Leopolda – ritorno

Alla fine questo Auto Park Hotel non era neanche male. A parte la doccia che non si chiude bene e allaga il bagno. Mi sono alzato presto. Ho fatto un minimo di editing e pubblicato gli appunti di ieri. Bello lavorare su queste scrivaniole delle camere d’albergo. A colazione c’erano anche le uova strapazzate, niente bacon, quello è raro trovarlo. C’erano degli invitanti croissant, ma con la dieta chetogenica non ci stanno proprio: mi è costato non toccarli. Una comitiva di ragazze orientali rumoreggiava per le scale. Sorridono sempre.

Il treno per Milano parte alle 11, farò ancora un salto alla Leopolda, almeno per vedere questo maxi schermo in piazza. Non ho capito a che ora parla la Bellanova, mi sarebbe piaciuto sentirla. Immagino si troverà il video in rete, in ogni caso.

Siamo qui, lo schermo in piazza non c’è. Sta parlando la Boschi: chiedono soldi. Prima di farlo, secondo me, dovresti dire come li spenderai, quanti te ne servono, come darai trasparenza di quanti ne avrai raccolti e di come li avrai spesi.
Ora parla la millennial dello smartphone, ha un biglietto in mano e parla a braccio, ma il livello del discorso non sembra migliorato.
Posso fermarmi ancora una decina di minuti. Mi piace la gente intorno, forse si meritano di più.

A casa. Piove e fa molto più freddo che a Firenze.
Visto Renzi da Fazio: ripete le stesse battute dette alla Leopolda. Alla fine sembra che la politica/spettacolo sia destinata ai cretini. Forse è normale: la politica non dovrebbe essere spettacolo o tifo.
Alla fine ho deciso di iscrivermi. Cacciato 20 euro. Non sono d’accordo con IV su alcune cose, come l’avversione senza alternative a quota 100 e questa insistenza sul problema denatalità in Italia. Non mi piace poi che manchi una possibilità di partecipazione a un dialogo via Web. Comunque nel complesso sono ancora convinto che per il momento sia la scelta migliore. Un piccolo investimento per il futuro di tutti: spero serva.

Il commento migliore che ho visto sulla Leopolda. Condivido al massimo.

Qualche foto fatta nel giro

(Il grandangolo del P30 pro è davvero notevole)

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Leopolda 10 – Il sabato

Migliaia di persone in coda.
Sento dire da qualcuno, un po’ illuso, qui di fianco, sta parlando con qualcuno al telefono: “se per caso ci fanno entrare … “. La maggior parte sa benissimo che non entrerà. Eppure restano qui. Forse perché sperano in qualche forma di miracolo, forse perché ormai sono qui, molti arrivati dai posti più disparati d’Italia, e non sanno bene che altro fare. Ma molti, credo, rimangono qui per esserci. Perché è proprio questa coda l’evento. Un modo di dire “c’ero anch’io”, una dose addizionale di voto.
Qualcuno si lamenta dell’organizzazione. “ma allora questa pre-registrazione a cosa serviva?”
Già.
Secondo me Renzi ha puntato proprio su questo: voleva queste persone qui in coda, voleva sfruttare l’impatto mediatico di tutta questa gente assurdamente in attesa di entrare in un posto che non lo può contenere per un banale fatto di incomprimibilità fisica. Leader spregiudicato che usa i suoi eserciti come carne da canone per una giusta causa.
A proposito: è appena passato uno col microfono e il cameraman che lo riprende e dice ai suoi telespettatori “Ecco, vedete, la Leopolda inizia da qui”. Matteo ha ottenuto il suo scoop.
Le Troup sono diverse. Ho girato l’angolo e ora si vedono, intervistano la gente in coda.
La gente continua a sbarcare dai mezzi e guarda stupita la coda. Qualcuno fa il furbetto e prova a inserirsi a metà, nessuno se ne preoccupa, la maggior parte si incammina diligentemente verso l’angolo, ancora non immagina cosa c’è dietro.
Sono arrivato al cancello del parco, ovviamente di entrare davvero nella vecchia stazione neanche a parlarne. Incredibilmente il Pass “Vincenzo” di ieri è servito a evitare un prezzo di coda. Molti entrano e se ne vanno via appena si rendono conto di essere stati dirottati in un cortile col maxi schermo (neanche tanto maxi, per dirla tutta).
Non so quanto posso resistere qui in piedi: anche il gradino di ieri è già occupato. Almeno, per il momento, non piove.
Hanno messo dei gabinetti chimici, forse dopotutto non era di cane la puzza di piscio che sentivo ieri.

Riinizia

All’altoparlante una ha detto: “Buon giorno a tutti quanti, se ci accomodiamo cominciamo”. Risata generale, amara.
Trasmettono frammenti del discorso di Renzi di ieri, sta dicendo che il fatto che la Leopolda sia troppo piccola per l’evento dimostra che c’è un popolo che non ha paura di dire quello che vuole. In effetti non c’è molto modo di dirlo. Al momento vorrei una sedia.
Zaffate di marijuana anche qui. La prosa mi viene già più scorrevole.
La ministra Bonetti presenta un tipo che ci parla del problema, secondo lui, più grande dell’Italia: quello che facciamo pochi figli.
Ma è davvero necessario incrementare la natalità? Non siamo già troppi? Perché guardare solo all’Italia?
Se ci sono tanti giovani che non studiano e non lavorano il problema non è che tarderanno a fare figli, il problema è che abbiamo una massa di gente che fa una vita di merda.
Ok, un punto giusto l’ha detto: la povertà delle famiglie influisce sull’educazione dei figli e quindi, in definitiva, sulla massa di persone non realizzate.
Ma non sono d’accordo con le misure che sta proponendo: asili nido e unità abitative per i giovani. Le misure per curare tutti questi problemi secondo me sono quelle che favoriscono l’occupazione: istruzione adeguata, infrastrutture, tasse basse etc…
Alla fine ‘sta Bonetti mi ha intristito.
Perché dare dei soldi alle famiglie per migliorare le attività educative? Dalli alla scuola.
Partono i tavoli di lavoro. Per quelli dentro. Mi sarei aspettato che prevedessero qualche forma di partecipazione anche per quelli fuori (o, ancora meglio, via internet) ma sembra di no. Renzi si scusa. La gente esce.
Mi sa che vado a farmi un giro per Firenze.

Ripresa

E rieccoci qui nel pomeriggio. Tra un po’ dovrebbero mostrare il simbolo del nuovo partito. Intanto ci sono interventi dei ggiovani. Sta parlando il sindaco di un paesino calabrese che urla. Dice che hanno fatto diventare il comune digitale, ma non ho capito cosa vuol dire.
Prima c’era una che ha detto che siccome era una millennial leggeva il suo intervento dallo smartphone. Ma dove li prendono?
Parla ora un imprenditore toscano. Sembra quella canzone di Bennato, festa di piazza.
Saranno anche bravi, per carità, ma quando parli a slogan da un palco sembra sempre un po’ tutto banale. Questo parla male del reddito di cittadinanza.
Ed ecco un ingegnere informatico. Sindaco di non so cosa, ma ha vinto contro uno della lega e ci dice che la lega può essere battuta. “quand’è che la politica comincerà a parlare dei problemi delle persone?” mmm … originale!
Questa mi piace! Critica d’arte se ho capito bene. Dice che non ha votato per anni e ora ha incontrato Matteo sulla via di Damasco (non l’ha detto … è mia, ma il senso era quello). Dice che la sfida di Italia Viva è riportare al voto quel 40% che ha smesso. Ci sta. Uhh brava, parla della sovrappopolazione e dice di non enfatizzare troppo il problema della de-natalità italiana. Brava: peccato non aver capito come si chiama.
Ora c’è uno che legge banalità. Le banalità lette sembrano ancora più banali. Tra l’altro c’è l’ha con la piattaforma Rousseau credo, ha detto che non bisogna basarsi su piattaforme e algoritmi inventati (per distinguerli dagli algoritmi che si trovano in natura, direi).
Si sente un uomo vero e vivo.
Se questi sono i giovani preferirei vedere gente un po’ più attempata.
Chiedono soldi per il partito. Se in cambio mi dessero una sedia, o, mettiamo, un giornale per sedermi per terra, qualcosa gliela darei anche.
Ora parla uno che non ha la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi dell’Italia. Sono tentato di credergli.
Siamo all’ultimo intervento di ‘sto strazio.
Io, che non sono un millennial, ho attaccato un power bank al mio smartphone, ‘chè si stava scaricando la batteria.
C’è Matteo che presenta il simbolo della nuova casa. Ma la prende lunga.
Dialogo a distanza con Salvini in piazza San Giovanni: “questa casa è a prova di ruspa”, pare che Salvini stia sparando insulti verso Renzi, ma non si erano sfogati da Vespa?

Il simbolo poi è quello che avevo scelto io: ma non è che sia ‘sto granché, preferivo quello di makkox. Bravo il Matteo a creare suspense con una menata del genere.

Bene, me ne sono andato, magari ripasso domani mattina a vedere che fanno, mentre aspetto il treno, ma posso cominciare a tirare qualche somma.
Io il voto glielo do. Non so se mi iscrivo al partito, voglio guardare bene questo manifesto dei valori che hanno elaborato, ci sono un paio di cose che non mi convincono. In ogni caso farei entrambe le cose (votarli e iscrivermi) per il motivo che accennavo nell’altro post: la mancanza di alternative.
Insomma sono un po’ deluso.
Uno dei motivi della delusione è questo insistere sulla quota 100 senza prevedere soluzioni alternative, ma di questo ho parlato ieri. L’altro aspetto deludente è che Italia Viva si presenta come un partito decisamente verticistico, con scarsa partecipazione dal basso. Renzi, anche se dice il contrario, non vuole una base con delle idee, delle proposte, vuole una clack, un serbatoio di voti e di donazioni.
Non puoi creare un partito nel 2019 senza prevedere un meccanismo di partecipazione via rete, questi comitati civici hanno solo connotazioni locali, potranno far emergere temi di interesse locale (che come tali saranno ignorati). Gli input dal basso che siano di natura generale rischiano inevitabilmente di essere filtrati. Faccio un esempio molto estremizzato che mi sembra renda l’idea: supponiamo che ci sia qualcuno in un comitato che ha una proposta che tendenzialmente sarebbe accettata da una persona in ogni comune. Sarebbe una proposta buona, di fatto condivisibile da un migliaio di persone. Ma se l’organizzazione ha struttura territoriale un’idea del genere non ha possibilità di emergere in qualunque comune sia presentata, perché risulterebbe supportata solo da una persona.

Insomma, si affannano a denigrare la soluzione 5S, ma credo che sull’aspetto partecipazione la gente di Grillo sia decisamente più avanti. Con tutti i rischi che la cosa comporta: se in una discussione tra un professore e una mamma no vax vince la seconda c’è qualcosa che non va.

La democrazia rappresentativa immagino sia nata proprio pensando a problemi come questo. Facciamo governare pochi, scelti, perché la massa è ignorante. Ma oggi ci sono fasce sempre più ampie di persone che ignoranti non sono, sono preparati e anche desiderosi di intervenire nel dibattito pubblico. Devi trovare il modo di farli partecipare, devi dargli dei bottoni da premere. Come distingui gli ignoranti dagli altri? E anche gli ignoranti non hanno diritto di esprimere almeno le loro necessità?

Ecco, da un partito che nasce oggi mi aspetterei risposte a queste domande.

Verso la Leopolda

Chivasso Torino

A Torino ci siamo arrivati, il treno da Chivasso era pieno come un uovo, quello delle 9:43 era in ritardo e quello successivo accumulava i passeggeri di due treni. Quasi due ore di attesa per il prossimo, ma se hai tempo è comunque bello girare in treno, le stazioni hanno sempre un loro fascino. Da Feltrinelli stavo per comprare un libro sulla dieta Keto, sembrava bello. Ľho sfogliato un po’, ma arrivato alle bacche di Akai ľho posato. Mi aveva già insospettito, devo dire, la salsa di fagioli. Difficile tradurre le culture, ancora oggi: non siamo ancora globalizzati come sembra.
Ripensandoci, le stazioni hanno un certo fascino, ma sono anche parecchio scomode, se devi passarci due ore, almeno quella di Torino Porta Nuova. Le uniche panchine, poche, sempre affollate, fredde, sono su un lato della stazione, lontane dai tabelloni con gli orari. C’è una lounge per i Freccia Rossa, ma devi avere le loro carte pregiate. Io viaggio con un Italo, per cui niente. Se sei un fumatore, poi, non puoi stare neanche sulle panchine, benché siano praticamente all’aperto: mi sembra un inutile infierire sulle scelte individuali.
E siamo partiti per Milano, treno mezzo vuoto, ma magari si riempie più avanti. Va a Venezia. Due file più avanti c’è una famigliola attempata che mangia roba da delle buste McDonald’s. Non parlano italiano, una lingua latina direi, lineamenti da colombiani. Arriva l’odore del junk food e mette fame, in effetti è ora di pranzo.

Perché

Non so perché vado alla Leopolda: quelle decisioni prese d’istinto. Mi è sembrato bello/giusto, ma in effetti non sapevo, e non so, cosa aspettarmi esattamente. C’è l’idea di fondo di assistere, forse partecipare, a qualcosa di importante che nasce. Il mio fiuto mi dice che Italia Viva sfonda. Non è una speranza, c’è anche quella certo, ma è più un calcolo inconscio. Se provo a razionalizzarlo mi viene da dire che non ci sono molte alternative. Da una parte non abbiamo una sinistra seria. Credo che il PD non lo sia più, pensiero da elaborare in altra sede, dall’altra la destra moderata è in disfatta, spiazzata dall’ondata sovranista. In queste condizioni per chi vuole un’offerta politica pragmatica (evito il termine moderata perché mi sembra sottrarre senso anziché darne) Renzi rappresenta un buon compromesso. Serve un’offerta che tenga in conto anzitutto i problemi economici del paese, della fattibilità delle cose prima che della loro purezza ideale, e che, contemporaneamente, tenga conto dei bisogni delle fasce più deboli, per tenuta sociale prima ancora che per spinta etica o ideologica.
Ho accettato fin dall’inizio di venirci da solo, ma ho provato ad invitare qualcun altro, e, devo dire, le reazioni mi hanno spesso sorpreso. Praticamente tutte le persone a cui ho parlato dell’idea di venire qui, o, in generale del mio appoggio a Italia Viva, hanno manifestato non indifferenza, ma quasi odio nei confronti di Renzi, spesso con motivazioni molto diverse tra loro. Spesso opposte. Le persone che giudico legate a un’idea nostalgica della sinistra gli rimproverano cose come il jobs act, la distruzione del feticcio dell’articolo 18. Molti gli rimproverano il fallimento del referendum, l’averlo personalizzato troppo, la sua arroganza, la scarsa coerenza, la scissione col PD.
Secondo me Renzi è stato vittima di una campagna meditatica negativa, in buona parte immeritata.

Milano

Cagata con sciacquata di coglioni per lo sciacquone che si attiva a sproposito. Dire sensazione sgradevole non rende neanche lontanamente l’idea. Contenitore per le mascherine copri-sedile vuoto, ma d’altronde non c’era neanche il sedile: duro marmo sporco di piscio, 3 dei 4 distributori di sapone fuori servizio, come due dei tre varchi automatici per uscire, due dei quattro cessi con la porta divelta, e per questo servizio si paga anche 1 euro. Almeno c’era la carta igienica. E c’erano i cosi della Dyson che ci ficchi le due mani e te le asciugano, fantastici, ne vorrei uno a casa. Comunque è ufficiale: Milano Centrale è fin peggio di Porta Nuova. Ci vorrebbe così poco …

Quota 100

Intanto mi ha scritto Renzi, con un programma di massima dell’evento. Tra le altre cose annuncia una battaglia, che ammette simbolica, contro quota 100, i soldi vorrebbe darli alle famiglie. Con tutto il rispetto per le famiglie non sono d’accordo.
Bisogna arrivare a 63 anni, mi sa, per capire che il lavoro dopo i 60 anni ha bisogno di soluzioni diverse da quelle puramente economiche proposte dalla Fornero. Lo so, sembra in contraddizione con quello che dicevo poche righe sopra. Ma bisogna trovare una soluzione diversa dai due semplicistici “a casa chi può, e chissenefrega dei conti dell’INPS” e “non rompere i coglioni e lavora fino a 70 anni”.
La cosa vale per tutti i tipi di lavoro, non solo quelli usuranti. Ad una certa età ogni lavoro è usurante. È usurante andarci al lavoro, guidare, alzarsi presto, rispettare orari, non poterti concedere un sonnellino dopo pranzo anche quando diventa più difficile digerire qualsiasi cosa, non poterti permettere una dieta più adatta alle condizioni di salute sempre più delicate, non poter dedicare una parte delle ore di sole a qualche sana attività fisica. Vale per tutti, certo, ma più invecchi e più di queste cose hai veramente bisogno, per sopravvivere, non sono più un lusso
Più avanzi con l’età, poi, e più diventa importante dedicare parte del tuo tempo a cose che contano, che senti importanti.
Dopo i 60 anni credo che i lavoratori (parlo del lavoro dipendente) si dividano in due categorie: quelli che la sorte e/o le capacità hanno lasciato in una situazione attiva e quelli che, per vari motivi hanno deragliato su qualche binario più sofferto, più passivo. Sono entrambe situazioni problematiche. Salvo rare eccezioni se dopo i 60 anni sei in un ruolo decisionale sei nel posto sbagliato. I tuoi pensieri sono sclerotizzati, le tue conoscenze sono sorpassare, sicuramente non hai avuto il tempo di tenerti aggiornato sulle novità del tuo settore e rischi di scartare decisioni che sarebbero innovative perché ragioni con un dizionario del secolo prima. Se sei in un ruolo passivo hai, in genere, un bagaglio di esperienze troppo grande per non mettere in discussione continuamente tutto quello che ti viene chiesto di fare. Non c’è storia: a una certa età l’unico, ma non è assolutamente poco, valore che puoi avere per un’azienda è il bagaglio di conoscenze storiche che ti porti dietro. Conosci meglio di altri, probabilmente, prassi/metodi, storia delle scelte fatte, degli sbagli fatti, hai metabolizzato le conoscenze del settore in cui operi, hai praticamente tutto quello che servirebbe a formare nuove risorse che entrano. Devi uscire gradatamente, sganciarti, lasciare, un po’ alla volta, posto a chi resta, o a chi sta entrando. Credo sarebbe necessario, in pratica, prevedere orari gradatamente ridotti e più opportunità di telelavoro per i lavoratori anziani. A 58 anni lavori un ora in meno al giorno e fai un po’ di telelavoro, a 67 lavori un’ora al giorno da casa. Il costo dell’operazione bilancia quello che si spenderebbe mandando la gente a casa a 62 anni, ma sarebbero soldi molto meglio spesi.

La coda

Arrivare quasi tre ore prima non è servito. Sono riuscito, ad un certo punto, a dare una sbirciata dentro e l’ambiente è veramente grande, qualcuno diceva che c’era spazio per 6000, qualcun altro 20000 persone, ma evidentemente eravamo molti di più.
Una coda con un gusto strano. Ne ho viste tante di folle, questa era particolare. Avevano negli occhi, non saprei come definirla, voglia di partecipazione forse. Qualcosa di indistinto comunque, quasi l’attesa di un messia. Molta gente sola, tutti composti. Ricorda un po’ le adunate religiose, penso a Taizè, immagino questi siano qui con l’idea di partecipare alla costruzione di un mondo migliore, o solo per essere presenti a qualcosa di singolare. Certo anche voglia di appartenenza, in questo non è diverso dalle adunate calcistiche, o dai concerti.

Cortile e maxi-schermo

Alla fine non si entrava proprio. Ci hanno dirottati verso un cortile di fianco alla stazione, c’è un maxi-schermo. Il signore di fianco a me sta dicendo alla moglie “non ho capito cosa dobbiamo vedere”. Sono di Roma. Prima ho incrociato gente di Milano, evidentemente molti vengono da lontano.
Ci hanno dato un pass da apprendere al collo, sul mio hanno scritto “Vincenzo”, troppa fatica metterci anche il cognome.
La moglie del tipo di prima sta leggendo ad alta voce la mail di Renzi, il Verbo.
Sono seduto su un gradino c’è puzza di piscio di cane.
Lo schermo trasmette immagini di Renzi che fa un bagno di folla. Forse non messia, ma al papa somiglia.
Sta dicendo in un monologo che è ora di smetterla coi monologhi dei politici. Bah.
Certo l’organizzazione non è il loro forte. Hanno presentato una, che è sul palco, che ha padre italiano e madre curda e ora che c’è il collegando con kobane c’è una che parla curdo, uno che traduce da curdo in inglese e uno che ritraduce da inglese a italiano, ma non potevano usare quella di prima e saltare l’inglese?
Non parla un bell’inglese Renzi, meglio di Di Maio probabilmente, però si traduce da solo.

Per andare da Novoli al centro di Firenze c’è un tram. La linea T2. Se chiedi indicazioni per sapere dov’è la fermata ti rispondono “lei vuol dire la tramvia”. Al secondo che me l’ha detto ho chiesto la differenza tra un tram e una tramvia e mi ha risposto: “qui a Firenze chiamiamo tram i pullman e tramvia quello con le rotaie”, giuro.
Camminare la sera per Firenze è un susseguirsi di zaffate di marijuana. Ma tanta. Forse la passa il comune.
All’uscita dalla Leopolda ho chiesto a una delle poliziotte lì fuori se il tram lì davanti andava verso Novoli. Ora sicuramente mi sbaglio, ma ho avuto la netta impressione che fosse incerta sulle gambe, che si sforzasse di tenere la faccia seria e che parlasse a stento, giurerei anche di aver sentito una delle zaffate di cui sopra mentre parlava. Mi ha risposto “Mi dispiace non posso aiutarla”. Mah …

Chi sono ?

Photo by JR Korpa on Unsplash
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Alla fine aveva ragione lui. Il semaforo. La telecamera del semaforo in effetti. Anzi le due telecamere, ho poi scoperto: una ad infrarossi che legge la targa e una a colori che riprende la scena per le eventuali/inevitabili contestazioni.

Il signore alla Polizia Municipale è stato molto gentile, mi ha fatto entrare in ufficio e guardare le foto. Aveva l’aria molto comprensiva. Sicuramente abituato a quelli che arrivano dicendo “Figurati se io sono passato col rosso. C’è sicuramente stato un errore”. Aveva quell’aria muro di gomma di chi lavora agli uffici reclami.

E invece sono proprio passato col rosso: c’erano quattro o cinque foto che ritraevano tutta la sequenza da prima di impegnare l’incrocio, all’attraversamento, all’uscita dall’altra parte. E c’è poco da fare: erano segnati anche i secondi trascorsi da quando era scattato il rosso: 59 secondi che era rosso e io iniziavo l’attraversamento.

Mi sarei aspettato almeno una situazione tipo: inizio ad attraversare col giallo, trovo quello davanti che si ferma, resto bloccato in mezzo all’incrocio e la spietata tecnologia mi fredda. E invece niente: ero completamente da solo.

Mi ha fornito lui una possibile spiegazione (giusto un contentino per il mio amor proprio, ma non avrebbe avuto valore legale e non mi avrebbe salvato dall’esborso dei 131 euro e dai sei punti tolti alla patente): c’è un semaforo per l’attraversamento pedonale che segna verde quando per le macchine hanno il rosso, magari avevo guardato quello. Ma non ci credo neanch’io.

Insomma devo accettare il fatto di poter fare, a volte, cose che razionalmente eviterei (non passerei mai col rosso coscientemente, per una questione di principio). E, soprattutto, devo accettare il fatto che nemmeno me ne accorgo, nemmeno me ne ricordo.

È dura accettare di non potersi fidare di sé stessi. Mette dei dubbi su chi si è veramente. Voglio dire: chi sono io? Quello che non si può fidare dell’altro o quello di cui non ci si può fidare ? Credo che tendenzialmente ci si identifichi col primo, ma, a quanto pare, nell’equazione che definisce chi siamo dobbiamo almeno includere quell’altro, quello che fa cose, diciamo, per conto suo.

Immagino che c’entri anche l’età. Forse il secondo personaggio (o sono più di uno ? io sono legione) acquista forza con gli anni. Magari c’entra la mancanza di consapevolezza, di presenza (dura ammetterlo per uno che pratica meditazione/mindfulness).

Immagino che per tutti attività come guidare siano gestite da qualche sorta di pilota automatico. Immagino che a questo automatismo diamo istruzioni complesse, tipo portami lì, ma anche attento a non investire nessuno. Pensavo che l’attento a non passare col rosso fosse scontato. Evidentemente no, e non c’è modo di controllare la lista di queste istruzioni, le relative priorità.

Detto questo spero che arrivi presto il momento in cui del guidare una macchina si possa fare a meno: auto a guida automatica, chiusura al traffico delle città, chissà cosa ci aspetta.

Comunque una bella occasione per riflettere su di sé, e concludere, ancora una volta, che chi siamo veramente non ci è dato di saperlo.

Muscoli, Cervello e Cuore

I muscoli

Votare credo sia una versione raffinata della guerra.

Photo by Valentin Salja on Unsplash

Anzichè scannarci di brutto ci contiamo, decidiamo che, più o meno, i più numerosi avrebbero vinto, ed evitiamo spargimenti di sangue ed energia fingendo che la guerra l’abbiano vinta gli uni o gli altri. Una bella conquista, dopo tutto.

Personalmente avrei preferito la soluzione Orazi e Curiazi. Spargimento di sangue vero, ma minimo. Qualità contro quantità. E poi lo spettacolo! Vuoi mettere col calcio? Ma tant’è, oggi il sangue ci fa orrore. I talk-show penso siano ispirati da quest’altra modalità. Purtroppo, in genere, si fermano alle invettive.

Comunque muscoli, sublimati o no. La politica di oggi è estremamente muscolare, e quando risolvi i problemi con la forza viene il dubbio, più che lecito, ovviamente, che l’oggetto del contendere siano interessi di parte e non idee, checchè poi se ne dica.

Il cervello

No, c’è di meglio.

Da grillino della prima ora (subito deluso, tengo a dire, dalla faccenda con Bersani, e ancora più deluso in seguito dalla pochezza e arroganza dei rappresentanti eletti) ho avuto modo di dare un’occhiata alla piattaforma Rousseau. Se ne son dette tante a riguardo, e penso che i sospetti di scarsa integrità e sicurezza fossero più che giustificati. Quello che ho notato, però, e che nessuno sottolinea, è il fatto che non si tratta semplicemente di un meccanismo digitale di supporto al voto. Gli stessi 5S ne stanno dando questa immagine, ricorrendo pubblicamente al verdetto dell’oracolo a fronte di ogni decisione che non hanno il coraggio di prendere. Ma Rousseau è, secondo me, principalmente un posto in cui le idee, le proposte, nascono, si mescolano, si raffinano, emergono. Su Rousseau ogni iscritto può presentare soluzioni che vengono lette, commentate e, infine sì, votate, ma l’importante è quello che è successo prima del voto.

Ho l’impressione che il PD stia pensando di replicare la parte muscolare e non cerebrale dell’idea. Le primarie in fondo sono questo: “scegli A o b” (notare la A maiuscola). Negli altri partiti encefalogramma piatto, direi, non credo che le varie sedi locali ospitino di meglio in termini di democrazia interna. Forse i Radicali sono un’eccezione, lì ci sono posti per dire la propria (ho l’impressione che in quei contesti si parli molto più di quanto si ascolti, ma è un’impressione dall’esterno).

Comunque questo è il cervello. La politica deve essere confronto di idee, dialogo, elaborazione, generazione di soluzioni possibili, soprattutto nel senso di abbastanza condivise. Il voto, alla fine, deve diventare quasi una formalità.

Il nostro ordinamento prevede, almeno sulla carta, questo bellissimo metodo di prendere le decisioni collettive. Eleggiamo dei rappresentanti che in parlamento, in teoria, sono chiamati a fare esattamente questo: fare proposte (a nome nostro), ascoltare le proposte degli altri, capire se ci sono punti di convergenza e creare leggi che rappresentino compromessi accettabili per gli elettori. Forse nelle commissioni parlamentari avviene davvero questo, non so. Ascoltando i lavori del parlamento su Radio Radicale l’impressione che ne ho ricavato è più disarmante: parlamentari che fanno i loro interventi più a beneficio dei media che dei loro colleghi, schieramenti preconfezionati su ogni tema, voto finale che ha inevitabilmente l’esito pre-deciso dalla maggioranza. Insomma, il dialogo non si vede, quel “Ah sì, in effetti, considerando questo, magari hai ragione tu”, quel “Oh, bella idea! Mette d’accordo tutti” non si vedono. Spero di sbagliarmi, almeno un po’.

Questo degrado è l’inevitabile conseguenza dell’esistenza dei partiti, diceva bene Simone Weil nel suo Appunti sulla soppressione dei partiti politici. L’opinione di bandiera è essenziale alla definizione stessa del partito. Noi siamo quelli che votano così. Spesso non è chiaro in anticipo cos’è quel “così”. L’unica cosa chiara è che le decisioni sono prese altrove, non in parlamento.

Potrebbe andare bene comunque, potremmo farcene una ragione. Siamo troppi: non è possibile un dialogo tra 50 milioni di persone, forse neanche tra 900 (600 adesso, ma il problema peggiora, direi, se questi rappresentano i pensieri dei 50 milioni). Quei 600 rappresentano idee troppo diverse per essere fuse, e soprattutto non hanno un collegamento serio all’indietro, verso la loro base, per avere un feedback sulla disponibilità dei 50 milioni ad accettare le nuove proposte. L’unico feedback esistente sono i media, e il risultato è un continuo buttare lì proposte e guardare le reazioni sui social, sui sondaggi. È la nostra nuova democrazia, facciamocene una ragione. E forse è meglio di niente.

Ma si potrebbe fare molto meglio. La tecnologia potrebbe aiutare di più. Non tanto per fornire piattaforme digitali di voto, quanto per fornire uno spazio di discussione che permetta a numeri sempre maggiori di persone di esprimersi, di manifestare i propri bisogni anzitutto (non servono particolari competenze per raccontare il proprio disagio) e anche le proprie proposte. Il contenitore, lo spazio per questo dialogo digitale potrebbero essere i partiti stessi, che dovrebbero dotarsi di forme di democrazia interna più al passo coi tempi (e, diciamocelo, con tutte le loro contraddizioni i 5S qualche passo in questo senso l’hanno fatto) o, io preferirei, un’arena globale in cui si discute di temi concreti e serve come base per conoscere/scegliere singoli rappresentanti non pre-coalizzati in partiti.

Se escludiamo la difesa di interessi di casta e di ideologie, entrambi fattori che considero deleteri e/o sorpassati, non c’è davvero più nessun motivo serio di esistenza di formazioni politiche. Sono solo il parto (e la premessa) di una politica muscolare e non intelligente.

Il cuore

Photo by Tim Marshall on Unsplash

Se questo era il cervello, mi piace pensare che ci sia anche un cuore. Il cervello, la razionalità, servono per condividere le proposte, per esprimerci e dialogare, raffinare. Le idee, quello che ognuno di noi porta in questo dialogo bisogna pescarle altrove, altrimenti questa elaborazione si riduce a ribadire i concetti già espressi da altri, si riduce a una serie di mi piace. Il cuore è individuale, non collettivo, le idee, anche quelle politiche, arrivano da un profondo non esprimibile a cui ognuno di noi è in grado di accedere. Un profondo che etichettiamo di volta in volta con termini come spiritualità, filosofia, arte, amore per la conoscenza, per la natura.

In definitiva, credo debba partire tutto da qui, dal cuore. Senza di questo il resto è un vuoto blaterare. E al cuore devono arrivarci tutti. Oggi relativamente poche persone, gli esperti, i saggi, sono in grado di partorire pensieri originali, un gruppo più ampio discrimina, veicola queste idee e la massa non può che subirle. Purtroppo il cuore, soprattutto l’amore per il cuore, non si insegna granchè a scuola. Siamo impregnati di razionalità, di ricerca dell’efficienza e nascondiamo i tesori alle nuove generazioni. Formiamo greggi di schiavi/consumatori e, in politica, li illudiamo di poter “condividere la sovranità”. Quello che abbiamo di fatto realizzato è un’elite che manovra eserciti di consensi, e ci accorgiamo che non funziona, che le leggi non sono che traballanti stampelle se l’humus che ha partorito le idee alla base di quelle leggi non è condiviso da tutti. Se no non lamentiamoci ci dover poi votare Lapo.