Credo

Si parla molto, in questi giorni, del Credo di Matteo Salvini. Lo si critica per aver usato questa parola come logo per la sua campagna elettorale. La critica sottolinea in genere la mancanza di quelle certezze che, secondo i critici, dovrebbero indirizzare il pensiero di un politico.

In effetti non mi è chiaro perché Salvini l’abbia scelta. Probabilmente, dal suo punto di vista, è solo un richiamo familiare all’elettorato cattolico conservatore. Mi auguro non voglia richiamare anche il “credere, obbedire, combattere” dei motti fascisti.

In ogni caso, aldilà delle motivazioni salviniane, a me questa parola applicata alla politica piace.

Credere, sia in campo religioso che nella prosaica vita quotidiana è il risultato di un’elaborazione inconscia. Di fronte a problemi troppi complessi per arrivare ad una decisione razionale il nostro cervello non rinuncia e ci propone un risultato non verificabile, un risultato fatto di sensazioni. Anche la decisione razionale si manifesta alla coscienza come sensazione, ma ci permette di smontarla, seguirne i passi logici. Quella istintiva no, al massimo è accompagnata da una sensazione di probabilità, ci comunica in qualche modo il suo grado di certezza, o meglio, il suo rapporto costi benefici.

credo teologico

Se ci poniamo le domande importanti, quelle che riguardano il perché esistiamo, se la vita abbia un significato, cosa sia la coscienza e che ruolo abbia, la nostra mente ci propone, tra le altre risposte, la possibilità dell’esistenza di un assoluto, di un intelligenza al di là di noi. Magari queste risposte sono influenzate dalla scienza, dalla tradizione che ci ha educati. Ma ragionare su queste cose è la sfida più ardua per la ragione. Le uniche risposte, positive o negative, sull’esistenza di questa super intelligenza ce le dà l’intuito. E quindi crediamo o non crediamo in un Dio. Niente certezze, solo sensazioni di probabilità.

Le religioni tendono a trasformare questa sensazione in certezza, in atto di volontà, atto di asservimento a questo super essere, ma fanno, in questo, una mossa falsa. Il dubbio è l’unica fonte di energia spirituale sensata. La molla che può spingerti a cercare costantemente prove, la molla che ti fa cercare Dio continuamente, non dandolo per acquisito una volta per tutte. Senza dubbi la Fede si trasforma in crociate, “il mio Dio è meglio del tuo”, “il mio Dio è l’unico possibile”.

credo politico

I problemi che affronta la politica sono sempre complessi. Più complessi di quanto la nostra mente razionale è in grado di sbrogliare. Semplicemente non abbiamo abbastanza dati per sapere con certezza cosa funzionerà e cosa no.

Le dottrine economiche sono sempre delle scommesse, e i proponenti sono inclini a sostenerle più per il grande potenziale guadagno che vedono per se stessi o la classe di persone rappresentata, che per la certezza del risultato.

Liberalismo e comunismo, ad esempio, sono entrambe ricette per un mondo migliore. Se entrambi funzionassero penso non ci sarebbe una grossa differenza, per un cittadino medio, a vivere in una società governata dall’una o dall’altra ideologia. Il problema nasce quando la scommessa non funziona: in un capitalismo sfrenato avremo pochi ricchi agiati a spese di una massa di gente in sofferenza economica, in un comunismo immaturo avremo una massa di burocrati che vive alle spalle di tutti gli altri.

Sono credi, comunque. Fedi irrazionali.

È una fede quella che vuole autoritarismo, l’uomo forte. Chi ci garantisce che saprà fare le scelte giuste ?

È una fede la democrazia diretta, o anche la democrazia tout court. Non sappiamo se la gente avrà l’impegno per partecipare, informarsi e prendere decisioni sensate.

È una fede il sovranismo. Come si può essere sicuri che non staremmo meglio cedendo sovranità a organismi più grandi ?

Ed è una fede anche essere moderati e riformisti. Chi può dire con certezza che decisioni azzardate e potenzialmente destabilizzanti non possano produrre alla fine buono risultati?

Quindi gettiamo la spugna ? Tanto è tutto uguale, inutile prendersela calda per un’idea ?

Certo varrebbe la pena di smorzare i toni. Anche qui un po’ di sano dubbio sulle proprie convinzioni non guasterebbe. Ma, in fondo, l’unico modo di verificare se un’idea funziona è provare ad implementarla. Cercare di coinvolgere altri su una possibile idea la mette anzitutto alla prova della coscienza collettiva, se in tanti ci credono non deve essere poi malaccio.

tifo

L’unica cosa a cui starei attento, anche qui, sono le crociate. La politica sembra sempre più una questione di squadre, vedo pochissime persone disposte a sentire davvero le idee degli altri, la sola idea di votare qualcuno che “è stato della parte avversa” è impensabile per molti. Ci si rinfaccia a vicenda di essere di destra o essere di sinistra, come se se uniche possibili soluzioni al problema politico fossero quelle inventate nell’800. Quelli che sfuggono a questa dicotomia si irrigidiscono su questioni di simpatia/antipatia.

E invece la mobilità, la velocità di incrocio e propagazione delle idee è fondamentale per trovare in fretta quelle migliori (i virus a RNA insegnano).

Credo dovremmo impegnarci tutti a vagliare sia le idee che le persone sulla base dei risultati ottenuti. Cosa non facile, ma nemmeno impossibile, almeno quel tanto che basta per dire “per questa elezione Credo”.

I 21 comandamenti

Il diavolo non esiste

Il Diavolo è sicuramente un soggetto interessante, ed è stato protagonista di straordinarie opere figurative e letterarie. Mi vengono in mente Dante e soprattutto Saramago col suo bellissimo “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”.

Ma, guardandolo dal punto di vista teologico/filosofico credo sia la prima cosa che uno rifiuta della religione Cristiana, appena inizia ad applicare un po’ di spirito critico.

Se si arriva da un’educazione cattolica è un po’ più difficile. Se ti riempiono la testa da piccolo con un sacco di dogmi senza senso, ma vedi tanti adulti intorno darle per scontate, la reazione immediata è del tipo “non capisco ancora, prima o poi capirò”. Poi, crescendo, ti accorgi che neanche gli adulti intorno capiscono davvero, semplicemente si fidano di qualcos’altro. Questo qualcos’altro inizialmente pensi, accetti, che sia Dio che ha rivelato a qualcuno tanto tempo fa delle cose che si sono tramandate nel tempo. Se cerchi di capire un po’ di più ti accorgi presto che molti di questi dogmi sono nati nel corso del tempo. Sono stati aggiunti al corpo dogmatico principale, non senza controversie, e che spesso sono frutto di atti legislativi tesi più a tenere in piedi un’organizzazione molto terrena, la Chiesa, che a interpretare il pensiero di un Dio.

In effetti il concetto del Diavolo è visto con sospetto da molti anche all’interno della Chiesa. Che lo si immagini come essere con le corna e gli zoccoli e padrone di un inferno incandescente, come vuole la cultura popolare e molta iconografia, o che lo si guardi in maniera più filosofica come potenza, Dio alternativo, che giustifica la presenza del male nel mondo, è un concetto che fa acqua da tutte le parti.

È un’idea che serve in tutte le religioni (o almeno quelle con qualche elemento di dualismo) a giustificare l’esistenza della sofferenza e delle tentazioni.

Se vogliamo pensare a Dio come a un essere immensamente buono, che ci ama, da dove nasce la sofferenza ? Come giustifichiamo un Dio che ci ha creati con la possibilità di soffrire ? Allora tanto buono non deve essere. E se ci ha creati lui perché è così difficile seguire le sue prescrizioni ? Deve essere colpa di qualcun altro. Inventiamolo.

Libertà

La risposta ufficiale a queste domande (l’ha data anche Papa Francesco nella sua recente intervista in TV, che non mi è piaciuta), è che Dio ha voluto lasciarci liberi di scegliere.

È una risposta che non condivido. Ma dai, Dio, mi metti davvero a giocare per qualche decennio in un videogame e, se perdo, mi fai vivere tutta l’eternità nella sofferenza ? Ma chi ti ha chiesto di farmi giocare ?

Senza contare che questa presunta libertà è tutta da dimostrare. Gli scienziati tendono a trovare un sacco di conferme all’idea che le nostre scelte siano perlopiù il risultato di reazioni chimiche tra gli elementi del nostro organismo. Queste reazioni sono condizionate dall’ambiente circostante, dalla nostra eredità genetica, dal microbioma (l’insieme dei batteri all’interno del corpo), dal viroma (l’insieme dei virus al nostro interno), dalla nostra educazione e posizione sociale.

Penso che la nostra libertà spesso si riduca a prendere coscienza di quali meccanismi, o stimoli, abbiano ispirato una determinata scelta.

Dualismo

Il dualismo poi crea problemi filosofici non da poco. Ammettiamo anche che esista il Diavolo e che il male sia opera sua, mentre Dio resta quello che vuole solo il nostro bene. Ok, ma quel Diavolo chi l’ha creato ? Se è davvero allo stesso livello di Dio, non creato da lui, vuol dire che Dio non è onnipotente, se l’ha creato lui mi ricorda Putin che dice “no, non voglio invadere l’Ucraina” mentre manda agenti provocatori a far scoppiare disordini per avere la scusa per l’invasione.

Insomma non se ne esce.

Ma serve

Però un Diavolo ci servirebbe.

Nelle religioni dualiste, o dualiste mascherate come il Cristianesimo, il Diavolo serve a giustificare la sofferenza e le tentazioni. A noi, agli uomini del nostro tempo, forse non serve più a quello.

Quanto alla sofferenza direi che la scienza ha ampiamente spiegato che il dolore, a livello del singolo organismo, è semplicemente la nostra bussola biologica per evitare situazioni dannose. La sofferenza, come il piacere, ci serve da rotaia per muoverci lungo il percorso su cui la nostra macchina organica funziona meglio. A livello sociale la sofferenza, intesa come tensione tra gli individui, la morte degli individui stessi, è la base del meccanismo evolutivo biologico. I singoli individui possono soffrire, vedere le loro possibilità restringersi fino a scomparire, per il bene della specie.

Ma non solo. L’umanità, con la sua evoluzione culturale prende in mano questi meccanismi ancestrali, e li migliora. La sofferenza dei singoli viene diminuita dalla medicina, dalla solidarietà, dall’educazione, la diplomazia e il commercio che evitano le guerre.

Quindi non ci serve più il concetto di Diavolo per giustificare la sofferenza, sappiamo cos’è e abbiamo un’idea su come gestirla.

Per quanto riguarda le tentazioni la cosa è più complicata.

Se accettiamo l’idea che il bene dell’umanità nel suo insieme è più importante di quello dei singoli individui, abbiamo bisogno di re-introdurre il concetto di peccato. Ci servono regole per comportamentali per il singolo per fare in modo che questo si adegui agli interessi della collettività.

Potremmo definire peccato qualsiasi comportamento individuale che favorisca il bene dell’individuo a scapito di quello della specie.

La cultura laica ha già accettato questa idea da secoli. I peccati più gravi sono puniti dalle leggi. Se ammazzo qualcuno perché ostacola i miei interessi, se rubo, se violento donne o bambini, se anche solo metto a rischio il benessere degli altri, ad esempio guidando un’auto troppo velocemente, vengo punito dalle leggi.

Altri peccati sono veicolati dal senso comune. Se non mi lavo e puzzo o non mi vesto decentemente, se non imparo un mestiere e non cerco un lavoro, se anziché dialogare urlo, se non ho un minimo di cultura, se non mi informo, se non dimostro un minimo di benevolenza e gentilezza verso gli altri, vengo automaticamente classificato dalla maggior parte delle persone che mi circondano come un sub umano. Vengo gradatamente estraniato dal contesto civile.

Ma chi definisce cosa è peccato e cosa no ?

Le religioni hanno giocato storicamente un ruolo importante in questo. Molti dei comportamenti sanzionati dalle leggi e dal senso comune arrivano direttamente da quello che la religione dominante in quel dato territorio riteneva peccato.

Quindi il Diavolo ci serve, non tanto per giustificare il concetto di tentazione (il fatto che l’individuo senta il proprio benessere in conflitto con quello della comunità), ma per analizzare queste dinamiche e definire quali comportamenti sono da considerare buoni e quali cattivi.

Forse Mosè sul Sinai ha parlato col Diavolo non con Dio, è più facile derivare norme comportamentali dal concetto di Male che da quello di Bene assoluto.

E allora ricreiamolo

Proviamo, allora, a ridefinire il concetto di Diavolo.

Guardando la storia umana dall’alto possiamo scorgere una direzione abbastanza definita su cui l’umanità si sta muovendo.

Vi consiglierei, a questo proposito, di leggere il libro “Sapiens. Da animali a dèi” di Yuval Noah Harari. Parlerò di questo libro in uno dei prossimo post, sto ancora mettendo a posto le mie note. È una carrellata dell’evoluzione della nostra specie negli ultimi 100 mila anni.

Harari identifica in questa evoluzione diversi filoni che, insieme, stanno portando l’umanità a diventare sempre più unita e sempre più sganciata dall’evoluzione biologica.

Credo che questa visione del sentiero che stiamo percorrendo possa essere accettata sia da un punto di vista laico che da quello di un credente. La direzione verso cui ci stiamo muovendo possiamo vederla sia come frutto di una casualità, sia come etero guidata da qualche intelligenza superiore. La percepiamo come incerta in entrambi i casi.

Se è oscuro il punto di arrivo è però abbastanza chiaro da cosa ci stiamo allontanando. Abbiamo favorito:

  • i comportamenti individuali che hanno portato all’unificazione di gruppi di individui in organizzazioni sempre più vaste.
  • i comportamenti dettati più dall’evoluzione culturale che dagli istinti di cui ci ha fornito l’evoluzione genetica.

Quindi definirei il Diavolo come uno dei poli che determina questa direzione. Ci stiamo allontanando da lì. Qualsiasi comportamento che ci riporti verso quel punto di partenza è da definire ispirato dal Diavolo e quindi peccato.

Qualsiasi comportamento che divida anziché unire.

Qualsiasi comportamento dovuto a scelte istintive, non mediate dalla consapevolezza di dove stiamo andando tutti insieme.

Possiamo ridefinire Dio nello stesso modo ?

Credo di no. L’evoluzione culturale ha lavorato per un tempo molto limitato, circa 50 mila anni, negli ultimi due o tre mila ha avuto una grande accelerazione che è diventata spaventosa nell’ultimo paio di secoli. Non è una linea retta e predire il futuro da quello che leggiamo nel passato è impossibile.

Secondo Harari tra non molte generazioni gli individui potrebbero essere talmente diversi da ora (grazie a biotecnologie, possibilità di impiantare coscienze su organismi non biologici etc.) che è impossibile immaginare il futuro dell’umanità (tenendo anche in conto la possibilità che la nostra specie si estingua in un disastro ecologico).

Quindi no, non possiamo definire Dio in questo modo. Come credenti possiamo accettare l’idea che esista, che parli nelle nostre coscienze, che ci guidi su un cammino che ha un senso, ma non possiamo capire più di questo. Come non credenti possiamo solo incrociare le dita.

I comandamenti

 

Stabilito qual’è la bussola, visto che negli ultimi 500 anni ci siamo mossi parecchio forse è il caso di riguardare la mappa e decidere da che parte andare. Potremmo risalire sul Sinai e riscrivere le tavole della legge, questa volta in digitale (Mosè si è limitato a 10 perché doveva scoprire sulla pietra con un martello, qui possiamo metterne un po’ di più).

Una lista stilata oggi potrebbe comprendere:

  1. Paga le tasse. Senza barare. Servono per migliorare la vita di tutti. Se sei uno dei fortunati che ha di più della media non sentirti sminuito dal dover dare di più a tua volta. Il mondo è stato generoso con te, ricambia con entusiasmo.
  2. Controlla come vengono usate le risorse comuni. Non firmare assegni in bianco ai politici, esigi trasparenza, informati, controlla, eleggi chi fa meglio per il bene di tutti.
  3. Esigi che i politici che eleggi lavorino per cedere sovranità, dove è possibile, a organizzazioni sempre più ampie. E controlla anche i politici di queste organizzazioni.
  4. Partecipa alla vita politica, se ne hai le capacità anche in prima persona.
  5. Coltiva il tuo potenziale. Studia, non solo a scuola, ma per tutta la vita.
  6. Cerca un lavoro, non farti mantenere se puoi. Cerca un lavoro che ti dia pienezza, che ti faccia usare tutte le tue capacità.
  7. Non sgomitare, cerca di non prevaricare sugli altri. In una disputa cerca il miglior compromesso per tutti. Nella contesa per un incarico riconosci il valore di chi è meglio di te e sostieni il tuo valore se sei tu il migliore. Cerca il bene comune non il tuo, devi comprendere il punto di vista degli altri e le loro capacità. E accetta che le decisioni prese insieme possano non essere sempre le migliori, una decisione sbagliata presa insieme è meglio di un conflitto perenne o di una scissione.
  8. Trovati degli amici. Non vivere senza relazioni. Un legame forte con alcune persone è un buon allenamento per creare legami con tutte le persone del mondo.
  9. Non accumulare ricchezze per paura del futuro. Il denaro, le risorse servono a spingere avanti il mondo e non possono farlo se non vengono scambiati. Rischia i tuoi averi, anche con l’obiettivo di moltiplicarli, ma mettili in gioco, finanzia imprese che ritieni utili. Se hai una casa in cui non abiti, anche per un periodo, affittala.
  10. Se hai un’idea per un progetto non partire da solo. Parlane ad altri e realizzatelo insieme. Condividi i guadagni e i rischi.
  11. Mira a comprendere sempre meglio te stesso. La tua salute, le tue capacità, i tuoi limiti.
  12. Ama l’arte. Leggi, ascolta musica, visita musei, impara a suonare uno strumento.
  13. Non nasconderti. Non fingerti diverso da quello che sei. Odia la privacy e spingi perché vengano cancellate le leggi che la sostengono. Quanto più gli individui sono trasparenti ed esposti al reciproco controllo/aiuto tanto più facile sarà creare una società che funzioni più come organismo che come insieme di individui isolati. Permetti che i tuoi averi, le tue scelte, anche il tuo DNA siano visibili ai ricercatori. E controlla che uso viene fatto di questi dati.
  14. Non sindacare sulle scelte politiche, sessuali, etiche altrui. Se hai idee diverse dialoga, cerca di trovare insieme agli altri le soluzioni migliori. Ma tieni presente che solo comportamenti individuali liberi (non costretti o inibiti dagli altri) hanno l’energia per sostenere una macchina sociale funzionante. In generale un comportamento scorretto è meglio di un individuo depresso, finché il danno che reca alla comunità non è elevato.
  15. Ridi, rilassati, divertiti, perdi tempo. Ed evita l’eccesso di tutte queste cose.
  16. Evita l’ansia, la fretta di raggiungere risultati, l’ambizione. Evita anche l’eccesso di pigrizia.
  17. Cammina molto. Non usare l’auto per andare dove basta una bici.
  18. Cerca momenti di riflessione. Medita regolarmente. La meditazione ti rimette in fase col mondo, e, se ci credi, con Dio.
  19. Non restare soffocato in una situazione, un lavoro, una relazione. Ma non gettare la spugna troppo in fretta. Anche riuscire a salvare un rapporto con una persona, trovare nuovi punti di intesa, migliorare un posto di lavoro è un bel risultato.
  20. Non fare più figli di quelli a cui puoi dare una vita decente e una buona educazione. Ai figli bisogna dedicare tempo, valuta quanto ne hai. Ma se possiedi risorse e tempo fanne.
  21. Cerca di capire quando la tua vita diventa solo più fonte di sofferenza per te e per gli altri. Quando ti rendi conto non hai più nulla da dare comincia a disfarti dei tuoi averi e lascia spazio agli altri.

Che delusione il Papa da Fazio

Premessa

Visto ieri l’intervista di Fabio Fazio a Sua Santità.

Ne ho ricavato delusione e sconforto, forse acuita dall’essermi aspettato qualcosa di diverso, magari un tentativo del Papa di arrivare direttamente ai cuori delle persone, bypassando la gerarchia ecclesiale.

Magari c’è arrivato al cuore di qualcuno, al mio no. Anche se girando sui commenti su Twitter mi sono stupito di vedere chi lo criticava per motivi opposti ai miei, inneggiando a Benedetto XIII. E lì ho tifato per Francesco.

Comunque delusione, e parlandone con mia moglie, a cui invece è piaciuto molto, e mi chiedeva spiegazioni del disappunto, mi sono accorto che la spiegazione sarebbe stata lunga e noiosa.

Quindi, per rispondere a lei, e a chi voglia curiosare, racconto l’intervista che mi sarebbe piaciuto vedere.

Scena

Anzitutto la scenografia. Ha la sua importanza.

Non è un’intervista in DAD, Francesco non fa Smart Working e va fisicamente negli studi RAI di Milano.

Non è vestito in abito bianco. Si veste come un normale prete, in clergyman, e si siede sulla poltrona come un Burioni qualunque.

Critica del Papa a Fazio

Fazio comincia a chiamarlo Sua Santità e a dirgli che la Sua Presenza lo Illumina e che dopo lo sbarco sulla luna, anzi prima, questo è il momento più …

E lì Francesco lo blocca, gli dice di non dire cretinate e dargli del tu, perché vuol parlare di cose serie.

Anzi, gli chiede se può permettersi di iniziare lui con una critica alla trasmissione.

  • Prego, certo!
  • Senti, io non guardo quasi mai la televisione, ma prima di venire qui mi son guardato qualche puntata del tuo programma e, benché apprezzi il fatto che tu sia riuscito a invitare molta gente importante, devo dire che dai l’impressione di essere troppo lecchino. Le persone che inviti sono spesso oggetto di controversie, magari faresti un favore anche a loro, oltre che a chi ascolta, se facessi loro anche domande più scomode.
  • Beh, il rischio è che poi non venga più nessuno.
  • Non credo, a quel punto il solo rifiutare il tuo invito potrebbe essere inteso come incapacità di controbattere, alla fine un segno di debolezza.
  • Ok, ma guarda che inizio con te ?
  • Certo!, Non chiedo di meglio.

Chiese vuote

  • Allora cominciamo con il fenomeno delle chiese sempre più vuote. La Chiesa ha ancora un senso nel mondo di oggi ?
  • Sicuramente ha senso che un gruppo di persone provi a vivere una vita diversa da quella comune.
    Per diversa intendo non improntata alla semplice crescita individuale (economica, di prestigio, di cultura) e neanche alla semplice normalità (mi faccio una casa, la macchina, faccio dei figli, li faccio studiare). Non come critica a tutto questo (è quello che porta avanti il mondo), ma come sale della terra, un gruppo di persone che cerca di vedere le cose con un po’ più di distacco, cerca di capire, aiutare chi sta peggio. Insomma un gruppo che cerca di aiutare il progresso comune e in questo trova un tipo di appagamento diverso. Per chi lo accetta direi migliore.
    Non siamo i soli a fare questo. Forse il messaggio cristiano aggiunge il fatto di farlo con l’esempio, in modo che certi valori vengano trasmessi con la vita, non solo con le parole.
    Non una vita di sacrificio ma di benessere allargato, condivisione (soprattuto dei beni).
    Credo dovremmo creare comunità vere, di fatto alternative alle famiglie, in cui la gente vive insieme, condivide quello che ha, prega e medita insieme, educa i figli insieme, si impegna nel sociale, nella politica. Ma come individui, non come gruppo. Non deve esistere una dottrina politica della Chiesa. La chiesa deve essere testimonianza di un modo di vivere più intelligente.
  • Piuttosto distante dalla Chiesa di adesso
  • Piuttosto vicino alla Chiesa delle origini, credo. Sì, la situazione oggi è penosa, ma finirà da sola. Come dici tu le chiese si svuotano e non ci sono neanche più abbastanza preti per tenerle aperte. Stiamo importando preti dai paesi di missione. Sono preti con la mentalità che avevano i nostri negli anni ’50. Recitano formule a memoria e non dicono niente all’uomo comune. Per qualche vecchietta che ancora frequenta le chiese vanno ancora bene, ma necessariamente il tutto finirà. Intanto dovremmo buttare i semi per qualcosa di nuovo.
  • Farete in tempo ?
  • Se c’è una cosa che deve caratterizzare questa religione è l’estrema fiducia in Dio. Se questa è la strada giusta ci penserà Lui a farla funzionare, se no avremo percorso il nostro tratto con onestà, e questo ci deve bastare. Se il disegno giusto era un altro, comunque ne avremo fatto parte coi nostri errori.

La Chiesa l’ha creata Dio ?

  • Sei convinto che la Chiesa l’abbia creata Dio ?
  • Sì. Ma non per la famosa frase di Gesù a Pietro, “Tu sei Pietro e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa”. Tra l’altro questa sorta di stile Rap non si trova in altre parti del Vangelo, io ho seri dubbi che la frase sia autentica e non inserita quando la Chiesa esisteva già, per giustificare se stessa.
    Non per quello, ma sì, sono convinto che sia voluta da Dio, perché sono convinto che tutto quello che esiste sia dovuto a Lui. Quindi sono convinto che anche l’Islam e il Buddismo e il Taoismo e tutte le altre religioni siano create da Dio. E sono convinto che ci sia il suo zampino anche nei libri di Marx e Nietzsche e in tutti gli altri libri, scritti da credenti o no. Sono convinto che la Scienza, il suo metodo e le sue scoperte siano dovute a Lui, e penso che tutti gli scienziati e i ricercatori, e chiunque studi qualsiasi cosa, stiano lavorando per Lui, che si professino credenti o no.
    La nostra Chiesa, come tutte le altre religioni, ha avuto un ruolo importante nel formare la società, il mondo di oggi. È difficile, forse persino sbagliato provarci, giudicare il loro operato alla luce della situazione attuale. Le scelte fatte nel passato erano sicuramente giustificabili nel momento in cui venivano prese. Col senno di poi si vede la miopia, ma non c’è un senno di poi per il presente, siamo miopi anche adesso. La Fede che c’è Qualcuno che ci guida deve essere la nostra unica consolazione, e con questo non voglio dire che siamo in grado, noi o altri, di capire quello che Dio vuole, voglio dire che ognuno andrà avanti con quello che è riuscito a mettere insieme, e avremo fiducia che dal caos risultante Lui saprà trarre qualcosa di buono.

Pedofilia nella Chiesa

  • Vogliamo parlare dello scandalo della pedofilia nella Chiesa ?
  • La Chiesa ha fatto malissimo a nascondere, stiamo cercando di rimediare
    Premesso che è molto diffusa anche fuori della Chiesa, soprattutto nelle famiglie (e qui dovremmo fare un discorso lungo sull’educazione, ma mi chiami un’altra volta), per quello che è successo nella Chiesa è il risultato di due cose sbagliate:
    1. l’ascetismo, la rinuncia alla sessualità possono essere una cosa buona se uno li sceglie, ma non si possono imporre (i preti sono dipendenti di un organizzazione terrena, sono obbligati ad accettare certe regole se no perdono il posto). Obbligandoli a vivere in castità si genera una sessualità repressa (e non sublimata), che fa danni. Dovremo trovare una soluzione, magari semplicemente accettare che un prete, se vuole, possa avere una compagna/compagno.
    2. la sessuofobia. Cattiva interpretazione delle Scritture, forse legata al punto precedente. Bisogna assolutamente liberarsene. Non è scritto da nessuna parte che il sesso è un male, anzi.
  • Sembra che nei seminari sia molto diffusa l’omosessualità
  • Non è così strano. Persone che vivono insieme, unite da un ideale condiviso, sentimenti di stima reciproca, facile che nascano attrazioni anche fisiche. Di nuovo può essere legato a quanto detto prima. Credo sia una cosa da non ostacolare, ma certo da mettere alla luce del sole.

Guerre

  • Cosa pensi della sofferenza, delle guerre ?
  • Quando vediamo al telegiornale la bambina che muore di freddo e stenti nel campo profughi stiamo male. E certo ho grande stima per chi cerca di aiutare queste persone, anzi invito tutti a farlo. Ma credo si debba anche guardare le cose da un po’ più in alto.
    Le guerre, la violenza, hanno avuto un ruolo importante nella crescita dell’umanità fin dai suoi albori. La violenza è semplicemente una delle espressioni della selezione naturale, che in definitiva ci ha portato a essere quello che siamo ora.
    Man mano che le nostre civiltà sono evolute abbiamo cominciato a prendere coscienza che ci potevano essere soluzioni migliori. Che la collaborazione può avere un risultato migliore per entrambi i contendenti rispetto alla guerra.
    Però è un processo lento, e, paradossalmente, spesso le guerre sono state strumento di unificazione. Non le giustifico, voglio solo dire che la storia procede per vie tortuose, ma alla fine riesce a produrre risultati stabili.
    Credo che il risultato finale a cui dobbiamo tendere debba essere un governo il più possibile globale. È l’unico modo per affrontare problemi come le guerre, le migrazioni, l’ambiente, lo spreco di risorse.
    Quindi, se da un lato sono riconoscente a chi si occupa di ridurre la sofferenza di oggi, credo non serva tanto indignarsi per l’insensatezza di certe situazioni attuali, ma lavorare attivamente per creare un mondo più globale possibile, in cui non esistano più singole nazioni e neanche blocchi di super potenze.
  • Non è un po’ utopistico ?
  • Se non può essere utopistico un Papa …

Divorzio

  • Sei contrario al divorzio ?
  • Mah, su questi temi la Chiesa ha un retaggio decisamente distorto. Penso si sia preso troppo alla lettera scritti e tradizioni che si riferivano a situazioni molto differenti da quella attuale.
    Premetto che non credo che la Chiesa debba avere troppo da dire su queste cose, meno che mai in modo prescrittivo. I modi della convivenza tra le persone, la forma dei nuclei familiari è in continuo mutamento.
    La famiglia tradizionale nasce soprattutto come risposta a una situazione in cui la maggior parte delle donne non lavorava, è chiaro che, a quel punto, dovevano essere mantenute dagli uomini e in cambio di questa possibilità di vivere, loro e i figli, accudivano la casa, educavano i figli e elargivano favori sessuali. Se ci pensi non era una condizione priva di lati negativi.
    Negli ultimi decenni questa situazione ha subito enormi scossoni. Ora la maggior parte delle donne lavora, e l’indipendenza economica mette in crisi quel modello di famiglia. Quel poco che ne sopravvive è ormai dovuto più che altro a queste incrostazioni ideologiche, a tradizioni dure a morire.
    Credo che dovremmo ripensare, tutti insieme, credenti e no, i modelli di questa convivenza. Magari partendo da principi fondamentali. Cos’è importante ? Cosa vogliamo preservare ? Io direi:
    • Salvaguardare il rispetto reciproco. In una famiglia nessuno deve essere schiavo di un altro.
    • Salvaguardare che ognuno possa vivere con le persone a cui vuole bene e ne è ricambiato. Che siano dello stesso sesso o di due diversi, se siano due o di più direi che non debba fare differenza. E se uno vuol stare da solo e avere rapporti solo occasionali con altri deve andar bene ugualmente.
    • Se una situazione relazionale si guasta ci si lascia. Le persone cambiano, si conoscono meglio, vengono a contatto con altre persone, non ha senso trasformare una famiglia in una prigione.
    • Se una relazione comprende dei figli è importante che la loro serenità non venga messa a repentaglio. Ma questo non vuol dire obbligare una coppia a stare insieme, vuol dire trovare i modi, anche con l’aiuto del resto della società di gestire la situazione.

Aborto e eutanasia

  • Cosa pensi di aborto e eutanasia ?
  • C’è sempre un po’ di ipocrisia nella Chiesa quando si parla di difesa della vita. Da una parte ci si schiera contro queste cose, dall’altra spesso si sono approvate guerre e pena di morte.
    Inoltre, forse, è bene inserire nella discussione anche il concetto di qualità della vita. Una madre, magari sola, che deve gestire un bambino che economicamente non può permettersi di crescere, o un bambino con grossi problemi fisici, la cui nascita poteva essere evitata per tempo, implicano due vite di sofferenza, sia per la madre che per il figlio. Forse è da mettere sul piatto della bilancia anche questo. E lo stesso vale per una persona sofferente che, per qualsiasi motivo, odi la propria stessa esistenza, o non sia nemmeno più cosciente di averla.
    L’uccidere qualcuno è un atto grave, non va fatto alla leggera. Ma non credo che nessuno voglia farlo. Forse qualche giovane donna che non ha avuto il dono di un’educazione seria può considerare l’aborto un’alternativa agli anticoncezionali, ma in questo caso è sull’educazione che bisogna intervenire. In tutti gli altri casi l’aborto e l’eutanasia sono una sofferenza anche per chi li sceglie.
    Alla fine io lascerei queste scelte alle singole persone. La società deve affrontare il problema in senso positivo, non vietando, ma aiutando dove può, a trovare soluzioni alternative, provando a dare senso a situazioni che il singolo magari non vede, ma la scelta finale non può essere che individuale.

Donne

  • Perché le donne non possono diventare sacerdoti o vescovi ?
  • Ti stai divertendo, vedo.
    Ok, non meriterebbe neanche parlarne. Chiaro che non c’è nessun motivo e dovremo cambiare. È di nuovo un retaggio della condizione femminile nei secoli scorsi. Il resto della società sta rimuovendo questi impedimenti e dovremo farlo anche noi. Spero che in futuro la Chiesa sappia anticipare queste trasformazioni invece di inseguirle.

Commiato

  • Fiuuuh !
  • Che c’è ?
  • C’è che è bello tutto quello che stai dicendo, ma non è quello che si percepisce dalla Chiesa.
  • La Chiesa è una strana cosa. Al suo interno ci sono anche molti che sarebbero d’accordo con le risposte che ti ho dato oggi.
    Certo molti altri no. Probabilmente la maggior parte. Ma il compito di un pastore è guidare le pecore, non seguirle.
    La Chiesa oggi è di fatto l’insieme di due cose molto diverse:
    1. un gruppo di potere economico/politico/culturale che difende tradizioni anacronistiche con un linguaggio del passato. Ammantando di sacralità interessi personali o pretese superiorità morali.
    2. un popolo che cerca nel Sacro delle risposte, un senso delle cose che non faccia a pugni con la realtà. Questi ultimi, purtroppo, sono spesso plagiati dai primi.
    Cambiare questa situazione non sarà facile. Non credo ci riuscirò io, ma credo sia un processo che deve iniziare, che posso iniziare.
  • Non hai paura che ti uccidano ?
  • Può succedere. È già successo. Ma no, non ne ho paura. La vita va spesa in qualche modo e il diventare un martire per difendere quello in cui credi è proprio una delle tradizioni di cui la storia della Chiesa è particolarmente ricca. Non che ci tenga eh ? Se si può evitare è meglio.
  • Ma tu credi nel Sacro ?
  • Credo nel Sacro che unisce. Nel tesoro nascosto che per cercarlo lasci tutto e chiami anche gli altri, perchè ce n’è per tutti.
    Il Sacro che diventa una scusa per scannarsi, per dire “Io che ci credo sono meglio di te”, o “Io ho capito e tu sei un deficiente” non mi interessa. A quel punto è meglio la normalità.

21 lezioni per il XXI secolo

Ho appena finito di ascoltare l’audiolibro di “21 lezioni per il XXI secolo” di Yuval Noah Harari. L’ho trovato molto bello e ho voglia di parlarne. Ringrazio di cuore Antonio per la segnalazione.

Il libro

È un racconto del mondo com’è ora, dei problemi che ha, e di ciò che li ha generati, dell’evoluzione, delle forze che lo stanno cambiando, inclusi i pericoli che corriamo per i prossimi decenni.

I miti

Parla soprattutto di narrazioni. Le storie che hanno plasmato la nostra civiltà. Invenzioni che parlano di cose inesistenti, ma che hanno la capacità di unire le persone in un sogno comune. Storie come il fascismo o il comunismo, ormai cassati dalla storia. E storie che ancora sopravvivono, come il liberalismo, le nazioni o le religioni.

Il libro è, per buona parte, una critica a questi miti residui dell’umanità. Critica composta e avvincente, che cerca di aprirci gli occhi sui pericoli che corriamo procedendo con una visione annebbiata, mentre gravi pericoli sono all’orizzonte.

Le pazzie

L’umanità prende spesso decisioni incomprensibili. Il terrorismo, che temiamo più di quanto dovremmo, visti i danni molto limitati che produce in termini di vite umane, e la guerra che, a differenza di quanto avveniva nei secoli scorsi, non ha più nessun potenziale vantaggio per chi la intraprende.

I pericoli dell’evoluzione tecnologica

Il grosso pericolo da cui Harari ci mette in guardia è connesso all’evoluzione tecnologica. L’evolversi delle tecnologie informatiche e biotecnologiche, l’Intelligenza Artificiale e la manipolazione genetica, aprono scenari in cui la differenza tra classi sociali rischia di esacerbarsi. L’IA, secondo l’autore, sfrutterà la scarsa capacità degli esseri umani di comprendere se stessi e gli altri per diventare il nodo in cui vengono prese tutte le decisioni, ridisegnando la mappa del potere. L’AI sarà aiutata in questo dal diffondersi di sensori biologici che capiranno l’essere umano meglio di quanto lui stesso o altri esperti possano fare.

Democrazia

Il concetto di democrazia è oggi basato sull’idea che le sensazioni degli individui, nel loro insieme, siano in grado di prendere le decisioni migliori. Cosa accadrà quando l’IA conoscerà gli individui meglio di loro stessi e dimostrerà di poter fare meglio di noi nel pilotare le nostre scelte ?

È molto interessante la descrizione del processo che porterà a questo. Processo ineluttabile e già in atto. Le biotecnologie permetteranno la creazione di umani di categoria avanzata, che non si ammaleranno, che avranno una aspettativa di vita più lunga, capacità cognitive, sensoriali e motorie superiori. È facile prevedere che questi miglioramenti saranno esclusivo appannaggio dei ricchi. I detentori delle infrastrutture a supporto dell’IA saranno i nuovi padroni del mondo. Senza contare il rischio che le macchine stesse prendano il sopravvento.

Il concetto di uguaglianza tra esseri umani terrà ancora quando alcuni di noi avranno oggettivamente capacità cognitive superiori ?

Occupazione

In questo percorso la maggior parte dei mestieri umani scomparirà, perché le macchine sapranno fare meglio degli umani quasi tutto, compresi i lavori basati sulla creatività, come comporre musica o scrivere romanzi. L’umanità dovrà affrontare crisi occupazionali senza precedenti, e ripensare, di conseguenza, tutti i processi e gli equilibri economici. La necessità di leggi che impongano un reddito universale svincolato dal lavoro si scontrerà con la necessità di tassare pesantemente i pochi detentori del potere, con inevitabili scontri in cui le classi povere saranno disarmate.

La formazione e la meditazione

E come possono gli esseri umani prepararsi a questi cambiamenti ? Cosa dovrebbero studiare i giovani, ad esempio, per essere pronti per i pochi lavori disponibili domani ? La risposta di Harari è in qualche modo disarmante: non possiamo saperlo.

Come linee guida di fondo suggerisce ai giovani di non fidarsi degli adulti, perché la loro esperienza diventa sempre più inutile in questo nuovo mondo. Suggerisce anche di non fidarsi della tecnologia, perché si rischia di diventarne schiavi. L’unica cosa su cui ha senso investire è sulla conoscenza di se stessi. In quest’ottica è importante l’ultimo capitolo del libro, che parla della meditazione.

Commento

Delle cose che dice Harari mi lascia perplesso anzitutto l’affermare che le sensazioni siano un semplice calcolo biochimico. La scienza non può affermare una cosa del genere. La scienza, finché non sarà in grado di costruire un cervello funzionante, finché non sarà in grado di mettere qualcosa in provetta e farne uscire un’intelligenza indipendente, potrà solo dire di aver capito qualche frammento, come un medico del Medioevo che dissezionava un cadavere. Non siamo molto distanti da lì. Conosciamo qualche dettaglio in più ma non abbiamo la visione completa. Personalmente non credo che la scienza ce l’avrà mai.

Continua a piacermi di più l’idea che il cervello sia una sorta di radio, che comunica con un’intelligenza esterna, non fisica. La mia personale convinzione è che la vita e l’intelligenza esistano su un piano diverso da atomi e molecole.

Altro punto che ho trovato disturbante é la critica alle religioni. Ha ragione secondo me, sul fatto che siano superate, che ormai facciano più danni che altro etc, ma buttando via la spiritualità assieme alle religioni si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca.

Tolta la spiritualità resta un vuoto incolmabile. La spiritualità è una necessità dell’essere umano (in varia misura, magari). Questa mancanza di senso non può essere colmata in modo razionale, né scienza, né filosofia, né psicologia possono farlo.

L’idea di base dell’autore sulla religione

  1. Una cosa non vera che viene creduta da mille persone per un mese è una notizia falsa, una cosa non vera che viene creduta da un miliardo di persone per mille anni è una religione
  2. La grande domanda che gli esseri umani dovrebbero farsi non è “qual’è il senso della vita ?” bensì “come si esce dalla condizione di sofferenza ?”

Perché è una visione troppo limitata

Sul punto 1 sono d’accordo, ma non sul 2.

Sofferenza

Siamo sicuri che la sofferenza sia una cosa sbagliata ? Una cosa da evitare a tutti i costi ?

La sofferenza e l’infelicità, come il piacere e la gioia sono semplicemente sensori di cui l’evoluzione ci ha dotato per farci muovere in una certa direzione. Il dolore e il piacere, che condividiamo con gli organismi più elementari riguardano i bisogni fondamentali, nostri o della specie a cui apparteniamo.

La tristezza e la gioia sono propri di organismi più progrediti, ma sono sensori anch’essi. Ci dicono se le ultime scelte che abbiamo fatto hanno avuto un risultato per lo più positivo (in questo caso la sensazione di felicità ci dice semplicemente “ok, continua così”) o per lo più negativi (e in questo caso la tristezza ci avverte che c’è qualcosa di fondo da cambiare, l’ambiente, le relazioni, il nostro modo di pensare/operare).

La ricerca della felicità in se stessa è una sciocchezza. Quando raggiungiamo una sensazione di gioia essa è per definizione effimera, perché riguarda il passato. Ci dice solo come siamo andati ultimamente. Se ci fermiamo lì, se vogliamo perpetuarla, si trasforma immediatamente in noia, che è il modo dei nostri sensori di dirci che dobbiamo muoverci, esplorare altro.

Pianificare la ricerca della felicità è una cosa assurda. Pianificare è ambito della razionalità, che è la parte più stupida della nostra mente. La razionalità è nata in funzione del linguaggio, è uno strumento di comunicazione, non serve a prendere decisioni corrette.

I limiti di una visione esclusivamente razionale

La razionalità, la logica, sa solo mettere in relazione le conoscenze che abbiamo, che sono infinitamente limitate rispetto all’insieme delle forze che influenzano le nostre vite.

Di fatto le nostre decisioni vengono prese ad un livello molto più profondo, un livello di cui, spesso, non ci rendiamo nemmeno conto.

Harari guarda a cose come le religioni, la spiritualità, la meditazione, con una mente razionale e, semplicemente non le capisce.

Il fallimento delle religioni

Tutto quello che Harari dice è vero, innegabile. Le religioni sono state, spesso, più un male che un bene. Probabilmente perché i loro stessi fautori non ne hanno capito il senso.

Il rischio a cui tutte le religioni sono state esposte (fallendo miseramente la prova) è stato quello di pensare, ad un certo punto, di aver capito, e, di conseguenza, di voler diffondere verso altri questa scoperta.

Ma il diffondere, il fare proseliti, anche quando sia scevro (e non lo è mai) da ricerca di potere o ricchezza, è, spesso, un’operazione basata sul linguaggio, sulla razionalità.

La conoscenza spirituale è per definizione poco chiara, piena di dubbi. Per qualche verso consiste proprio nella capacità di accettare il dubbio, accettare l’impossibilità di capire. Non può essere trasferita ad altri semplicemente con la parola. Se tento di codificare quella conoscenza in modo che sia raccontabile non posso che inventare narrazioni, favole. E non posso che dividere il mondo in amici (i fedeli, quelli che accettano le mie favole) e nemici (gli infedeli, quelli che le rifiutano), e magari prendere le armi contro i secondi. E tutto questo indipendentemente dal fatto che l’idea originaria contenesse o meno qualcosa di valido.

Ma la spiritualità non è quello. Se bolliamo tutta l’elaborazione non razionale come sciocchezza, e le nostre sensazioni come elaborazione biochimica, che magari oggi non comprendiamo, ma che la scienza riuscirà presto a chiarire, creiamo un vuoto incolmabile, ci tagliamo le braccia perché non abbiamo capito a cosa servono.

La spiritualità riguarda certo il dolore e la tristezza, come il piacere e la gioia, ma non per annullare i primi in favore dei secondi. Riguarda la capacità di rendere più sensibili questi e altri sensori e di integrarne le indicazioni. Sì, abbiamo anche altri sensori. Il senso del “significato globale”, che Harari liquida frettolosamente, è lì, forse sviluppato in misura differente tra le varie persone.

La meditazione

Il libro sfugge, in parte, a queste critiche dedicando l’ultimo capitolo alla meditazione. Un capitolo molto bello, tra l’altro.

La butta lì, come racconto di un’esperienza personale che ha trovato vantaggiosa.

Giustamente fa notare che la meditazione, pur essendo nata in seno delle religioni non prevede nessun dogma o atto di fede, ma è un semplice strumento che abbiamo a disposizione per migliorare le nostre vite, la nostra capacità di attenzione. Un allenamento a usare meglio la mente.

Purtroppo, anche qui, nel tentativo di scrostare la pratica meditativa dal retaggio religioso finisce per togliere un po’ troppo. C’è uno sforzo di rendere la meditazione un fatto razionale, e credo sia decisamente sbagliato. Indipendentemente dal fatto che un Dio esista o meno, e dal fatto che questa pratica possa metterci in comunicazione con lui, c’è molto, molto che non comprendiamo, su cui la meditazione getta un po’ di luce. Forse questo molto riguarda la comunicazione con gli altri esseri viventi, forse col passato della nostra specie. Forse sono anticipazioni confuse di cose su cui un giorno la scienza saprà fare piena luce.

In ogni caso io non vorrei perdermi tutto questo.

Non capiremo mai il senso della vita, ma il desiderio di capire ce l’abbiamo, e proprio quello dovrebbe diventare la nostra bussola.

La religione dei pazzi e l’amore

Photo by David Clode on Unsplash
Photo by David Clode on Unsplash

Provo ad avventurarmi su un terreno minato. Finora ho cercato di evitarlo, perché è piuttosto insidioso, ma forse è venuto il momento. Parlo del rapporto tra spiritualità e altruismo, amore per il prossimo.

In un post precedente sulla spiritualità ho accennato di sfuggita agli altri come compagni di viaggio.

Gli altri, intorno, sono dei compagni di viaggio. Sono immersi nello stesso plasma, stanno svolgendo un ruolo analogo al nostro. Hanno punti di vista complementari. Gli eventuali conflitti con loro sono parte del meccanismo di cui facciamo parte, non c’è bisogno di demonizzarli. L’eventuale amore (parola sbagliata, qui, forse meglio attrazione/con-passione) che proviamo nei loro confronti pure, non c’è bisogno di divinizzarlo.

Penso che in fondo sia tutto lì. Ma è una riflessione che mi riempie di interrogativi, perché sembra stridere leggermente con l’importanza data all’altruismo dalle varie religioni.

Ma andiamo con ordine.

Ingredienti: un pentolone, un termometro e una manciata di istinti

Prendiamo un bel calderone e iniziamo a versarci dentro vari elementi, e guardiamo come si alza o si abbassa la temperatura all’interno. Per convenzione diciamo che a temperatura alta corrisponde alto altruismo, alto amore.

adamo ed eva

Anzitutto dobbiamo metterci gli elementi base, quelli che derivano dalla nostra evoluzione. Niente religione per ora, e neanche ragione, solo istinti.

Siamo, in quanto individui, il campo di battaglia di geni in competizione. Il banco di prova in cui associazioni di geni si confrontano. E la regola di base è che vince il più adatto. Lo scopo è di selezionare i geni migliori, e non c’è esclusione di colpi, niente prigionieri.

Temperatura bassissima. Se il criterio fosse solo questo ognuno di noi avrebbe tutto l’interesse a uccidere tutti gli altri per far primeggiare il proprio gruppo di geni.

Dopodiché, alla sua morte la nostra specie sarebbe estinta. Quindi nel calderone non ci può stare solo quello. Lo scopo della competizione genetica non può essere il primeggiare di un individuo. Dobbiamo permettergli di avere dei figli perché il gioco continui.

E allora dobbiamo metter nel crogiolo anche qualche istinto a lasciare in vita qualcun altro di sesso opposto con cui produrre una discendenza. Siamo arrivati ad Adamo e Eva.

Proviamo a chiamare amore questo istinto a lasciare altri in vita. Così, tanto per capirci.

la tribù

Ma ancora non basta. I figli devono anch’essi restare vivi, se no il gioco finisce comunque. E allora amore anche per i figli.

Ma comunque non basta. Il mondo è pieno di insidie. Una singola famiglia potrebbe morire accidentalmente. L’evoluzione non può correre il rischio. È necessario per i geni accettare anche qualche piano B.

Quali sono i gruppi di geni che comunque vorremmo salvare se noi fossimo costretti a lasciare il tavolo ?

Probabilmente quelli dei nostri genitori e dei nostri fratelli (perché i loro geni sono i più simili ai nostri). Quindi amore, ancora, un po’ di meno, anche per loro. E via così. Ancora amore, sempre un po’ di meno, per i cugini, poi per i parenti meno prossimi e avanti così. 50 sfumature di amori.

i conoscenti

Ma non basta ancora. Una famiglia, anche grande, da sola non basta. Ci servono individui con mix diversi di geni con cui noi, e i nostri figli e parenti, possiamo incrociarci per produrre altri esperimenti genetici, combinazioni più ricche. Altre sfumature di amore.

Avete presente quel proverbio arabo,

io contro mio fratello,

io e mio fratello contro mio cucino,

io, mio fratello e mio cugino contro …

Ecco, siamo lì.

il villaggio

E non basta ancora. Abbiamo bisogno di difenderci, trovare cibo, imparare, modificare la natura, gestire rapporti sociali in strutture, a questo punto, complesse.

Ci servono gli altri. C’è poco da fare. In teoria ci servono tutti.

Anzi, ci servono anche i geni delle specie diverse dalla nostra, gli animali, le piante, i microorganismi, i virus. L’ecologia è una forma di amore, in questo senso.

La temperatura nel calderone sembra diventata altissima. Ma la raffreddiamo subito.

gli amici

Il numero di persone con cui possiamo interagire, quelle con cui riusciamo a mantenere un contatto personale sembra sia limitato a 150 unità (il famoso numero di Dumbar). Pare sia funzione delle dimensioni della neocorteccia cerebrale.

Quindi dobbiamo sfoltire il gruppo delle persone con cui mantenere relazioni (ovviamente un presupposto per questo amore). Dobbiamo scegliere quelli che ci servono di più. Dosare il nostro amore in modo disomogeneo.

Possiamo tra quelli di sesso opposto scegliere solo i più belli, ad esempio. Tra i nostri figli quelli più promettenti, tra i parenti i più generosi.

Tra i conoscenti quelli più in sintonia con noi. Li chiamiamo amici.

Tra i batteri quelli che fanno lo yogurt e la birra, i virus li escludiamo tutti.

con gli istinti arriviamo qui

Direi che mettendo solo elementi istintivi nel calderone arriviamo fin qui.

La temperatura non è bassissima, ma neanche troppo alta. Il nostro amore abbraccia una cerchia di persone limitata a quelli di cui percepiamo un utilità immediata.

Gli altri diventano rivali.

Istintivamente manteniamo questo livello dinamico. Il risultato di forze antagoniste.

Stiamo chiamando amore qualcosa di istintivo, chimico. Reazioni governate da ormoni. La tenerezza verso i partner sessuali, i bambini, gli anziani. Il senso di compassione verso quello che soffre e, contemporaneamente, il senso di repulsione, magari verso la stessa persona, che può metterci al riparo da malattie. L’aggressività verso i concorrenti sul piano sessuale o quello della sopravvivenza, verso chi non sentiamo parte della nostra tribù.

Temperatura media, quindi, al livello istintuale.

Un po’ di razionalità …

Ok, era il cervello da rettile e da mammifero. Poi è arrivata la corteccia cerebrale. La razionalità.

La temperatura tende a muoversi con movimenti più ampi. Si può alzare molto o abbassarsi drasticamente.

… che scalda …

Si alza perché razionalmente ci rendiamo conto che far parte di un gruppo più ampio ci dà dei vantaggi. Essere parte di un villaggio è meglio che essere una famiglia nomade. Una città grande è meglio di un villaggio, è più ricca, offre opportunità, anche di incontri, di ricombinazioni genetiche, di commercio. Ci rendiamo conto che commerciare può essere più vantaggioso che fare guerre. Insomma, ci sono tensioni razionali che tendono ad allargare il gruppo di persone verso cui proviamo almeno rispetto (difficile chiamarlo amore se si allarga troppo).

Il linguaggio, la scrittura, i media, ci permettono di creare gruppi sempre più allargati, alla faccia di Dumbar. Abbiamo inventato il pettegolezzo (e i social) per avere una misura del giudizio di utilità per la comunità di persone con cui non abbiamo relazioni dirette. “Quello è uno competente”.

… e che raffredda

Allo stesso tempo, con la razionalità arriva la paura, e con essa la guerra. La razionalità delinea l’ego, e crea l’idea di poter sfruttare gli altri. Forme nuove di disamore. Nuovi veleni, razzismo.

Il pettegolezzo funziona nei due sensi. “Di quello non ci si può fidare”

ma il bilancio è positivo

Anche qui bilanciamenti tra forze antagoniste. Ma per il solo effetto di raffinamenti della razionalità la temperatura mediamente si alza.

Noi accettiamo, parlo degli individui di questo secolo, quelli più maturi almeno, che sia un bene includere nel nostro cerchio di amore più persone possibile. Nascono organismi di accordo tra le nazioni, trattati.

Non siamo ancora in una situazione idilliaca: le guerre continuano a esserci, lo sfruttamento dei popoli e delle singole persone pure. Ma stiamo procedendo nella direzione giusta. Anche senza religioni sono convinto che si arriverà a una situazione in cui ideali di pace e uguaglianza saranno linee guida scontate.

La spiritualità come guida a risolvere i conflitti in termini collaborativi

Cosa aggiunge al calderone la spiritualità allora ?

La prima idea che vien in mente è che la persona con una vita interiore più ricca tenda ad andare oltre. Tenda, diciamo, a strafare, ad annullare, in misura più o meno forte il proprio ego a vantaggio del suo prossimo.

Ma di nuovo, questo non è esclusivo appannaggio delle persone aperte ad un ascolto interiore. Ci sono tante persone, al di fuori del perimetro delle spiritualità e delle religioni, che manifestano questa sorta di eroismo, e lo fanno in forza di sensibilità e considerazioni che derivano dalla sfera della razionalità, o semplicemente dalle consuetudini del contesto di appartenenza.

E quindi, di nuovo, qual’è la peculiarità che deriva dalla spiritualità ?

ci arriva prima

Secondo me che tende a farlo prima. Parlo di epoche storiche.

Ho detto sopra che stiamo migliorando. Siamo passati, nel corso della storia, da momenti in cui la prevaricazione e la violenza potevano essere considerate la norma, ad altri in cui quel tipo di comportamento viene stigmatizzato come inappropriato. Da epoche in cui un uomo poteva vedere un suo simile solo come un nemico o un utilità, a forme sociali, via via più complesse, in cui rispetto, altruismo, compassione sono diventate leggi, le insegnamo ai giovani, puniamo chi non le rispetta.

Guerre e prevaricazione esistono ancora, ma ci sono forti tensioni, anche nel mondo laico, per ridurle.

impalcature spirituali

Ma questa costruzione, questa tessitura è molto faticosa. La situazione in cui due persone, due gruppi, decidono di fidarsi l’uno dell’altro, è un equilibrio instabile.

Solo una volta che è stato sperimentato ha qualche probabilità di durare. Se le due parti provano i vantaggi del rispetto reciproco hanno un motivo razionale per restare in quella condizione. Ma, prima di arrivarci, la paura e la diffidenza dovute ai nostri istinti tendono ad avere la meglio. L’uomo con la sola razionalità non riesce a tessere questa tela.

In questa situazione il pazzo, la persona che vede il mondo con occhi diversi, che intravede la pochezza dell’ego, la pochezza del singolo rispetto al tutto, diventa l’ago che guida il filo nella direzione giusta. Il sarto che tesse l’imbastitura. Il sale della terra.

Una volta che quel fragile filo è stato tessuto, altri ne seguiranno, altri intuiranno la forma di quel mondo come potrebbe essere, e metteranno altri fili.

Generazioni dopo generazioni, fino a che uccidere o rubare diventeranno da peccato reato. Fino a che il commercio sostituirà la guerra. Fino a che l’aiuto ai deboli e ai bisognosi, il rispetto per la dignità umana saranno scritti in qualche costituzione. Fino ad un governo mondiale, e, chissà, fino all’abolizione di qualsiasi legge o esercito o polizia, perché le persone si regolamenteranno autonomamente.

La spiritualità come freno all’arroganza della ragione

Ho letto di recente questa Intervista ad Edgar Morin su Avvenire. È molto bella. Parla dell’imprevedibilità della storia. Dell’essere quello che ci accade determinato da fattori troppo complessi per essere capiti in termini razionali.

Mi ha fatto pensare che, in fondo, questo è un altro aspetto importante della spiritualità. Quello di ridare dignità alla pazzia, torno lì. Ridare dignità alle intuizioni, all’accettare che il mondo “ha le sue ragioni”, che non capiremo mai fino in fondo.

Provate a pensare all’amore per i più deboli. È una cosa che razionalmente è piuttosto inconcepibile. È piuttosto facile, anzi, trovare ragioni per sterminare popolazioni intere che riteniamo inferiori. È piuttosto facile trovare motivi per mettere ai margini le persone meno belle, meno intelligenti, meno capaci, meno produttive, meno sane, troppo diverse da noi. In fondo, anche una volta accettato che la cosa importante non è il mio benessere personale, ma il futuro dell’umanità, non sarebbe giusto investire di meno (se non uccidere) quelli che alla costruzione di questo futuro non sono in grado di partecipare ?

Secondo me, anche se magari inconsciamente, chi agisce in senso contrario a questa egemonia degli utili al futuro, sta asserendo che quello che serve alla costruzione di un mondo migliore semplicemente non possiamo saperlo.

La spiritualità può mettere argine a certe follie della ragione.

La spiritualità permea gradualmente la cultura

È interessante vedere che è il metodo stesso della spiritualità che si diffonde. Questo pescare risposte nella nostra irrazionalità interiore. Questo intravedere un mondo migliore, e crederci, creare utopie, passa lentamente, per osmosi, dai pazzi agli altri. Viene accettato come parte della cultura di massa. L’arte ne è un buon esempio, la stessa religione, per certi versi è parte di questo processo.

Ne vediamo tracce in posti insospettati. Avete presente la famosa affermazione di Marx “la religione è l’oppio dei popoli”. Peraltro assolutamente condivisibile: la religione è stata davvero, per lungo tempo, strumento in mano agli oppressori per tenere buono il popolo degli oppressi. Forse non tutti hanno letto la frase completa a cui questa citazione appartiene:

La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli.

Come dire: la religione è un male perché partecipa a soffocare la spiritualità. L’uomo non oppresso, quello i cui bisogni di base sono soddisfatti, compreso quello della libertà, è naturalmente portato a una vita interiore ricca. La religione sostituisce artificialmente questo ossigeno con una finzione, con un aria viziata appena sufficiente a tenere la gente viva e tranquilla.

I profeti che vedono il passato

La religione racconta spesso scoperte spirituali del passato, che ormai sono state, almeno in parte, digerite dalla cultura, e suonano prive di novità.

Come una guida alpina che descrive passaggi più in basso, quelli che buona parte della cordata ha già attraversato.

Un esempio fra i tanti possibili: avete presente il famoso passo del vangelo (questo è Matteo)

se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?

Non vi suona un po’ banale ?

Non voglio dire che tutte le persone di questo mondo vivano secondo questi principi. Non è difficile individuare molti, anche tra i nostri politici, che sembra non li abbiano capiti (e paradossalmente sono tra quelli che difendono un certo tipo di religione). Ma, a parte questi casi perversi, oggi è facile trovare tantissimi laici e atei che guardano ai rivali, ai nemici cercando di capire le loro motivazioni. La gentilezza, il salutare tutti, “mi casa es tu casa”, sono tratti ormai caratteristici dell’uomo moderno. Magari non è proprio amore, ma basta a togliere alla frase sopra il potere esplosivo che quelle stesse parole potevano avere duemila anni fa.

Il tesoro sepolto in un campo

Ecco, credo che tutto questo ci aiuti a capire un po’ di più di cosa è davvero la spiritualità. Di cosa quei pazzi che mettono insieme i loro sogni stanno vedendo.

Vedono un mondo in cammino e vedono che la destinazione non è visibile. Che siamo guidati, ma non sappiamo verso dove.

Vedono, un’umanità che può diventare diventare alveare.

Vedono gli individui assaporare questa situazione di equilibrio instabile perdurare.

Vedono un mondo in cui ogni singolo potrebbe facilmente bloccare l’ingranaggio. Ma non lo fa, perché nessuno può più rinunciare alla bellezza di quell’ormai assaporato regno di Dio.

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La religione dei pazzi – Riflessione

Ieri sera abbiamo fatto una bella chiacchierata, organizzata da Antonio, sulla Religione dei pazzi. C’eravamo Francesco, io, Antonio, Vic e Luca (in ordine di apparizione). Sono venute fuori diverse cose interessanti: me/ve le scrivo, riflettendoci ancora un po’.

Pesci

Vic faceva notare che l’immagine del pesce religioso nella bolla è offensivo per un credente. Che presuppone una certa arroganza in chi si identifica nel pesce fuori, come se dicesse “Io ho capito tutto, voi poveretti chiusi lì dentro …”.

Touchè. Sì, forse un po’ di arroganza c’è. Eppure, anche sforzandomi di non esprimere giudizi, di dare valore all’esperienza di ognuno, io una forma di limitazione nel non provare a nuotare un po’ più in là ce la vedo.

Antonio la mette in un altro modo, molto interessante, as usual. Secondo lui quell’immagine esprime un giudizio di valore opposto a quello che vede Vic: “Il pesce nella boccia non ci nuota in mare aperto, ma il mare lo guarda. Quello fuori perde tempo a guardare il pesce nella boccia, anziché guardare il mare, che, invece sarebbe la cosa importante”. Touchè anche qui.

Comunque ho cercato di migliorare col disegno nuovo (chiedo scusa per l’editing grossolano). Ora non guardo più il pesce nella boccia, ma guardo il palombaro, per cui l’obiezione di Antonio permane. Non so se Vic si riconosce di più nel palombaro.

È un’immagine che ispira altre considerazioni: è proprio vero che valgono mille parole, magari mille per ognuno di quelli che la guardano, esplicito qualcuna di quelle che dice a me.

Anzitutto sono due tipi di persone diverse il pesce e il palombaro. Forse pesce ci nasci, non lo puoi diventare. L’umano (l’essere razionale) può essere attirato dal mare, avventurarcisi. Ma conserva dei limiti. Ha un tubo che lo lega alla barca sopra, non può allontanarsi più di tanto.

Quelli sulla barca li vedo come metafora della gerarchia ecclesiale. Non si bagnano, non fanno davvero un’esperienza spirituale. Ma hanno almeno il merito di avertici portato in mare.

Forse potremmo aggiungerci (troppo casino disegnarli, immaginateli) degli altri personaggi a livelli diversi di profondità. Un sacerdote che fa snorkeling, mezzo fuori e mezzo dentro all’acqua. Un monaco che fa immersioni, un po’ più immerso del sacerdote.

Il palombaro secondo me è un mistico, una persona che ha trovato nella meditazione, nella preghiera, la cosa più bella che un essere umano può fare. Il pesce fa la stessa cosa. Ma non lo sa. È il pazzo. E tutti e due guardano il mare, e si guardano anche tra loro, perché, in quel momento, il mare sono anche loro.

Linguaggi

Francesco ha fatto un paragone (che devo dire mi ha fatto sorridere) tra il mio linguaggio e quello di Papa Francesco. Ha paragonato i due modi di fare un discorso spirituale. Secondo lui quello del Papa è più semplice, più diretto, parla più al cuore di ognuno. Il mio linguaggio l’ha trovato difficile, per iniziati.

Forse ha ragione, ma mi chiedo se non sto provando a usare un linguaggio da pesce. Se la sensazione di scarsa familiarità non sia semplicemente data dal fatto che nella bolla, o sulla barca non si parla così. Forse se provi a raccontare paesaggi diversi, usanze diverse, suoni sempre un po’ straniero.

O forse no, immagino che Gesù si facesse capire bene. Forse non parlava tanto.

Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno

Mi viene in mente il famoso detto Zen

Chi sa non parla; chi parla non sa

Magari la cosa giusta sarebbe non parlare proprio. Ma allora neanche leggere: sentitevi fuori posto anche voi.

Le api e la morte

Ho lasciato per ultima la cosa che ho trovato più interessante.

Nel post precedente avevo dato per scontate alcune cose che consideravo mattoni fondamentali di ogni approccio alla spiritualità o alla religione. Quei tesori, scoperte, che ritenevo comuni a tutti. E, invece, sembra che non lo siano.

Parlavamo di questo cambio di prospettiva a cui inevitabilmente la spiritualità ti porta: quello di non considerare più te stesso il centro del mondo, ma di tendere a sentirsi più cellule di un organismo in evoluzione.

Antonio ha introdotto la metafora dell’alveare. L’intelligenza collettiva che emerge da un gruppo di individui. La spiritualità ci porta lì, una delle prime scoperte che fai scendendo in acqua è che l’acqua non c’è più. Per il pesce almeno. Che sei diventato mare.

E se sei un’ape e l’intelligenza che conta è quella dell’alveare, o se sei un pesce e quello che conta è il mare, è davvero così importante se muori ?

Siamo così arrivati a parlare di resurrezione. Di quella nostra, e di quella di Gesù, che Francesco sottolineava essere la garanzia della nostra e il fondamento della fede Cristiana.

Ci siamo, credo, avvicinati ad un punto importante della questione.

Puoi credere che la morte non sia un fatto importante

  • perchè la vita va avanti ed è quella la cosa importante e non la tua individualità,
  • o perché credi che la tua individualità verrà preservata.

Sono due immagini della resurrezione. Forse la prima non esclude la seconda. Ce n’è una terza, ne abbiamo anche accennato: il fatto che l’individuo continua ad esistere nella memoria di quelli che restano vivi. Le sue opere i suoi affetti lasciano un traccia per sempre.

Per me la seconda, il fatto che la nostra individualità, le nostre memorie, vengano preservata, dopo la morte, in un ipotetico al di là non è così importante, per Luca a quanto pare lo è.

Secondo Antonio è perché sono brutto: se fossi un bel figo ci terrei di più a conservare questo privilegio.

Lo dice anche De Andrè:

Prelati, notabili e conti

sull’uscio piangeste ben forte;

chi bene condusse sua vita,

male sopporterà sua morte.

Straccioni che senza vergogna

portaste il cilicio o la gogna

partirvene non fu fatica,

perché la morte vi fu amica.

Ma questo non vuol dire che l’amore per la propria individualità (amata al punto di volerla conservare dopo la morte) rischia di essere un grosso freno alla scoperta dei tesori interiori ?

Quel

È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.

Non sta parlando di questo ?

O anche

Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio

Oppure

Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli

Secondo me tutti questi passi parlano solo della paura della morte. I bambini non hanno paura di morire, più invecchiamo e più ne abbiamo.

Eppure la morte, intesa come annullamento del senso di sé, la sperimentiamo tutte le sere, quando ci addormentiamo. Smettiamo di esistere in quanto individui: è solo la nostra razionalità che ricuce l’individuo che si è addormentato con quello che si sveglia al mattino. Addormentarsi è un incredibile atto di fiducia nel mondo, e lo facciamo tutti continuamente.

Papa Francesco ha detto che “dorme come un legno”. È una delle cose più belle che gli ho sentito dire.

La religione dei pazzi

Mi è venuta voglia di scrivere qualche riflessione sulla religione rimuginando su un commento di Vic all’Omelia di Pasqua. Ho risposto al suo commento, ma ho continuato a pensarci. E lo sto ancora facendo.

Pazzia e spiritualità

Provate a pensare a una persona, la definiremmo psicologicamente disturbata, che è convinta che non bisogna pestare le fughe tra le piastrelle mentre si cammina su un marciapiede. Se lo fai ti succedono cose brutte. O se non lo fai te ne succedono di belle, non so, forse è lo stesso.

Ci sono persone persone così. Credo sia un tipo di pazzia comune. Se non sono le fughe tra le piastrelle è qualcos’altro, ma magari tutti abbiamo qualche momento del genere.

Mi viene in mente un episodio di Don Juan, di Carlos Castaneda, in cui l’autore e lo stregone sono seduti su una panchina del parco e Don Juan vede una bella ragazza e dice all’altro: “Se quella ragazza verrà a salutarci sarà un buonissimo segno”. Cose così. Secondo me siamo tutti più o meno immersi, o almeno esposti a queste cose che razionalmente definiremmo pazzie.

Perché succedono ? Perché ogni tanto clicchiamo il “Mi sento fortunato” di Google ? Perché compriamo un gratta e vinci sapendo che è praticamente impossibile non rimetterci ? Perché cerchiamo quadrifogli, perché ci fidiamo istintivamente di una persona e non di un’altra senza conoscere nessuna delle due ?

Un mondo oscuro e magico

Perché notiamo continuamente parallelismi, coincidenze ?

C’è una parte di noi, una grossa parte del nostro pensare, del nostro vivere, che lavora così. Siamo stati programmati, siamo evoluti, per lavorare con questo pattern matching, con questa capacità, bisogno, di fare associazioni. Tra qualsiasi e cosa e qualsiasi altra. E alcune di queste associazioni assumono un significato importante, e non riusciamo a capire perché. Sono il risultato di un elaborazione che non possiamo controllare e si impongono con una forza propria, non derivata da nessun ragionamento.

La nostra razionalità tende a fornirci delle certezze, un mondo definito, stabile, ma nel profondo, anzi, appena sotto la superficie, viviamo in un mondo sconosciuto, in cui la magia è la norma.

La spiritualità vive in quest’altro mondo, ha le sue radici lì. Vive della nostra percezione, più o meno inconscia, più o meno rimossa, più o meno relegata al rango di sintomo di insanità mentale, di questo mondo che non sappiamo spiegare. Di questo mondo che non si accontenta di nessuna spiegazione razionale.

Un mondo ricco

È un mondo ricco quello interiore. Ed è il nostro vero mondo.

Quello razionale è solo una facciata che creiamo per permettere la vita sociale, l’avatar con cui ci presentiamo in pubblico.

C’è di tutto nel mondo interiore, ci sono le pulsioni necessarie a garantire la continuità della nostra esistenza come individui e come specie, la fame, la paura, il sesso. C’è la pace o il terrore di territori che vanno oltre i nostri limiti, il bisogno di un senso, di indicazioni, ci sono ricordi. C’è la nostra storia passata, soprattutto interiore. Il senso di quello che siamo tradotto in sensazione, in emozione. C’è il calore delle persone che amiamo. L’angoscia di quello che non riusciamo a capire. Ci sono le persone che sono morte. Quelle importanti che non abbiamo mai conosciuto e le cui opere hanno comunque lasciato tracce, altre emozioni in quel paesaggio. C’è un giudizio continuo su noi stessi, una bussola che ci indica, di nuovo sotto forma di emozioni, come la tristezza o l’euforia, se siamo sulla strada giusta.

E noi con questo mondo dialoghiamo costantemente, anche senza rendercene conto. Ogni evento che si presenta ai nostri sensi, ogni incontro, ogni accadimento del mondo razionale viene tuffato in quel marasma e ne esce sotto forma di altre emozioni, intuizioni. Notare una coincidenza non è cosa da poco, è il risultato di una digestione avvenuta lì dentro.

E queste emozioni si rituffano in quel calderone e ne escono sotto forma di idee, di programmi, necessità, di bisogno di agire.

Ponti

La spiritualità ha le sue radici lì, ma non resta immersa in quel mondo. Viene a galla nel mondo razionale e tenta di fare un ponte.

La spiritualità è un ragionamento sul mondo interiore.

Tenta di recuperare una qualche unità del nostro essere. Tenta di fornire spiegazioni che soddisfino sia la razionalità che questa inconoscibilità sotterranea, questo senso del mistero.

Tenta, soprattutto, di comunicare. La spiritualità vive della percezione degli altri come compagni di viaggio. Come ombre, sconosciute anche loro, in questo mondo interiore, ma che sentiamo persi come noi. Altri che si muovono a tentoni nel buio, come noi, e a cui vogliamo tendere la mano per cercare una strada insieme. E non solo gli altri di adesso, gli altri vicini. Anche quelli lontani, o quelli delle stagioni trascorse. Confrontiamo i racconti delle ombre che abbiamo visto. Le leggende di città in grotte sconosciute, di fiumi di lava, laghi sotterranei, di vento fresco che scaturisce da qualche roccia.

Le religioni sono l’insieme di questi racconti tramandati. Le prendiamo con le pinze, molti di noi, altri le prendono per oro colato, ma per gli uni e per gli altri sono mappe consumate, più o meno attendibili, di quel mondo oscuro.

Mappe

La spiritualità ha tante forme. Ha la forma dell’arte soprattutto. La poesia, la musica, sono altri modi di far vibrare queste antenne interiori, di sentire queste radici.

Le religioni sono cose più strane. Credo siano nate come mappe. Qualcuno che ha navigato più a lungo in quel mondo interiore avrà provato a scrivere delle guide, per permettere ad altri di orientarsi. Qualcuno che ha costruito qualche ponte tra il mondo oscuro e la razionalità ha provato a mettere dei paletti, una segnaletica. A raccontare le sue esperienze. Col tempo quei paletti che spuntavano dal terreno sono diventati importanti, ci si è costruito sopra. Credo che ci abbia costruito molto qualcuno che in quel mondo non ci si era granché avventurato. Sono diventati racconti di racconti.

O peggio, qualcuno a cui quel mondo, là sotto faceva troppa paura, li ha usati per impedire che altri ci finissero. Le religioni, unite al culto della razionalità, hanno sbarrato la porta a quel mondo interiore. Soprattutto le religioni dell’occidente. Hanno dipinto dei bei disegni su quella porta.

I tesori

Io credo che millenni di questa elaborazione collettiva abbiano effettivamente prodotto tanto. Dei tesori, dei ponti, che sarebbe un peccato sprecare. Ma credo sia estremamente importante conservare il senso di precarietà, di non-certezza, almeno dal punto di vista razionale, di queste costruzioni.

Cos’è che si è scoperto, quali sono le indicazioni più importanti che ci offre questo bagaglio che ci è stato tramandato, cosa hanno in comune tutte le correnti spirituali che abbiamo ereditato ?

il mondo interiore esiste

Anzitutto che questo mondo interiore esiste, che è importante e non dobbiamo averne paura.

Che in questo mondo interiore possiamo trovare spiegazioni a cose che nel mondo di sopra, quello razionale, ci appaiono minacciose.

Perché moriamo ? Perché ci ammaliamo ? Perché, in generale, abbiamo bisogni, aspettative che non vengono soddisfatte ? Perché esistiamo ?

Tutte le grandi correnti spirituali e religiose danno risposte a queste domande. Alcune di queste risposte, peraltro, risultano accettabilissime anche sul piano razionale. Partono in generale dal constatare che le domande sopra sono malattie dell’ego.

Ci facciamo quelle domande perché ci sentiamo al centro del mondo. Appena cambiamo prospettiva, appena proviamo a vederci come cellule di un organismo più complesso quelle domande diventano ridicole.

Noi non moriamo, se per noi intendiamo la nostra specie, la vita biologica di cui siamo espressione, il mondo. Siamo solo una fase di una continua trasformazione.

Noi non ci ammaliamo, abbiamo meccanismi che reagiscono a dei cambiamenti, quelle che sentiamo come gioie/sofferenze sono forze regolatrici che ci guidano nel compimento della nostra parte in questo grande sistema.

Quanto al perché esistiamo la risposta è che non lo possiamo capire, non più di quanto possiamo immaginare che una cellula del nostro sangue capisca quanto è bella la serie “Tales From the Loop” che stanno dando su Amazon in questi giorni.

siamo parte di qualcosa di grande e buono

La gioia che questi sguardi, anche sporadici, nell’intimo del nostro essere può darci ci fa sentire immersi in qualcosa di buono, non è una citazione di Ambrogio e dei suoi cioccolatini, chiamatelo amore se volete.

i compagni di viaggio

Gli altri, intorno, sono dei compagni di viaggio. Sono immersi nello stesso plasma, stanno svolgendo un ruolo analogo al nostro. Hanno punti di vista complementari. Gli eventuali conflitti con loro sono parte del meccanismo di cui facciamo parte, non c’è bisogno di demonizzarli. L’eventuale amore (parola sbagliata, qui, forse meglio attrazione/con-passione) che proviamo nei loro confronti pure, non c’è bisogno di divinizzarlo.

Metafore diverse

Tutto questo lo possiamo raccontare con metafore diverse. Possiamo dire che siamo come onde in un mare e diventeremo di nuovo acqua o possiamo dire che siamo figli dello stesso padre, che ci ama. Ma se riusciamo a capire che queste due formulazioni dicono la stessa cosa credo sia meglio.

Verità rivelate

Le religioni sono piene di Verità Rivelate. Qualche essere superiore, o qualche grande saggio del passato che ha parlato con lui, ci ha trasmesso delle cose. E dobbiamo crederci perché arrivano da quel canale privilegiato. Da quel telefono rosso.

Non è una cosa del tutto campata in aria. Quello che arriva dal mondo interiore appare necessariamente come rivelato alla razionalità. Sbuca dal nulla e ha la capacità di imporsi come vero, lo sentiamo dentro che è vero, che è importante.

“Non calpestare le fughe” è una verità rivelata per il pazzo.

Ma adesso immaginate più pazzi che condividano la stessa intuizione, e sappiano raccontarsela l’un l’altro, confrontarne le sfaccettature, mettere il risultato in relazione col mondo razionale. Che sappiano trasformare quell’intuizione in indicazioni concrete sul come vivere meglio. Ecco che nasce una Verità Rivelata condivisa, da tramandare ai discendenti. Una saggezza di popolo.

Ai nipoti racconteremo che ce le ha dette un Dio davanti ad un roveto ardente quelle cose. È più facile così.

Omelia di Pasqua 2020

Resurrezione
Resurrezione

Se non credi che Gesù sia risorto è dura scrivere un’omelia di Pasqua. Ma ci provo.

Il racconto della morte

La celebrazione che la chiesa fa nel giorno di Pasqua è incentrata sulla resurrezione di Gesù di Nazareth.

giovanni

Le letture proposte in questo giorno raccontano della scoperta della tomba aperta, lo sconcerto iniziale e l’atto di fede conseguente, in cui accettano l’idea che sia davvero risorto.

Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

In effetti ci mettono un po’ a decidersi per quella spiegazione.

La domenica di Pasqua per i primi discepoli non è stato un giorno di festa. È stata la scena iniziale di un giallo. Trovano la tomba vuota e non sanno cosa pensare. Belli i dettagli raccontati da Giovanni: le bende per terra, il sudario ripiegato in un angolo, il correre dei discepoli ad avvertire l’un l’altro, il correre al sepolcro a vedere coi propri occhi. Cosa ? Una tomba vuota.

Giovanni è piuttosto stringato nel racconto.

matteo

Matteo è più ricco di particolari: racconta che già il giorno prima Pilato aveva fatto mettere una guardia di fronte alla tomba, sigillata, “perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E’ risuscitato dai morti”. Quasi un’excusatio non petita.

Matteo racconta poi che le donne, al mattino della domenica vedono un angelo che fa rotolare la pietra della tomba, tramortisce la guardia e racconta loro che Gesù è risorto.

Matteo ci racconta poi il subdolo piano dei sacerdoti:

si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all’orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia». Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.

marco e luca

Il racconto di Marco è meno roboante. L’angelo c’è anche qui, ma non ha l’aspetto di Superman, è un giovincello vestito di bianco, ben lavato e mite, che racconta alle donne che Gesù è risorto, e raccomanda loro di andarlo a raccontare agli altri. Guardie non ce ne sono.

Il racconto di Luca è molto simile, ma gli angeli sono due.

Il dopo resurrezione

All’inizio, quindi, sembra che a credere nella resurrezione siano state solo le donne. Anche Pietro in tutti i racconti è piuttosto perplesso.

Dai brani che nei vari vangeli raccontano il dopo resurrezione si vede che i discepoli cominciano a credere nella resurrezione perché, in vari modi, incontrano, molti di loro almeno, il Gesù risorto. E sono racconti strani, perché, in genere in questi incontri Gesù non è riconoscibile. Parlano con lui e non si rendono conto che è lui, fino a quando, nel loro intimo, non si rendono conto di averlo incontrato.

Il significato

Anche nei vangeli, quindi, la resurrezione avviene in un’altra dimensione. Avviene nel cuore delle persone. Ha un significato molto particolare. Sintetizza davvero l’insegnamento di Gesù, la fiducia in un Dio buono, che parla con gli uomini. Ma parla loro nel profondo del cuore.

Quello che ci resta oggi sono questi frammenti disaggregati di un racconto. Immagini confuse, suggestioni a cui possiamo dare un senso, se lo vogliamo, solo risalendo a quella fede (brutta parola, consumata), a quella fiducia che il mondo intorno a noi ha un senso, che c’è un intelligenza che non possiamo comprendere, se non in piccola parte, che governa le cose.

Alla fiducia che questa comprensione del mondo è maggiore nella parte non razionale del nostro pensare.

La possiamo sentire questa fiducia. C’è un Dio e ci parla, ma parla molto più forte nel nostro intimo che nella nostra razionalità.

carte false

Credo che la chiesa, soprattutto da San Paolo in poi, abbia fatto letteralmente carte false per dimostrare eventi sorprendenti, che sfidano le leggi fisiche.

Ma tutto questo sforzo immane di dimostrare l’indimostrabile ha finito per offuscare la bellezza di quello che era veramente successo.

guardare il dito e non la luna

Gesù, secondo me è stato un grande uomo, che ci ha mostrato un Dio di cui ci si può fidare.

Ci ha mostrato un modo di essere umani molto bello, in sintonia con questa fiducia.

Ma Gesù era il dito, non la luna.

Che lui sia veramente morto quel venerdì, e che il suo corpo abbia seguito il naturale corso degli eventi biologici, niente toglie alla bellezza di quello che ha detto, allo splendido esempio della sua vita.

La vera resurrezione

Ho messo in cima quell’immagine del soffione. L’ho scattata stamattina nel prato davanti a casa.

Mi piace molto perché credo sia quella la vera Resurrezione. Quella che avviene tutte le primavere. Le piante che credevamo morte che tornano a sorprenderci con la loro bellezza, gli animali e gli uomini che nascono. Le idee che si accavallano confuse e ne producono altre, sempre più belle.

Il corpo di Gesù sarà stato divorato e rimescolato come quello di tutti, dai piccoli animali e dai batteri. Qualche pianta se ne sarà avvantaggiata. Qualche animale avrà mangiato quelle piante, e, dopo duemila anni, è quasi sicuro che qualche atomo che ha fatto parte del suo corpo giri oggi nel nostro sangue, nei nostri muscoli.

Non è già una bellissima Resurrezione ?

Omelia del 5 aprile 2020

Una palma dal balcone di Ester e Gianni.
Una palma dal balcone di Ester e Gianni.

Domenica delle Palme. Ma è anche San Vincenzo Ferreri, predicatore apocalittico, ed è il mio onomastico (poca gente li festeggia, ormai, gli onomastici, a me ricordano l’infanzia, mia madre, un’occasione in più per festeggiare). Comunque auguri a tutti i Vincenzi Ferreri.

Domenica delle Palme. Che da noi non ci sono, e si usano i ramoscelli di olivo. Oggi non si può uscire a comprare neanche quelli: doveva pensarci Amazon …

Isaia e il servo perseguitato (Elì, Elì, lemà sabactàni?)

La prima lettura di oggi è molto bella. La traduzione letta nelle chiese è quella della CEI. Un po’ ostica, secondo me. Il pezzetto qui sotto è tratta dalla Bibbia Tilc (Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente) e mi piace di più.

Dio, il Signore mi ha insegnato

le parole adatte

per sostenere i deboli.

Ogni mattina mi prepara

ad ascoltarlo,

come discepolo diligente.

Dio, il Signore, mi insegna

ad ascoltarlo,

e io non gli resisto

né mi tiro indietro.

Ho offerto la schiena

a chi mi batteva,

la faccia a chi mi strappava la barba.

Non ho sottratto il mio volto

agli sputi e agli insulti.

Ma essi non riusciranno a piegarmi,

perché Dio, il Signore, mi viene in aiuto,

rendo il mio viso duro come la pietra.

So che non resterò deluso.

Il Signore mi è vicino,

egli mi difenderà.

Chi potrà accusarmi?

Chi potrà trascinarmi in tribunale?

Chi vuole essere mio avversario?

Si presenti!

Dio, il Signore, mi viene in aiuto,

chi mi dichiarerà colpevole?

Tutti i miei avversari scompariranno.

Diventeranno come un abito logoro,

divorato dai tarli.

La chiesa tende a sottolineare il carattere profetico di questo brano. Non ha torto, ma dobbiamo intenderci su cosa si intende per profeta. Dire che Isaia con questo brano preannunciasse avvenimenti successi 800 anni dopo presuppone una visione da Mago Otelma del profeta. Uno con la sfera di cristallo che guarda il futuro.

Il profeta non guarda il futuro, guarda dentro sé stesso, guarda il mondo intorno con occhi profondi, cerca un perché nelle cose, le mette in relazione ad un assoluto. Il profeta non vede il futuro, vede il presente con occhi diversi dagli altri.

Rapportate alla vicenda terrena di Gesù di Nazareth, le parole di Isaia ci dicono che la saggezza di Gesù, il sua mitezza, la sua fiducia in un Dio visto come padre, hanno profonde radici nella saggezza del popolo ebraico di cui faceva parte.

Il messaggio di Gesù è esattamente lo stesso di Isaia. È un “lo so che le cose andranno male”, “lo so che non siamo pronti, come popolo”, “lo so che c’è gente che non capirà, che si sentirà minacciata dalle mie parole e me la faranno pagare, ma io continuerò a dire quello che ritengo giusto”.

Gesù e Isaia dicono che non cercheranno di imporre le loro idee con la forza. Vivono in un rapporto profondo con Dio, accettano di non capire il disegno completo e portano avanti, con umiltà quella che hanno capito essere la loro parte in questo disegno.

Non importa se mi picchierete, se mi ucciderete. Continuerò a dire quello che sento che Dio mi sta dicendo. Ed è con questa mitezza, con questa accettazione del caos del mondo, della sua apparente cattiveria, che proverò a dimostrarvi che Dio mi parla davvero.

Perché come dice De Andrè

Inumano è pur sempre l’amore

Di chi rantola senza rancore

Perdonando con l’ultima voce

Chi lo uccide fra le braccia di una croce

Il racconto della passione

È probabilmente stato l’avvenimento più narrato nella storia della letteratura. Ha ispirato capolavori come “Il Maestro e Margherita” di Bugakov, o la Matthäus-Passion di Bach (una delle opere più belle che ci offre la musica classica).

Io sono particolarmente affezionato alla trasposizione che ne fa De Andrè nella Buona Novella. Il racconto molto umano dei personaggi intorno alla croce.

Maria che dice “Non fossi stato figlio di Dio t’avrei ancora per figlio mio”.

Le madri dei due ladroni che “san morir sulla croce anche loro”, arrabbiate con Maria perché lasci loro piangere “un po’ più forte” “chi non risorgerà più dalla morte”.

I padri dei bambini uccisi da Erode per uccidere da piccolo Gesù, i danni collaterali di questa guerra santa.

Gli apostoli impauriti:

Confusi alla folla ti seguono muti,

sgomenti al pensiero che tu li saluti:

“A redimere il mondo” gli serve pensare,

il tuo sangue può certo bastare.

La semineranno per mare e per terra

tra boschi e città la tua buona novella,

ma questo domani, con fede migliore,

stasera è più forte il terrore.

Nessuno di loro ti grida un addio

per esser scoperto cugino di Dio:

gli apostoli han chiuso le gole alla voce,

fratello che sanguini in croce.

Le donne, che hanno visto nella predicazione di Gesù un riscatto della loro condizione di inferiorità sociale:

fedeli umiliate da un credo inumano

che le volle schiave già prima di Abramo,

con riconoscenza ora soffron la pena

di chi perdonò a Maddalena,

di chi con un gesto soltanto fraterno

una nuova indulgenza insegnò al Padreterno,

e guardano in alto, trafitti dal sole,

gli spasimi d’un redentore.

E, ovviamente, i due ladri:

Non hanno negli occhi scintille di pena.

Non sono stupiti a vederti la schiena

piegata dal legno che a stento trascini,

eppure ti stanno vicini.

Perdonali se non ti lasciano solo,

se sanno morir sulla croce anche loro,

a piangerli sotto non han che le madri,

in fondo, son solo due ladri.

Il latitante

Rileggendo oggi il brano dal vangelo di San Matteo mi ha colpito un pezzetto, piuttosto, all’inizio, che sembra una nota di colore.

I discepoli chiedono a Gesù dove andranno a fare la cena di Pasqua. È festa, c’è questa tradizione di festeggiare con gli amici, o con la famiglia, e bisogna trovare un buon ristorante. E bisogna prenotare in tempo, se no sono tutti pieni. Non c’erano ancora The Fork o Trip Advisor, e Gesù dice “andate da quel tale a Gerusalemme”.

Si è perso, nel tramandarsi del racconto lungo i duemila anni che ci separano da questi eventi, il nome del ristorante. Pensate che pubblicità poter mettere un “Si mangia da Dio” sull’insegna.

Mi piace l’idea che Gesù conoscesse un buon ristorante comunque.

La frase è messa nel vangelo in modo sibillino, come il resto, e si presta alla lettura magica di un Gesù che manda gli apostoli in un posto in cui non era mai stato per fargli trovare uno che già sapeva per miracolo di dover preparare il Cenacolo per l’Ultima Cena.

Ma è più bello pensare a un “mi ha detto un mio amico che lì si mangia bene”, “ho visto su un altro gruppo WhatsApp di cui faccio parte che lì vale la pena, si spende poco e fanno dell’ottimo pesce”.

Mi ha fatto riflettere anche il fatto che, a questo punto della sua vita, Gesù cominciava sicuramente a essere braccato da tutte le parti. Aveva già fatto incazzare un bel po’ di sacerdoti con la sua predicazione, e questi erano immanicati col potere politico (“Quick, Caiaphas, go call the Roman guard”, dice a Caifa uno dei sacerdoti nel bellissimo “This Jesus Must Die” in Jesus Christ Superstar).

Insomma Gesù all’epoca era un latitante. Doveva muoversi con prudenza, si spostava rapidamente lungo la Palestina. Nell’episodio di Lazzaro i discepoli sono sorpresi che voglia tornare da quelle parti perché avevano appena provato ad arrestarlo.

E lui decide di fare la cena con gli amici.

Molto Zen.

Omelia di domenica 29 marzo 2020

Stavo leggendo quella di Padre Antonio Menegon (ma perché usa FaceBook ?) e, siccome mi ha lasciato un po’ perplesso, ho pensato di scrivere alcune considerazioni. Una mia omelia diciamo. Capitasse mai che qualcuno voglia leggerla …

Le letture

Le letture di domani parlano di miracoli. Parlano di vita e di morte dice Antonio. Secondo me parlano più di promesse, di aspettative.

La prima lettura di domani è tratta dal libro di Ezechiele (non il lupo, credo). Ed è una promessa fatta agli israeliti di farli uscire dai sepolcri e di condurli alla terra promessa. La seconda, bruttissima come quasi tutto quello che ha scritto Paolo di Tarso, è dalla lettera ai Romani, e parla, come al solito, di peccati, di dominio della carne etc.

Più interessante, e ricco di spunti su cui riflettere, è il brano, tratto dal vangelo di Giovanni, che parla della resurrezione di Lazzaro.

Gesù e i miracoli

Me l’ha inviato Vic dopo aver letto il post. Molto azzeccato !

Quello che più mi mette in crisi nella mia personale ricerca spirituale è l’aspetto miracolistico (i super poteri) dei racconti della vicenda umana di Gesù di Nazareth.

Ne avevo già scritto parlando del Vangelo di Marco. Mi piace pensare a Gesù come ad un guaritore molto bravo, magari ben oltre l’ordinario, ma senza aspetti soprannaturali. Mi piace pensare a quelli che sono passati alla storia come interventi diretti di Dio, che stravolgono le leggi naturali, più come fatti non ancora spiegabili con le conoscenze di allora, e magari neanche con quelle di adesso, ma sempre molto umani e terreni. Come eventi che forse un giorno capiremo e saremo in grado di replicare.

Volendo guardare le cose da questo punto di vista, racconti come quello della resurrezione di Lazzaro lasciano perplessi, perché sarebbero molto difficilmente spiegabili. Potremmo ricorrere alla scappatoia della distanza che ci separa dall’epoca in cui avvengono i fatti narrati. Ai possibili rimaneggiamenti di un racconto orale giunto a noi attraverso l’opera di una organizzazione che ha avuto tutto l’interesse a sostenere la tesi dell’intervento divino. Ma preferisco qui fare un altro tipo di considerazioni.

Un Dio enigmista

Qualsiasi cosa sia successa duemila anni fa non ci è dato di conoscerla per certo. Che istintivamente pendiamo verso una spiegazione o l’altra, ogni dubbio rimane lecito. Io tendo a non crederci, ma non ho elementi per escludere che le cose siano andate davvero come racconta il vangelo, e, direi, nessun credente può garantire che sia andata, invece, come descritto. Quindi qual’è l’unica cosa su cui ci possiamo trovare d’accordo? Parto dall’ipotesi che un Dio esista e ci voglia parlare, se escludiamo anche questo, il discorso diventa un altro, e altra la sede per affrontarlo. Se crediamo che Dio ci sia, quello che diventa importante è il significato che questo e altri racconti simili possono avere per noi.

Ora, se Dio fossi io (ma in parte lo sono, ricordate? sono fatto a sua immagine e somiglianza) e volessi far capire a qualcuno che l’ho infilato in un mondo con determinate leggi fisiche, ma mi riservo il diritto di cambiarle quando voglio, lo farei continuamente. Metterei, che so, dei neon la notte in cielo, con scritto “quelli che voglio li faccio risorgere”, e ogni tanto ne farei davvero risorgere qualcuno, tipo un gratta e vinci, metti. Ogni tot che muoiono uno risorge, e gli angeli in cielo intonano “Uno su mille ce la fa”.

Ok, lo so, molto blasfemo, ma avete capito il concetto. Il fatto stesso che non sia tutto così lampante implica, anche per un credente, che Dio stesso qualche dubbio vuole che ce l’abbiamo.

L’unico miracolo che merita

Vado oltre.

Penso che quelli narrati nei Vangeli siano miracolicchi. Sì, anche la resurrezione di Lazzaro. In fondo sarà poi ri-morto pochi anni dopo, non è comunque più tra noi. Cosa resta allora se non un simbolo, un significato da scoprire, un racconto.

Secondo me questi miracolicchi rischiano di farci perdere di vista un miracolo ben più grande, che, questo sì, è certamente opera di Dio, ed è sotto i nostri occhi continuamente, molto meglio dei neon la notte. È la vita stessa.

Siamo immersi in un mondo magico. Magico nel senso che non riusciamo a spiegarlo, comprenderlo. Ogni cosa che guardiamo non può che essere fonte di meraviglia. La complessità e bellezza del mondo che possiamo assaporare tutti i giorni, la nostra razionalità, la nostra scienza, non riescono a spiegarla. Continuiamo a scavare, continuiamo a scoprire gemme, ma non riusciremo a spiegare il mondo. Non riusciremo a descrivere un insieme che contiene noi stessi (forse lo diceva già Gödel). A mio modesto parere non troveremo mai una teoria unificante, non ci sarà mai un novello Archimede che potrà dire: “Datemi questi ingredienti e il mondo non lo sollevo semplicemente, lo creo”.

Mi immagino il lavoro degli scienziati come quello di qualcuno che ingrandisce sezioni di un insieme di Mandelbrot, per ritrovare, ad ogni passo, nuovi infiniti da scoprire, senza rendersi conto che è proprio questo ripetersi infinito di infiniti la cosa su cui merita porre attenzione.

Oltre la rassegnazione, e Don Bosco

Padre Antonio, nella sua omelia, parla di questa pietra tombale che Gesù fa rimuovere, come metafora dell’atteggiamento di rassegnazione da cui spesso ci lasciamo seppellire davanti alle difficoltà. Bello.

Mi è venuto in mente in mente, visto che siamo in tempi (e anche Antonio ne parla) di epidemia, quell’episodio della vita di Don Bosco durante il colera del 1854. Sono andato a cercare il racconto, lo trovate qui, nel caso. E’ bello da leggere, molto attuale, di questi tempi. Una narrazione della Torino ottocentesca, ma la Torino dei poveri, dei diseredati. Mi è venuto in mente perché vi si parla di un altro miracolo. Don Bosco, dopo aver preso “per non tentare Dio” precauzioni molto umane, come imporre maggiore igiene personale e sanificazione di locali e vestiti, chiede ai suoi ragazzi di impegnarsi nell’assistenza ai malati, offrendo l’intervento divino come protezione. Pare non si sia ammalato nessuno di questi volontari.

Mi ha fatto pensare ai nostri medici e infermieri, in questi giorni, e a quanto l’atteggiamento mentale possa incidere nel difenderci dalle malattie.

Forse in questa terra promessa di cui parla la prima lettura ci siamo già, basta rendercene conto.

Ancora sui miracoli

Ma torniamo al discorso miracoli. Sopra ho implicitamente accennato al miracolo della fisica, la nostra possibilità di comprendere i meccanismi della materia, o del cosmo.

Se credete che un giorno riusciremo a padroneggiare quei misteri provate a pensare alla biologia, alla comprensione di cos’è la vita. Alla complessità delle cellule, degli organismi.

E se non vi basta pensate alla psiche umana, all’infinito celato dentro le nostre menti, e, ancora, pensate alla complessità dei rapporti sociali, alle organizzazioni degli uomini, al nostro lento diventare alveare, all’egoismo che diventa coscienza di essere cellule di un apparato più grande, pensate alla storia, ai milioni di anni che hanno lasciato tracce infinite da scoprire.

Pensate alla cultura, all’arte, alla tecnologia, al fatto che ogni giorno creiamo più tesori da conoscere (più libri, più musica, più innovazione tecnologica) di quanto una singola mente umana potrà essere in gradi di digerire in tutta la vita, anche se si concentra su un settore estremamente specifico.

Questo è il grande miracolo che abbiamo intorno.

Poi, vabbè, qualcuno sarà anche risorto duemila anni fa. Ma sarebbe davvero il meno.