è più possibile. Non si chiama più solidarietà, si chiama lotta di classe quando va bene, rivoluzione o guerra civile se siamo meno fortunati.

L’economia che crolla fa molti più morti del virus.

Spero di sbagliarmi.

decrescita

Antonio si oppone a questa visione, dicendo che con un’organizzazione migliore della società si può vivere tranquillamente tutti lavorando molto meno. In fondo, fa notare, molta gente va a lavorare per fare lavori assolutamente inutili.

E ha ragione: da una parte ci sono molte aziende carrozzone, aziende inefficienti che a vario titolo sopravvivono solo grazie a contributi statali (in forma di mercati captive, pensate al militare o alla gestione statale della sanità, della previdenza, pensate alle compagnie aeree o telefoniche), dall’altra ci sono aziende che producono cose insensate, se non dannose (pensate alla pubblicità), pensate a quanti avvocati ci sono in Italia, a quanti notai, a quanta gente il cui lavoro è far girare la burocrazia inutile.

Pensate ai bisogni indotti, a quanta gente lavora per comprare beni di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno (l’ultimo modello di cellulare, di televisore, di auto, di vestiti e chissà quant’altro). Forse anche senza arrivare ad una gestione sovietica dello stato e neanche per forza ad una decrescita più o meno felice si potrebbero fare dei passi per permetterci di ridurre il nostro impegno di tempo nel lavoro e il nostro impatto sull’ambiente.

Comprendo che c’è del buono in queste considerazioni, ma credo si debba tenere presenti un paio di cose:

  • I paesi ricchi possono oggi permettersi queste inefficienze perché sfruttano risorse e lavoro di quelli più poveri. Per cui lo stesso tipo di ragionamento sarebbe difficile da applicare a tutto il pianeta.
  • Alla lunga il vero problema è l’esplosione demografica. Questa sofferenza, che da noi si manifesta nell’essere costretti a lavorare per la maggio parte del nostro tempo a fare cose inutili, e in altri posti si manifesta nel lavorare molto per servire altri, riesce a contenere la crescita della popolazione. Detta in soldoni: un mondo di gente pagata per stare a casa assistiti da servizi e sanità funzionanti non starebbe in piedi: esploderebbe in un eccesso di natalità, nell’arco di una o due generazioni, forse meno. Un mondo ideale, che auspico ovviamente, in cui ognuno lavora il giusto, non può prescindere da un governo mondiale e da uno stretto controllo della natalità, con tutti i problemi morali che la cosa comporta.

la politica inadeguata

Tornando coi piedi per terra, e al momento attuale, Giuseppe fa notare la sua sfiducia nella classe dirigente attuale, e in generale sulla situazione politica del paese. Chiaramente è il nocciolo del problema. Abbiamo tutti abbastanza chiari una serie di problemi da risolvere. Abbiamo una serie di soluzioni proposte, più o meno vaghe, più o meno condivise. Ma per farne qualcosa, per trasformare queste critiche e queste proposte in miglioramento serve la politica.

Serve far emergere governanti capaci, che sappiano creare consenso intorno a proposte concrete. E sappiano attuarle.

Diversamente da Giuseppe io credo che queste persone esistano, semplicemente non sappiamo farle venire alla ribalta. Oggi la scena politica e ingombra di attori che hanno saputo creare consenso intorno a loro, ma si mostrano poi incompetenti e incapaci quando riescono a mettere le mani sulle leve del potere.

Forse il problema non sta nei governanti, ma nella nostra capacità, come popolo, di sceglierli. Continuiamo a sceglierli per tifo, perché difendono la nostra squadra del cuore. Li scegliamo perché sanno difendersi nei talk show. Sardine incluse, purtroppo.

non sono ancora nati

Concludo con un pensiero di Gianni, che mi è piaciuto.

Chi è che potrà tirarci fuori da questo pasticcio ?

Se è necessaria una forte maturazione delle persone per costruire una civiltà che superi tutti gli scogli elencati sopra, è pensabile che siano quelli vivi oggi ad uscirne ?

Possono essere quelli che oggi sono vecchi, che magari hanno qualche idea, ma non l’energia per attuarla ?

O possono essere quelli che oggi sono giovani, e hanno vissuto finora nella bambagia, senza essere costretti a fronteggiare veri problemi, e si trovano spaesati di fronte allo scenario di guerra all’orizzonte, di fronte alla possibile perdita dei loro privilegi.

Forse no. Forse a fare un passo avanti saranno i giovanissimi di oggi, o quelli non ancora nati. Quelli che prenderanno coscienza del mondo con la crisi già in atto.

E allora i tempi saranno necessariamente molto lunghi.

i miei secondi 64 anni

Pur volendo essere ottimista, non so se mi basteranno i prossimi 64 anni per vedere il risultato di questo cambiamento.

Comunque ne riparliamo al 2 7.

2050 La vera storia

Anno 2050…Nonno raccontami quando l’Italia divenne una nazione così bella !

E il nonno cominciò:

< ….era il 2020, trent’anni fa. All’improvviso una epidemia investì tutto il mondo, proveniva dalla Cina …ma forse era stata portata da altri… non si seppe mai la verità ! L’Italia fu colpita prima di tutti in Europa, tanti morti, tutti chiusi in casa….paura, diffidenza, gli ospedali erano pieni di gente. Durò alcune anni….fu dura…tanto! Il governo dopo un primo momento di incertezza continuò a prendere decisioni inconcludenti. Tutti gli Italiani dettero prova di grande esempio e spirito di sacrificio. Le persone riscoprirono il valore dell’aiutarsi a vicenda.

Purtroppo la chiusura delle fabbriche e di tantissimi negozi fu il vero problema che dovemmo affrontare. Una crisi spaventosa, alla quale non eravamo preparati.>

< Ah sì, poi avete chiesto l’aiuto all’Europa e loro non ve l’hanno dato e …>

< Ma no, schiocchino ! Però hai ragione, girava anche una storia del genere qualche anno fa. Ma era una storia un po’ stupidina. L’hanno scritta persone piene di paura e odio, che vedevano nemici dappertutto, che pensavano che i problemi si potessero risolvere ognuno con le proprie forze, di fatto le cose sono andate in un modo decisamente migliore>

< Ma nonno, l’Italia adesso è davvero una nazione bellissima >

< Certo certo. Ed è bellissima anche l’Europa. Anzi tutto il mondo è diventato un po’ più bello da allora. Senti come è successo.

Chiedemmo aiuto all’Europa, all’epoca avevamo una Comunità…così si chiamava Comunità Europea. Doveva servire per fare un grande Nazione, come gli Stati Uniti. Ma in altre Nazioni, come la Germania e l’Olanda le cose non andavano male come da noi. Da una parte avevano governi più efficienti che erano riusciti a contenere l’epidemia meglio di noi, e dall’altra le loro economie erano più ricche.

Vedi, quando scoppiano queste epidemie, è successo diverse altre volte da allora, bisogna evitare che il virus si diffonda troppo velocemente e faccia ammalare troppa gente. Bisogna sbrigarsi a capire chi si è ammalato e isolarlo dagli altri, bisogna convincere tutti a cambiare le loro abitudini e restare molto tempo chiusi in casa, e bisogna capire chi si sposta, chi è stato a contatto con chi, prima che persone che sono ammalate e non lo sanno ancora possano spargere ulteriormente il contagio. E bisogna riuscire a fare queste cose molto in fretta, servono governanti che prendano decisioni lucide e rapide. E bisogna anche fare in modo che l’economia non si blocchi, perché se tutti smettono di lavorare non c’è più niente che funziona. Bisogna che chi può lavori da casa, per esempio (allora non tutti usavano internet e questo era una parte del problema), e bisogna che chi deve andare a lavorare possa farlo senza rischiare di ammalarsi, servono tanti esami medici e dispositivi di protezione, per esempio.

Beh, come dicevo, i paesi del nord Europa erano riusciti a fare tutto questo meglio di noi e, giustamente dal loro punto di vista, molte persone in quei paesi non volevano rimetterci, stare peggio, per dare aiuti che non sarebbero serviti a niente>

< Come fanno degli aiuti a non servire ? Erano davvero un po’ egoisti questi del nord.>

< Vedi, a quel tempo in Italia si era diffusa l’idea che si potesse vivere tutti senza lavorare. Qualcuno aveva messo in giro l’idea che ci sarebbero stati soldi per tutti se non fossero stati tutti nelle mani di poche persone. E che se avessimo ridistribuito quei soldi saremmo potuti stare tutti in vacanza tutta la vita.

C’era una parte di verità in questo, come in tutte le bugie. Era vero che la maggior parte della ricchezza era nelle mani di pochi, e che questo rappresentava un problema, ma, come puoi ben capire, non era vero che tutti avrebbero potuto smettere di lavorare. >

< Perché nonno ?>

< Perché la ricchezza non è come l’acqua contenuta in una serie di tazze, per cui se in una tazza ce n’è di più la togli di lì e la distribuisci nelle altre tazze e tutti ne hanno uguale. La ricchezza, il benessere, sono più come l’acqua di un fiume. Puoi togliere lo sbarramento di una diga per fare in modo di distribuirla meglio, ma è importante che l’acqua continui a scorrere. E scorre solo grazie al lavoro delle persone. E qualche diga ogni tanto serve anche, per usarla meglio.>

< Però gli aiuti ci servivano davvero, no ?>

< Certo, e infatti li abbiamo avuti. Il problema era come li avremmo usati. Gli stati del nord non ce li avrebbero mai dati per distribuirli semplicemente alla gente che stava a casa e per finanziare il lavoro dei governanti incapaci che avevamo allora.>

< E cos’è successo quindi ?>

< È successo che ci sono stati momenti di grande tensione. La Comunità Europea fu davvero sul punto di spaccarsi, ma a quel punto è successo una specie di miracolo.

Vedi, come ti dicevo, fino a quel momento internet esisteva, ma veniva usata malissimo. Non molta gente la usava per lavoro, o per studiare, ad esempio. Veniva usata per avere più scelta sui film da guardare o per scambiarsi foto con gli amici, o per fomentare odio sulle chat pubbliche. In effetti veniva usata anche come strumento di indagine e di persuasione occulta da parte di persone molto ricche e con pochi scrupoli.

Durante quella terribile epidemia molta gente è stata costretta a passare molti giorni chiusa in casa e questo ha portato un uso di internet sempre più massiccio, molta gente ha cominciato ad usarla per altri scopi. Hanno iniziato gli studenti e i professori, le scuole erano chiuse e l’insegnamento era possibile solo in quel modo. Sono fiorite molte piattaforme di auto apprendimento, ad esempio. Chi poteva lavorava da casa, e questo ha reso tantissime persone più capaci di usare strumenti informatici. Fare la spesa era un problema, perché era un problema uscire di casa, chi era ammalato non poteva neanche farlo, così molti hanno iniziato a comprare cose online. Piano piano la gente si è abituata ai pagamenti elettronici, questo in pochi anni ha poi portato alla scomparsa del denaro contante, ed è stato un incredibile apporto di ricchezza nelle casse dello stato, perché prima molti non pagavano le tasse e con i pagamenti elettronici era molto più difficile.

Ma soprattutto la gente ha cominciato a leggere di più, a studiare, ad informarsi, a sentire campane diverse. Abbiamo imparato ad affrontare i problemi insieme, e non uno contro l’altro.>

< Ma il problema col nord Europa come si è risolto ?>

< Esattamente nel modo opposto di come racconta la favoletta che avevi sentito. Gradatamente la gente ha capito che i problemi si potevano risolvere decidendo sempre più cose assieme agli altri, quindi anche insieme agli altri paesi europei. A quei tempi la Comunità Europea era in embrione. Non aveva praticamente poteri. Emetteva delle leggi che dovevano poi essere accettate dai vari paesi, e c’era il problema che alcuni paesi potevano opporsi alle decisioni degli altri anche se erano in minoranza. Insomma un pasticcio. Grazie alla crisi ci si è trovati tutti di fronte alla scelta di cancellare l’Europa o farla funzionare davvero. E fortunatamente abbiamo tutti scelto la seconda cosa >

< Anche i paesi del nord ?>

< Certo, tieni conto che anche loro ci avrebbero rimesso se l’Europa fosse finita, loro vendevano a noi tanti prodotti, venivano in massa in vacanza qui, perché il nostro è un paese davvero bellissimo.>

< E quindi com’è andata ?>

< E’ andata che qualcuno ha proposto di spostare in blocco un sacco di competenze degli stati verso il governo centrale, almeno per la durata della crisi. Quindi la gestione della produzione e distribuzione delle mascherine, dei disinfettanti, delle apparecchiature per gli ospedale e per la costruzione degli ospedali stessi sarebbe passata all’Europa senza mediazione degli stati. E così pure la gestione del tracciamento dei contagiati, e anche la gestione degli aiuti: un ente centrale europeo avrebbe controllato direttamente chi doveva stare a casa perché era ammalato o troppo a rischio di ammalarsi, avrebbe distribuito aiuti economici a queste famiglie e avrebbe aiutato gli altri a trovare un’occupazione utile durante la crisi. Molte persone hanno iniziato a fare i corrieri ad esempio, molti hanno trovato lavoro nelle fabbriche di materiale medico, molte nella distribuzione, nella scuola.

E’ stato un vero miracolo. Secoli di burocrazia inutile spariti in un attimo, privilegi incomprensibili cancellati. Politici corrotti e incapaci rimandati a lavorare (ne ricordo uno che è tornato a distribuire bibite, non negli stadi, che sono restati chiusi per un po’).

Le tasse si sono abbassate drasticamente per l’abolizione del denaro contante e per l’abbattimento dei privilegi. I servizi hanno iniziato a funzionare bene.

Insomma alla fine ci si è trovati così bene con questa soluzione che anche dopo la crisi la gente ha voluto continuare così, e molte più competenze sono passate alla gestione centrale europea. Compresa la difesa, ad esempio, e questo ha fatto in modo che molte fabbriche di armi fossero riconvertite a fare cose più utili. Chi era inizialmente diffidente ha iniziato a informarsi di più, a tenere d’occhio le scelte che i politici che aveva votato facevano in suo nome, e questo ha migliorato enormemente la classe politica.

Ed ora l’Europa è il paese più bello del mondo.

E l’Italia il suo bellissimo giardino.

Eravamo così orgogliosi di essere europei, furono anni di grande intensità emotiva e riscoprimmo di essere un grande popolo, fortunato….perché vivevamo nel paese più bello del mondo !>

< Grazie Nonno… domani me la ripeti ?

È una storia così bella !!!!! 🇮🇹>

Fate diventare vostra questa storia e NON pubblicatela, perché pochi la capiranno, ma, se siete tra quelli che la capiscono, lavorate nel vostro piccolo per realizzarla 🙏❤🇮🇹