Un ultimo post sul Camino. Giusto per pubblicare un po’ di video e foto che per diversi motivi non sono riuscito ad uplodare nella vita da nomade.
Sono a casa da qualche giorno e ormai la vita normale mi ha quasi interamente ripreso. Con qualche strascico. Continuo a vedere la mia casa come un enorme zaino, con troppe tasche e troppa roba in ognuna. Mi chiedo perché posseggo più di due paia di pantaloni, e una marea di oggetti che forse, un giorno, potranno servirmi, ma passano mesi senza che neanche mi ricordi di averli.
Mi chiedo dove devo arrivare oggi, e se c’è una meta per quest’altro cammino.
Mi chiedo dove sta andando la gente che incontro. Saranno sul mio stesso percorso ? Mi piace credere di sì, e ogni tanto sorrido a qualcuno pensando “Bello che sia qui anche tu”.
La collegiata di Roncisvalle. Un brevissimo momento di gente che canta nella chiesa. Fuori pioveva a dirotto, avevamo prenotato per cena e siamo dovuti scappare. Non c’era tempo e valeva la pena di perderci un secolo in più, direbbe De Andrè.
Questo video l’ha girato Connie con la mia macchina in un posto lungo la strada in cui uno dei soliti camioncini offriva roba da mangiare a donativo. Un simpatico momento di allegria.
Video girato in bullet time sulle alture poco prima di Santiago. Lo ricordo con rammarico perché la Insta360 mi è caduta e una lente si è scheggiata, tutti i video e foto da questo momento in poi hanno una macchia che copre un pezzo dell’immagine.
La mia prima veloce visita alla Cattedrale di Santiago, appena arrivato. Dalla piazza alla paella.
La cerimonia del Botafumero.
Nel tratto galiziano del Camino ad ogni bivio ci sono questi piloncini che, oltre a segnalare la direzione, ti dicono quanti chilometri mancano a Santiago. Ho fotografato tutti quelli che ho visto negli ultimi 50 km. Ne è venuto fuori il video più noioso che si possa immaginare, ma per me è un bel ricordo.
Devo dire che l’albergo l’avevo scelto quasi a caso. Su Booking alla fine non è che si capisca granché. Forse mi aveva colpito la facciata di questo edificio imponente.
Pensavo di stare questi tre giorni a Santiago in un hotel normale. Un po’ di lusso dopo i dormitori. Ma i prezzi che trovavo erano veramente alti, mi sembrava di snaturare un po’ il viaggio. Già il ritorno in aereo non è molto da pellegrino, ma trenta e più ore di bus non li avrei retti. Alla fine ho visto questo Seminario Menor, che è un albergue, ma aveva anche camere singole. 20 euro per un letto in dormitorio, 21 per la camera singola. È stata una scelta felice.
Qui si continua a vivere l’esperienza del Camino, solo che c’è gente che arriva dai Caminos più disparati. Ho appena fatto due chiacchiere con un tedesco fumatore (tra paria ci si intende) che arrivava dal Camino Primitivo. Tredici giorni in cui ogni giorno ti fai dislivelli di 1000 metri e viste mozzafiato. Viene voglia.
La stanza è una celletta da frate. Un letto, un tavolino, un armadio a muro, un lavandino e una bellissima vista su Santiago dalla finestra.
Docce e gabinetti ce n’è a sfare, non dovrebbero esserci problemi di code. Spazi comuni in abbondanza in ogni piano e al piano terra un piccolo bar che fa anche un po’ da supermercato, con annesso reparto lavatrici e asciugatrici. E il bel giardino. Personale gentilissimo.
Penso che in un vero hotel sarei stato decisamente peggio.
E i sorrisi. Qui tutti si sorridono. E si dicono con gli occhi “Hai visto ? Ce l’abbiamo fatta !”
l’arrivo
Stamattina quando sono entrato nella piazza della cattedrale avevo le lacrime agli occhi. Soffro un po’ di eiaculazione precoce dei sentimenti, ma è stato davvero un momento bello. Mi sono tolto lo zaino e mi sono steso per terra, come facevano molti, e sono rimasto lì a guardare la cattedrale per un infinità. Chi arrivava in gruppo faceva girotondi, festeggiava intorno.
Ho fatto poi un giro veloce dentro, ci tornerò con calma, ma credo sia particolarmente bella da fuori. Ho avuto questa sensazione in quasi tutte le chiese viste in questo viaggio. Viste da fuori sono affascinanti perché sanno di antico. Antico e elaborato. Mi sembra che le chiese da noi siano o vecchie e brutte o belle/sfarzose/elaborate ma in qualche modo con l’aria di essere state rifatte da poco. Rifatte proprio nel senso di chirurgia estetica, insomma si vede che non sono più le tette o le labbra originali.
Sono poi andato a ritirare la Compostela. Una marea di gente e un’organizzazione impeccabile, con tanto di sito web che inquadri il quad code sul tuo biglietto e ti dice a che punto sei in coda e un bel giardino in cui aspettare. Mi aspettavo una specie di interrogatorio, la credenziale l’ha giusto sfogliata per vedere se c’erano un po’ di timbri. L’unica cosa che mi ha chiesto è stata se Vincentium lo trovavo giusto come mio nome latino. Non ne avevo idea, per cui Vincentium è rimasto. Non ho chiesto l’attestato dei chilometri, mi sarebbe sembrato un barare.
Ho lavato quasi tutto quello che avevo in lavatrice e ora sto aspettando che anche la secadora finisca il suo mestiere.
il viaggio
Non è stata una tappa come le altre. La quantità di gente era decisamente maggiore, ma oggi non dava fastidio. Era una specie di festa, una processione.
Sulle alture prima di scendere verso la città c’è un grosso parco con un monumento strano, tipo cratere scavato in terra e tappezzato di bassorilievi. Ho provato a farci un video. C’erano due italiani antipatici che ho salutato e mi hanno risposto a monosillabi. Ho scuotuto la polvere dai miei calzari e me ne sono andato.
secondo giorno in città
Ieri alla fine la giornata se n’è andata tra arrivo, burocrazia compostelare e lavatura/seccatura (ma perché non chiamiamo anche noi seccatrice l’asciugatrice ?).
Oggi sono andato a fare il turista. Ho girato per la città vecchia e per la zona Corte Inglés (che deve essere tipo la nostra Rinascente), la zona dei negozi, ma erano tutti chiusi perché oggi è l’ascensione ed è chiusa tutta la Spagna. È chiusa pure la bouvette dell’albergue.
Non sono tornato alla cattedrale perché ci vado alle sette e mezza per la messa del pellegrino. Il tipo dell’oficina de turismo mi ha detto che ha sentito, ma non è detto perché queste cose cambiano, che stasera c’è il botafumero. É una carnevalata, lo so, ma visto che sono qui non mi dispiacerebbe vederlo.
Fare il turista da soli è abbastanza noioso. Il tipo mi aveva dato una cartina con segnate a biro le cose che bisognava assolutamente vedere. Ma non ho capito neanche da che parte girare la cartina. Ormai una cosa che non ti dice dove sei, da che parte sei voltato e non traccia una bella linea tratteggiata verso dove devi andare la trovo inutile. Perché non ti iniettano in Google Map i segni di biro?
Di fatto ho girato a caso, lasciando che le cose da vedere mi trovassero. Ho visto una bella tazza che avrei voluto comprare, ma tanti negozi di souvenir, compreso quello della tazza, erano chiusi.
La cosa più interessante che ho visto è stata una ragazza che portava un bambino sotto un braccio. Tipo sacco di patate. Lo teneva per la pancia, lui voltato verso il basso con testa e gambe che rasentavano il terreno. Lei cantava du dudù dudù dudududdù dudù dudù duddududdù, avete presente quel motivo di Walk on the wild side di Lou Reed, quello importato in Italia da Patty Pravo ? Adattissimo come ninna nanna per bimbi. Non credo che il bambino sia arrivato vivo a casa, ma la scena non era male.
A pranzo ho pensato di ripagare un po’ il mio stomaco per i trattamenti disumani inflittigli da un mese di menù del pellegrino e panini. Mi sono infilato nel ristorante più caro che ho trovato e che avesse la parola pulpo nel menù. Mi hanno guardato sospettosi, non avevo l’aria del cliente abituale del posto. Mi hanno fatto notare che era tutto riservato, ma potevano farmi mangiare se ce la facevo entro un ora. Ho risposto “uuuh” quel suono che in tutte le lingue vuol dire “hai voglia !”. E mi sono fatto portare un’ insalata come primo e un pulpo alla qualcosa come secondo. E un bicchiere di vino tinto.
Il polpo era una poesia. Era una fila di bocconcini ognuno fatto di una fetta di patata come base, del formaggio (da queste parti è ottimo, anche quando lo mettono nei panini) e sopra un pezzo di polpo alla piastra. Quando lo mangi senti prima il sapore della patata, nel naso, si sente quell’odore acerbo, poi il formaggio ti invade tutta la bocca, alla fine, masticando resta solo il polpo, più fibroso, che ti lascia il ricordo dell’esperienza ai lati della bocca. Sorso di vino e riparti col prossimo bocconcino. 29 €.
L’ultima tappa prima di Santiago, ancora 20 km e si conclude questa avventura.
Posto strano, piccolissimo. Credo che qui si veda più che altrove l’azione deformante che ha il Camino sui villaggi che attraversa. E non può che essere così visto il fiume di denaro che questa realtà trasporta.
Qui doveva esserci fino a non molti anni fa un’economia da paesino montano, tuttalpiù con qualche alberghetto destinato a turisti amanti delle passeggiate o della pesca (c’è un grosso negozio del settore). Ora non c’è una casa che non abbia attaccato alla porta il cartello “Pensione”. La strada principale, una delle poche strade del paese, è una fila ininterrotta di ristoranti per tutte le tasche. E tutto questo considerando che i pellegrini che si fermano qui non devono essere moltissimi, da Arzua a Santiago sono 38 km, e non credo siano pochi quelli abbastanza allenati da saltare quest’ultimo passo.
il percorso
Passeggiata sotto la pioggia stamattina, quasi costante, e temperatura decisamente fredda. Mi sono beccato una mezza congestione bevendo una birra gelata in un posto in cui mi ero fermato a prendere fiato. Vabbè, incidenti di Camino.
I volontari di Don Fabio
Poco prima dell’arrivo c’era il solito gruppo di volontari che ti invitava ad andare a messa, praticamente l’unica attrazione qui. Mi sono fermato a parlare un po’ con loro, erano italiani. Parlavano di questo Don Fabio come di una specie di guru. Con due princípi, a uno dei quali a quanto pare, ho già inconsapevolmente aderito: per il Camino si parte da soli. Il secondo principio è che se quando arrivi a casa stai ancora bene devi tornare. Lo so, è un po’ confuso, ma è quello che ho capito. Questi volontari sono tornati. Forse si torna per capire bene il secondo principio. Non so.
la seconda casa del filosofo
Sono passato davanti a un’altra casa dello stesso filosofo che spiegava la Bibbia. Si vede che rende. Soliti cartelli appesi, ma ce n’era anche uno con citazioni di vari scrittori sul significato del viaggiare. Bello.
l’argentino
Un terzo spunto spirituale della giornata è stato passare davanti a un posto, una bella tettoia ad uso camminatori-che-si-devono-fermare-mentre-piove. Sotto la tettoia si è insediato un tipo con la barba, argentino, che ha scritto un libro sulla sua esperienza del Camino. Lo tiene esposto, tradotto in un paio di lingue, su un banchetto con incensi, caramelle e cassettina per le offerte. Gli ho lasciato due euro e preso un segnalibro col link, magari lo andrò a cercare. Ho letto qualche frase in una pagina aperta a caso e non mi spiaceva.
Potrei tornare e aprire un banchetto in cui pubblicizzo il mio blog. L’argentino è lì da nove anni, dice.
gli abitanti del Camino
C’è molta gente che vive sul Camino e del Camino. Voglio dire, a parte i professionisti, i padroni degli albergue, hotel, pensioni, ristoranti e negozi. Ci sono tante realtà minuscole, precarie. Dal tipo di Santiago che faceva il Camino al contrario andando ad Assisi, suonando la chitarra e raccogliendo elemosine, ai tanti con un banchetto in cui ti offrono frutta o da bere in cambio di quello che vuoi.
vivere da Cristiani
Comunque alla messa di Don Fabio non ci sono andato. Riflettevo però sul significato religioso del Camino. C’è un aspetto che non mi sembra venga citato, anche se da una predica in spagnolo potrei essermelo perso. C’è qualcosa di autenticamente Cristiano nel camminare. In fondo tutto il racconto del Vangelo, anche attraverso le varie sfaccettature dei quattro narratori è il racconto di una camminata. Gesù non fa altro che spostarsi da un paese all’altro, e incontra gente che si mette a camminare con lui perché dice cose interessanti, cose di vita eterna, cose sul significato della vita (evidentemente gli altri parlavano solo di pesci, sport e figa).
A me non si è radunato intorno ancora nessuno, ma c’è ancora una tappa.
E poi c’è il discorso della precarietà. Il succo del discorso di Gesù è “non preoccupatevi”. Del domani, di cosa mangerete, di dove dormirete, neanche del fatto che stiano per arrestarvi e condannarvi a morte. Dio veste da principi i fiori e riempie la pancia agli uccellini, cosa non farà per i suoi figli.
Ecco, credo che il Camino in origine simboleggiasse questo. Fosse un momento in cui, pure se con qualche rete di protezione, si poteva sperimentare uno stile di vita più Cristiano. Che in soldoni vuol dire più precario, con meno sicurezze.
Per rispondere alla domanda di Vic nel suo bel commento al post precedente, direi che forse cercavo questo. E non c’è più. O forse non ho avuto il coraggio di provarci fino in fondo. Forse il Camino lo si fa più volte per questo, per farlo meglio da questo punto di vista, per farlo abbandonando sempre più certezze.
feldenkrais
Ma c’è dell’altro. O forse è la stessa cosa, ma vista da un punto di vista più razionale.
Tra le cose che ho letto di Moshe Feldenkrais mi ha colpito in particolare il fatto di spostare i confini del nostro sè. Quando pensiamo ai confini del nostro essere, ai pezzi che possiamo comandare o attraverso cui riceviamo stimoli dal mondo esterno, pensiamo generalmente alla pelle. Feldenkrais sposta questo limite al sistema nervoso. Tutto quello che è fuori è in qualche modo parte del mondo esterno, e questo vuol dire che lo possiamo manipolare, cambiare.
Nel corso della nostra vita non facciamo altro che imparare, il nostro sistema nervoso non fa altro che imparare ad interagire con questo mondo esterno di cui fa parte una discreta parte del nostro stesso corpo.
E possiamo imparare male, imparare modi sbagliati di interagire, coi nostri muscoli, ma anche con le altre persone, col mondo in generale. Il metodo che Feldenkrais propone, a livello fisico, consiste nel farti sperimentare nuove possibilità. Prendere coscienza di muscoli che non sapevi neanche di avere, ad esempio.
Ecco, penso che un’esperienza come il Camino de Santiago rientri in qualche modo in questo tipo di operazione. Un periodo di tempo in cui fai una vita completamente diversa. Un momento in cui il tuo sistema nervoso perde tutte le consuetudini di riferimento. Vedi persone diverse, abiti in posti diversi, con molte meno comodità e sicurezze, ti costringi a un’attività fisica inconsueta, restringi i tuoi averi a quel poco che puoi portare in uno zaino. Sei di fatto costretto a re-imparare a vivere. O almeno ti viene presentato un possibile modo diverso in cui si può vivere. Alla fine avrai preso coscienza di queste nuove possibilità, come fossero muscoli di cui non sospettavi l’esistenza, e magari qualcosa si integrerà nella tua vita normale.
i sorrisi
E poi i sorrisi.
La cosa più bella del Camino è che è un posto in cui la gente si sorride. Non sempre, ma quei “Buen Camino” sono quasi sempre accompagnati da un sorriso. Un modo di dirsi con gli occhi “Che figata essere qui. Che bello che ci sia anche tu”.
le amicizie
Laura mi ha fatto notare che il protagonista de “L’amore ai tempi del colera” si chiama Firmino, non Celestino, che è quello della profezia. L’ho letto tanto tempo fa, si vede che è ora di rileggerlo, è un libro bellissimo.
Cristina é arrivata a Sarria e dice che mi sono perso la parte più bella del Camino. Un motivo in più per tornarci.
Connie è a Ligonde, una sessantina di km da qui. Chissà, forse arriva a Santiago che sono ancora lì, mi piacerebbe salutarla prima di tornare a casa.
Queste nuove amicizie sono state il regalo più bello che il Camino potesse farmi.
Ieri non avevo proprio voglia di scrivere. In fondo era Domenica, il giorno in cui ogni creativo che si rispetti fa una pausa.
Melide è carina, abbastanza grande e simpatica da girarci. Coi negozi chiusi perde un po’. Pare sia famosa per il polpo, ma davanti alla pulperia che avevo adocchiato facevano a botte per entrare. Così ho ripiegato per il menù del giorno nel ristorante dell’hotel. C’era per primo una zuppa di trippa e ceci, non male. E una bottiglia di vino rosso piuttosto decente, non fosse per la temperatura da frigo. Hanno dei buoni vini qui, ma quando è ora di servirli pensano che sia sangria.
Ho rivisto una cicogna sul campanile di una chiesa.
L’albergo andava un po’ a pezzi, ma la stanza aveva un grazioso balconcino in cui fumare. E una ottima colazione stamattina
da Melide ad Arzua
È stata una delle tappe più corte, solo 14,2 km, più un altro paio per raggiungere l’hotel Fonda do Norte, che è un po’ fuori mano. Adam dice che lontanissimo, ma non è così. Beh, forse quando sei stanco e piove un po’ sì.
È stata anche una delle tappe più belle, per qualche verso. Stranamente c’era poca gente. Mi era già successo ieri, a dire il vero, di fare qualche chilometro completamente da solo, sperso nei boschi, ma ieri è stato perché ho sbagliato strada, ero completamente fuori dal Camino e, sì, non c’era anima viva, solo qualche cane.
Oggi no. Ero sul tracciato. Tra l’altro ho iniziato a fotografare tutti i piloncini che segnalano il percorso, ne farò qualcosa, magari un collage, o un time-lapse movie. Ero sul percorso è non avevo gente intorno. Per qualche chilometro. Prima volta. Il percorso poi è bellissimo, molto curato, tutto sotto gli alberi. Col sole deve essere una meraviglia. Ma pioveva a dirotto. Ho camminato lentamente, avevo tempo.
Sono arrivato fradicio, e fortunatamente l’hotel aveva una lavanderia automatica, mi sono fiondato alla secadora. Ci ho messo anche le scarpe. 30 minuti 3 euro. Adam è arrivato che mancavano solo sette minuti. Doveva usare l’asciugatrice anche lui, per cui ha aspettato e abbiamo chiacchierato un po’. L’asciugatrice sembra essere un buon modo per conoscere persone lungo il Camino. Perlopiù maschi.
Adam è un insegnante di religione e filosofia in un college nel North Carolina. È partito da Sarria, cosa strana per uno che fa un viaggio così lungo. Jennifer, ad esempio è partita da Saint Jean.
Adam è qui perché sta cercando dei posti verso cui proporre gite ai suoi studenti. La gente fa il Camino per i motivi più strani.
Jennifer invece l’ho incontrata per strada. Pioveva come Dio la manda. Dio, essendo Lunedì, creava l’acqua. Lei cercava di farsi un selfie, con evidenti difficoltà dovute al poncho e alle bacchette che teneva in mano. Così ho pensato di restituire il favore che mi aveva appena fatto la spagnola ci capelli rossi e mi sono offerto di scattarle la foto. Questo del fare le foto è un altro ottimo modo per conoscere gente. Perlopiù femmine.
Insomma abbiamo fatto insieme i cinque o sei chilometri che mancavano ad Arzua. Lei è canadese, in pensione, e ha 59 anni. Al mio stupore mi ha detto che tanti vanno in pensione a 52 in Canada. Non ho indagato per evitare depressioni. Aveva programmato di fare il Cammino col fratello del suo ex marito, ma l’altro alla fine non ha potuto ed è venuta da sola. Pieno di donne toste il Camino.
La spagnola dai capelli rossi invece sì è offerta di farmi una foto mentre armeggiavo per farmi un selfie da mandare a Vic. Molto carina. Vic, quando gliel’ho raccontato ha commentato “non te ne fai scappare una”. In effetti scappano tutte alla fine, ma forse sto sviluppando un po’ un carattere alla Celestino. Mi sembra si chiamasse così il protagonista di “L’amore ai tempi del colera” di Garcia Marquez. Ad una certa età hai meno “urgenze” relazionali rispetto all’adolescenza, e il sorriso di una bella ragazza che ti scatta una foto vale più di una notte di fuoco con una pornostar. Non che disdegnerei quest’ultima, se ci sono pornostar in ascolto si facciano pure avanti. Lory, tranquilla, accetto solo pornostar a donativo.
Poco prima di Arzua c’era una postazione in cui ti mettevano il sello e ti invitavano alla messa per i pellegrini alle 7, nella chiesa parrocchiale, magari ci vado (anche solo per chiedere l’assoluzione per i pensieri sulla pornostar).
Anche Arzua non è male. Più grande di Melide, tanti negozi. Direi che cerca un equilibrio tra città per pellegrini e per la gente che vive qui. Il risultato è molto armonico.
Sono andato a tagliarmi barba e capelli in una peluqueria. Dopo un mese e più senza tagliarli avevo i baffi da Schnauzer e ne mangiavo un po’ ad ogni pasto. Il parrucchiere parlava abbastanza bene l’italiano. Anche lui per aver lavorato tanti anni in Svizzera, ci sarà qualche spagnolo che l’ha imparato in Italia ?
La messa del pellegrino era simpatica. Parecchie persone, almeno non c’erano solo vecchiette. Il prete alla fine ha benedetto tutti i pellegrini uno a uno girando tra i banchi. C’era anche Ben, il Nepalese che avevo incrociato a Gràñon e da Jose Luis. Se non ha preso il treno anche lui per essere qui adesso, e non credo l’abbia fatto, deve aver camminato regolarmente per più di 35/40 km al giorno. Chapeaux.
Se a Portomarin non c’è niente, ma almeno si imbellettava per far sembrare ci fosse qualcosa, Palas de Rei non ci prova neanche. È un paesotto un po’ cresciuto. Chiaramente cresciuto grazie al Camino che ha sostituito un’economia agricola e povera. Non ha neanche quell’ accenno di vocazione turistica che ha Portomarin credo grazie al lago. Qui, non fosse per il Cammino non avresti motivo di venire, e anche così ci passi la notte e te ne vai in fretta.
La camminata per venire qui è stata simpatica invece. Bella la strada, anche se un po’ massacrante, 11 km di salita decisa e altri 11 di discesa altrettanto pronunciata. Cielo coperto e fresco, chiacchierata piacevole con Roberto per quasi tutto il tragitto.
Roberto è la seconda persona oggi a cui parlo in spagnolo e mi risponde in italiano. Il primo era uno spagnolo di Cremona (ora è davvero spagnolo, da quando è in pensione si è trasferito da queste parti).
A Roberto ho chiesto informazioni su una chiesa di cui avevo visto il cartello, mi ha detto che non valeva la pena, ho girato i tacchi e sono andato avanti con lui. Lavorava in banca e ora è un iso jubilado come me. Ex sportivo, va deciso, ma ormai sono allenato e riesco a stargli dietro anche col mio pesantissimo zaino. L’ho pagata con due nuove vesciche.
Solita processione all’uscita dal paese, anche se sono partito decisamente presto per i miei standard. Ci sono un sacco di gruppi di ragazzi, sembrano scolaresche. Tipicamente spagnoli o tedeschi. Molto rumorosi. Dopo un po’ li perdi di vista e si viaggia più tranquilli, ma comunque è raro avete momenti in cui non hai nessuno nel raggio di 10 metri.
Il dormitorio è simpatico, i letti a castello sono tipo cuccette, con tanto di tendine per la privacy e ben due prese e un armadietto per ognuna. Accontentiamoci di questi piccoli lussi.
Mangiando un panino in un bar leggevo un giornale locale. Qui sono preoccupati di un virus zoonotico che si chiama mono, di cui sembra ci siano alcuni casi in Spagna. Tra le poche notizie che leggo sui siti italiani questa non c’è. Non è che dovremmo preoccuparci?
Portomarin sembra caruccia appena arrivati. Una bella scalinata per salire al borgo vecchio, una bella piazza con una chiesa (chiusa anche se il cartello dice il contrario), una via coi portici da entrambi i lati e un sacco di negozi, bar e ristoranti lungo questi. Di fatto, se ti allontani un po’ dalla zona spenna-turisti non c’è molto. Una bella chiesetta verso l’esterno del paese (chiusa anche lei) e tante case vacanze inframmezzate dai soliti hotel, pensioni e albergue. Il castello della chiesa dice Igrexa, non iglesia, devono parlare qualche dialetto strano.
Non so perché si chiami Portomarin. C’è dell’acqua in effetti, ma è solo un fiume che viene da Lugo, come me, e va verso l’Atlantico, dalle parti di Vigo. Il fiume qui si slarga un po’ è fa una specie di lago, ma non vedo porti.
Credo sia una di quelle cittadine in cui i locali vengono a prendere un po’ di fresco, tipo Vico per quelli di Ivrea, per intendersi (per intendersi con quelli di Ivrea). Per il resto è una macchina per tritare pellegrini. Quelli della pensione e quelli del ristorante in cui ho mangiato sono pure antipatici. Dove sono finiti i tempi in cui per fare questo mestiere ci voleva anche un po’ di vocazione.
A proposito, sto bevendo una coca in un bar e di fianco ho tre tipi che ridacchiano di uno che ha come curriculum il gestire un “apartamento de puta“.
il viaggio
Avevo pensato di non prenotare. La lista di alberghi a Portomarin sull’app Camino Ninja è lunga due pagine, non pensavo di poter avere problemi.
È successo invece che mi sono infilato in un negozio di souvenir a Barbadelo.
Corre voce, non so se sia vero, che per avere la Compostela a Santiago sia necessario mettere due o tre timbro al giorno negli ultimi 100 km. I timbri (o sellos) li mettono alberghi, bar, negozi, chiese e bancarelle varie, e testimoniano che quel giorno eri lì. Così, per mettere un sello in più sono entrato.
Ovviamente ho dovuto comprare una spilla (la prossima volta vado in un bar) e il tipo mi ha chiesto se avevo prenotato a Portomarin. Al mio no mi ha detto che era assolutamente consigliabile farlo e mi ha proposto di telefonare lui al suo amico Pepe. Così sono uscito con sello, spilla e reserva.
22 km. Alla fine ero un po’ stanco. Mi sto portando lo zaino e non sono più tanto allenato. Ho lasciato a Sarria il tappetino, usato solo un paio di volte e la bomboletta che emette roba fredda per i dolori, che non ho mai usato. Non è un granché di alleggerimento, ma senza tappetino è più comodo.
Camminata piacevole, sotto un cielo coperto per la prima parte della giornata e, grosso modo, all’ombra di un sacco di alberi quando è spuntato il sole.
pensione
Poi Pepe non c’era. C’era sua moglie, che mi ha dato le camera e messo il sello. Le ho chiesto se c’era un posto per lavare e stendere (mi ero preparato una bellissima frase col traduttore) e lei è partita con uno sproloquio in cui ripeteva la parola “cremagliera”. Alla mia faccia perplessa si è tirata un po’ su la maglietta e ha fatto il gesto di slacciarsi i pantaloni, al che ho pensato “oddio !”, ma dovreste conoscere la signora Pepe per capire la preoccupazione. Poi era solo un modo poco fine, diciamo, per farmi capire che cremallera in spagnolo significa cerniera lampo. Il succo del discorso era che potevo lavare la roba in camera, ma dovevo stare attento a non rigarle il lavandino con le cerniere, poi potevo stendere fuori.
Alla fine ho deciso di dormire qui. O lo ha deciso qualcun’altro ( Vic 😜). Sarria, dovunque si metta l’accento, sembra carina, sarebbe un peccato non vederla.
Così sono andato alla Pension Serrano, che è proprio lungo il Camino. Si vedono i pellegrini gocciolare qui davanti. Mi sono concesso una lussuosa camera da 35 euri con bagno fuori, in comune. Caro, a pensarci, ma ci tenevo, almeno per un’altra notte, a non dovermi preoccupare per il russare mio è degli altri. Ho preso l’ultima camera disponibile. Le altre erano tutte prenotate.
Pensionato in spagnolo si dice jubilado, che rende molto più che in italiano il senso di paradiso in terra della cosa. Me l’ha detto il nonno di Carlotta. Erano qui davanti mentre mangiavo un bocadillo jambon y queso. Siamo riusciti a fare una chiacchierata nonostante il mio spagnolo stentato, ma lui ha lavorato parecchi anni in Svizzera con colleghi italiani da cui ha imparato qualche parola della nostra lingua. È il secondo spagnolo che incontro che sa un po’ di italiano per aver lavorato in Svizzera. Dev’essere una cosa frequente. Ha fatto il Camino cinque volte da qui. Carlotta mangiava patatine fritte, gli ho detto che non era saludar, che non ho idea se sia una parola spagnola, per una bimba. Lui era d’accordo e mi ha fatto una lunga tiritera che non ho capito per spiegarmi perché non avevano potuto comer a medio dia.
Venendo in qua in pullman pensavo che tutto sommato anche questo è un pellegrinare. Mi vengono in mente i due pellegrini de “la via lattea” di Buñuel, che fanno il Camino da Parigi a Santiago e non disdegnano di fare l’auto stop.
Le autostrade fanno un largo giro intorno al Camino. Ho fatto più di 150 km per un tratto che lungo il Camino è di 98. Magari una volta ritorno e faccio il pezzo che ho saltato. Adesso va bene così.
La Galicia è molto bella, anche vista dal pullman.
Non si vedono cigueñe qui, solo qualcuna dal bus.
Ora vado a vedere cosa c’è di bello a Sarria.
il paesotto
Alla fine non c’è granché da vedere. Quel poco di antico è sul tracciato del Camino.
Bello il Monasterio de Magdalena. Per entrare devi suonare una campana e dopo un po’ ti vengono ad aprire. C’è un bellissimo chiostro, e la chiesa è molto raccolta, sempre con le tipiche volte con gli archi a vista di queste parti. In chiesa si sentivano delle ragazze cantare, il monasterio ospita un collegio per donzelle.
Per il resto è una cittadina turistica fatta su misura per i pellegrini che iniziano il Camino da qui: sembra siano il 21 per cento. Tantissime strutture ricettive, hotel, pensioni e un’infinità di posti per mangiare e bere. Ci sono anche persone locali, ma scompaiono in mezzo alla massa di pellegrini e turisti.
Sono stato un po’ in un parco lungo il fiumiciattolo, c’era una ragazza che faceva yoga consultando le posizioni su un cellulare.
la pensione
Poi il bagno era in camera, e anche bello. Ritiro il “troppo caro”. Tra l’altro la ragazza è molto gentile, le ho chiesto dove potevo lavare qualche indumento, mi ha detto che non avevano un posto, si è fatta portare quello che avevo da lavare, l’ha messo nella lavatrice della pensione e mi ha steso lei tutto.
Giusto un paio di giorni fa parlavo con Cristina e Connie del libero arbitrio. Io sono abbastanza convinto che i nostri spazi di manovra nelle decisioni che prendiamo siano molto molto piccoli, ammesso che ci siano. E che noi siamo semplicemente spettatori delle nostre vite, non piloti. Tutto questo per dire che non so chi ha preso la decisione ieri di cambiare ritmo.
All’improvviso mi sono sentito un po’ stanco dei soliti tran tran, cammina cammina, cerca un posto per dormire, prepara il letto, lava qualcosa, stendi, cazzeggia un po’, vai a dormire sperando che nessuno ti svegli perché russi, ti svegli perché gli altri russano, ti svegli quando si alzano quelli delle cinque e ti risvegli ogni mezz’ora per quelli dopo, ti alzi, cammina cammina.
Così ho deciso di saltare un po’ di tappe. Ho preso un treno fino a Ponferrada, che, non so poi perché, volevo vedere, e domani vado in qualche modo a Sarria (si pronuncia con l’accento sulla prima “a”) e riparto di lì.
Connie ha continuato a piedi. Un po’ mi manca, è stata un’esperienza piacevole fin qui, ma avevo bisogno, e credo anche lei, di fare un po’ di strada da solo, come mi ero immaginato il Camino all’inizio.
Ponferrada è caruccia. Non solo la parte vecchia, col castello templare, anche la città vera, coi negozi, i mercati, la gente che se vede un tipo slandronato con zaino e bacchette da tracking non gli dice “Buen Camino”, ma lo guarda con un misto di diffidenza e compatimento.
Il castello è chiuso, apre tra un’ora. Giusto il tempo di scrivere qualcosa.
Volevo comprare a Edo un boccale di ferro da vero templare, ma mi sembra un peso eccessivo da portarsi dietro per altri 100 km.
Nella chiesa c’è una copia della Sindone con scritto che l’originale è a Torino. Non so se l’originale sia autentico, tendo a pensare di no, ma mi ha fatto sentire un po’ a casa.
sera
Il castello poi non era granché dentro. Tutto vuoto, con delle scale stile moderno per accedere alle varie aree. Però la visita è gratis per i pellegrini e ora ho un timbro anche di Ponferrada sulla credenziale.
Ho chiesto informazioni per andare a Sarria da qui. Non è facile. Ci sarebbe un treno, ma causa lavori è sospeso. Il taxi costa 130 euro, ho detto alla tassista che era caro e lei mi ha detto prendi un pullman. Il pullman c’è solo alla sera, diretto. Quella della biglietteria dell’ALSA mi ha consigliato di andare a Lugo e di lì a Sarria con un bus della Monbus. Tutti quelli a cui ho chiesto pronunciavano Sarria con l’accento sull’ultima “a”, quando lo pronunciavo io potevo mettere l’accento dove volevo che non capivano una mazza. Qui nessuno parla una parola di inglese da nessuna parte, sto facendo un largo uso di Google Translator per imparare un po’ di spagnolo di emergenza.
Non prenoto niente a Sarria, se arrivo un po’ presto voglio fare qualche km. Da lì i paesi sono uno attaccati all’altro.
Uscire dalle grandi città è noioso, e Leon non fa eccezione. Anzi. Sì estende di fatto per almeno 11 chilometri dal centro, e bisogna percorrerne almeno 15 prima di trovare un paesaggio che non sappia di periferia di grande città.
Uscendo siamo passati da San Marco. Non so se fosse un convento in origine, comunque qualcosa del genere, ora è un hotel a 5 stelle ed è diventato famoso, almeno tra gli appassionati del Camino, per le scene lì ambientate del film “Il Cammino per Santiago” con Martin Sheen.
Per il resto percorso noioso, quasi tutto lungo la strada.
Poco fa è passato un italiano, credo sia di Brescia, che avevo incontrato a El Burgo Ranero. Era sorpreso di vedermi qui perché lui ha fatto a piedi da lì a Leon, il tratto che noi abbiamo percorso in treno, in una botta sola. Dice di aver camminato per 39 chilometri, è arrivato stravolto a Leon e si è messo a dormire senza vedere niente. Non era molto contento neanche del pezzo di oggi: decisamente le grandi città non sono ben integrate nel Camino. Meglio usare treni e taxi.
Domani dovremmo essere ad Astorga, ma non si riesce a prenotare niente: è tutto completo. Non stupisce perché molti prenotano con svariati giorni di anticipo e spesso cancellano le prenotazioni all’ultimo momento. C’è il solito albergue municipal che non accetta prenotazioni e ha 150 posti. Partendo presto dovremmo farcela.
Stasera qui fanno la paella, 10 euro, vedremo com’è. Sono giorni che ho voglia di mangiarla.
cena
A cena il nostro era l’unico tavolo su tre non composto esclusivamente di italiani.
C’era anche una russa, la prima che incontro sul Camino, ma non voleva parlare del suo paese.
Michael, un americano del Colorado, mi ha chiesto se era la mia prima avventura da pensionato, gli ho risposto che spero non sia l’ultima.
Dà un po’ l’idea di cosa sia il Camino oggi rispetto al medioevo.
Oggi abbiamo trovato diverse vecchie conoscenze in giro per la città. Cristina, che, tra l’altro, ha visto Kira, Barbara from Austria, Diana, una tedesca che avevo conosciuto ieri sera ed era sul treno con noi stamattina e Francisco, the old man.
Francisco sta nello stesso albergue di Cristina, oggi l’abbiamo accompagnata lì ed era nella hall, così abbiamo fatto due chiacchiere. Si parlava delle lingue parlate in Spagna. Francisco è Catalano. Il catalano è più simile all’italiano del castigliano (lo spagnolo ufficiale). Alla fine della chiacchierata Francisco ha detto che “abemos charlado“. È interessante che anche noi usiamo la parola ciarlare, ma, mi pare, in un senso un po’ più dispregiativo. Non lo useremmo per indicare una chiacchierata tra amici.
Francisco ci ha mostrato il suo piano per arrivare a Santiago. Farà due tappe in taxi perché sono troppo difficili.
Fare delle tappe in treno o taxi sembra una cosa comune tra i vecchietti e i malaticci. Siccome potrei ascrivermi ad entrambe le categorie potrei essere tentato di seguire il suo esempio. In effetti una delle tappe che lui ha saltato, quella dei Pirenei, sono riuscito a farla. Ma ero un po’ più giovane, e meno malaticcio.
Leon mi piace di più di Burgos. La cattedrale è molto più bella. Anche se trovo entrambe troppo piene, troppo pesanti .
Abbiamo visto la Casa de Botines, di Gaudì. Sembra un castello di Disneyland.
Mi è piaciuto più che altro girare per la città, anche se sono contento che da domani riprendiamo a vedere la campagna e gli sterrati del Camino.