Credo

Si parla molto, in questi giorni, del Credo di Matteo Salvini. Lo si critica per aver usato questa parola come logo per la sua campagna elettorale. La critica sottolinea in genere la mancanza di quelle certezze che, secondo i critici, dovrebbero indirizzare il pensiero di un politico.

In effetti non mi è chiaro perché Salvini l’abbia scelta. Probabilmente, dal suo punto di vista, è solo un richiamo familiare all’elettorato cattolico conservatore. Mi auguro non voglia richiamare anche il “credere, obbedire, combattere” dei motti fascisti.

In ogni caso, aldilà delle motivazioni salviniane, a me questa parola applicata alla politica piace.

Credere, sia in campo religioso che nella prosaica vita quotidiana è il risultato di un’elaborazione inconscia. Di fronte a problemi troppi complessi per arrivare ad una decisione razionale il nostro cervello non rinuncia e ci propone un risultato non verificabile, un risultato fatto di sensazioni. Anche la decisione razionale si manifesta alla coscienza come sensazione, ma ci permette di smontarla, seguirne i passi logici. Quella istintiva no, al massimo è accompagnata da una sensazione di probabilità, ci comunica in qualche modo il suo grado di certezza, o meglio, il suo rapporto costi benefici.

credo teologico

Se ci poniamo le domande importanti, quelle che riguardano il perché esistiamo, se la vita abbia un significato, cosa sia la coscienza e che ruolo abbia, la nostra mente ci propone, tra le altre risposte, la possibilità dell’esistenza di un assoluto, di un intelligenza al di là di noi. Magari queste risposte sono influenzate dalla scienza, dalla tradizione che ci ha educati. Ma ragionare su queste cose è la sfida più ardua per la ragione. Le uniche risposte, positive o negative, sull’esistenza di questa super intelligenza ce le dà l’intuito. E quindi crediamo o non crediamo in un Dio. Niente certezze, solo sensazioni di probabilità.

Le religioni tendono a trasformare questa sensazione in certezza, in atto di volontà, atto di asservimento a questo super essere, ma fanno, in questo, una mossa falsa. Il dubbio è l’unica fonte di energia spirituale sensata. La molla che può spingerti a cercare costantemente prove, la molla che ti fa cercare Dio continuamente, non dandolo per acquisito una volta per tutte. Senza dubbi la Fede si trasforma in crociate, “il mio Dio è meglio del tuo”, “il mio Dio è l’unico possibile”.

credo politico

I problemi che affronta la politica sono sempre complessi. Più complessi di quanto la nostra mente razionale è in grado di sbrogliare. Semplicemente non abbiamo abbastanza dati per sapere con certezza cosa funzionerà e cosa no.

Le dottrine economiche sono sempre delle scommesse, e i proponenti sono inclini a sostenerle più per il grande potenziale guadagno che vedono per se stessi o la classe di persone rappresentata, che per la certezza del risultato.

Liberalismo e comunismo, ad esempio, sono entrambe ricette per un mondo migliore. Se entrambi funzionassero penso non ci sarebbe una grossa differenza, per un cittadino medio, a vivere in una società governata dall’una o dall’altra ideologia. Il problema nasce quando la scommessa non funziona: in un capitalismo sfrenato avremo pochi ricchi agiati a spese di una massa di gente in sofferenza economica, in un comunismo immaturo avremo una massa di burocrati che vive alle spalle di tutti gli altri.

Sono credi, comunque. Fedi irrazionali.

È una fede quella che vuole autoritarismo, l’uomo forte. Chi ci garantisce che saprà fare le scelte giuste ?

È una fede la democrazia diretta, o anche la democrazia tout court. Non sappiamo se la gente avrà l’impegno per partecipare, informarsi e prendere decisioni sensate.

È una fede il sovranismo. Come si può essere sicuri che non staremmo meglio cedendo sovranità a organismi più grandi ?

Ed è una fede anche essere moderati e riformisti. Chi può dire con certezza che decisioni azzardate e potenzialmente destabilizzanti non possano produrre alla fine buono risultati?

Quindi gettiamo la spugna ? Tanto è tutto uguale, inutile prendersela calda per un’idea ?

Certo varrebbe la pena di smorzare i toni. Anche qui un po’ di sano dubbio sulle proprie convinzioni non guasterebbe. Ma, in fondo, l’unico modo di verificare se un’idea funziona è provare ad implementarla. Cercare di coinvolgere altri su una possibile idea la mette anzitutto alla prova della coscienza collettiva, se in tanti ci credono non deve essere poi malaccio.

tifo

L’unica cosa a cui starei attento, anche qui, sono le crociate. La politica sembra sempre più una questione di squadre, vedo pochissime persone disposte a sentire davvero le idee degli altri, la sola idea di votare qualcuno che “è stato della parte avversa” è impensabile per molti. Ci si rinfaccia a vicenda di essere di destra o essere di sinistra, come se se uniche possibili soluzioni al problema politico fossero quelle inventate nell’800. Quelli che sfuggono a questa dicotomia si irrigidiscono su questioni di simpatia/antipatia.

E invece la mobilità, la velocità di incrocio e propagazione delle idee è fondamentale per trovare in fretta quelle migliori (i virus a RNA insegnano).

Credo dovremmo impegnarci tutti a vagliare sia le idee che le persone sulla base dei risultati ottenuti. Cosa non facile, ma nemmeno impossibile, almeno quel tanto che basta per dire “per questa elezione Credo”.

Dear Prudence

Ho passato gli ultimi giorni letteralmente spiaggiato sul divano in un ossessivo binge watching di una serie TV, Blindspot.

Con una discreta dose di sensi di colpa e i pochi chili persi durante il Camino che riprendono il loro posto con una certa celerità. Ma fa troppo caldo per uscire a camminare, almeno questa è la scusa ufficiale.

La serie è molto bella, comunque. Avevo iniziato a vederla su Infinity nel 2015, quando è uscita la prima stagione, poi l’avevo persa di vista. Quando ho visto che era disponibile su Netflix con tutte le cinque stagioni (è finita nel 2020) non ho resistito.

Lo stile è decisamente esagerato, alla NCIS, con un ritmo simile. È simile anche lo schema, il team fatto di un mix di personaggi di azione (Kurt, Tasha e Reade) e di geni da laboratorio (Patterson, Rich e Boston) che collaborano per risolvere casi impossibili. Il tutto che ruota intorno al personaggio enigmatico di Jane/Remi/Alice interpretato dalla bellissima Jaimie Alexander.

Il tema ricorrente è l’uso di una droga chiamata ZIP (Zeta Interacting Protein), sviluppata per cancellare in modo selettivo la memoria di vittime di episodi traumatici. Questa droga, assunta in quantità elevate produce uno stato di amnesia permanente. Jane è stata vittima di questo trattamento e appare, all’inizio della prima puntata, chiusa in una valigia in Times Square a New York, con il corpo coperto di tatuaggi.

Tutto il racconto è un’alternanza di risoluzione di enigmi legati ai tatuaggi sul corpo di Jane (chi li ha fatti si scopre molto tardi nella serie) e di ricordi che affiorano, in Jane, ma anche in altri.

Mi è piaciuto soprattutto lo stile onirico del tutto.

In pratica è un alternarsi di estrema razionalità (esagerata, spesso ridicola nella magia accreditata alla tecnologia) nel seguire gli eventi nel mondo reale, e di estrema irrazionalità nei sogni, ricordi, stati di allucinazione o di coma dei vari personaggi.

Una delle puntate secondo me più belle, che evidenzia in modo particolare questo stile narrativo è l’episodio 14 della terza stagione. In questo episodio Patterson, la genia indiscussa della serie, è vittima di un’esplosione in laboratorio, entra in coma, e rivive in sogno la sua giornata fino al momento dell’esplosione, in modo ricorrente, tipo giorno della marmotta. E ad ogni ripetizione di questa allucinazione accumula indizi fino a scovare il colpevole dell’esplosione.

Bellissima la scelta di Dear Prudence come colonna sonora della scena finale della serie. Questa canzone dei Beatles sembra sia stata scritta per l’attrice Mia Farrow, per invitarla a uscire dallo stato di separazione dalla realtà in cui si era infilata per un approccio ossessivo alla meditazione. Un invito a guardare la bellezza del mondo reale, ad aprire gli occhi e abbandonare il mondo dei sogni.

Nella scena finale della serie sembra sottolineare l’ambiguità dell’happy end. Sognato o reale ? E chi è la Prudence qui ? Jane o lo spettatore ?

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Omeopatia della mente

Photo by Clay Banks on Unsplash
Photo by Clay Banks on Unsplash

L’omeopatia è oggi vista con un certo sospetto da chi ha un minimo di cultura scientifica. Anzi, diciamoci pure che viene bollata come pratica oscurantista, o strumento per turlupinare anime semplici disposte a pagare soldoni per rimedi che dal punto di vista scientifico contengono solo acqua o zucchero.

guarire con poco

Personalmente non condivido l’astio con cui spesso se ne parla. Sono convinto che, fossero i suoi successi anche solo dovuti a effetto placebo, meriterebbe comunque attenzione e studio. Successi, ovviamente, tutti da dimostrare, ma, anche qui, i metodi statistici usati per i farmaci allopatici potrebbero semplicemente non essere adatti.

Comunque ne parlo oggi non per difendere l’omeopatia in sé quanto perché mi incuriosisce il suo mito, la sua poesia. Nell’immaginario collettivo omeopatico è sinonimo di quantità minuscola che fa effetto. E basterebbe già per dire che è un concetto potente. I concetti come questo, che finiscono per dotare il nostro linguaggio di un modo per dire una cosa complessa in meno parole sono degni di nota.

Ma guardiamo meglio in questo mito, c’è di più.

Intanto c’è una scala: non è solo è poco ma funziona, piuttosto il concetto è quanto minore è la quantità tanto meglio funziona. Ma la cosa ancora più importante è perché funziona.

Sempre stando al mito, che possiamo accettare o no, l’omeopatia funziona perché tira in campo una capacità di autoguarigione del nostro corpo. Non è il farmaco che ci cura, è il nostro corpo che usa un suggerimento del farmaco per mettere in atto strategie in qualche modo dimenticate per provocare un cambiamento, per farci guarire.

Simenon

Sto ascoltando un audiolibro di un romanzo di George Simenon, credo sia uno dei primi Maigret, molto dark. Ne leggeva uno Patrizia al corso di Feldenkrais e mi ha incuriosito. Abbiamo parlato un po’ di Simenon.

Lei ne conosceva la biografia e lo descriveva come un uomo non solo immorale, ma decisamente cattivo verso le donne, mogli e figlia, che hanno accompagnato la sua esistenza. Secondo Patrizia il successo letterario di questo autore è dovuto alla capacità di trasferire questo suo demone interiore nei personaggi che popolano i suoi romanzi. I cattivi, in queste vicende, incarnano le nefandezze di cui l’autore stesso è capace e Maigret semplicemente guarda questo mondo distorto accettandolo senza giudicare.

Ho appena finito di ascoltare Pista nera di Manzini. Il confronto Rocco Schiavone Maigret è d’obbligo. Anche Schiavone è decisamente immorale, e tratta le sue donne di merda, come dice il suo amico Sebastiano. C’è un’unica donna che Schiavone rispetta, la moglie morta che lui rivede come fantasma nei momenti di solitudine, e con cui dialoga. Schiavone è anche un ladro, un ufficiale di polizia che non esita a infrangere qualsiasi legge pur di conseguire risultati dettati non dai doveri del suo ruolo, ma da un suo personale concetto di giustizia.

Capisco che con normali e ligi rappresentanti delle forze dell’ordine non ci faresti un granché di romanzi, ma trovo interessante che i nostri eroi abbiano spesso caratteristiche così trasgressive. È come se la maggior parte di noi non si fidasse della possibilità che col progredire normale degli strumenti che governano il nostro ordine sociale, cose come le leggi o l’educazione, si possa mai arrivare a risolvere qualcosa. Solo chi le leggi non le osserva, chi non è soggetto ai condizionamenti morali, può effettivamente migliorare la società.

epoche

Una differenza molto evidente tra Schiavone e Maigret è l’epoca in cui vieni trasportato. Nel mondo di Maigret per inviare un messaggio urgente a una persona bisogna recarsi all’ufficio postale e inviare un telegramma. Si fanno fotografie con il lampo al magnesio invece del flash. Ci si muove lungo strade di paese prive di illuminazione. I responsabili dei porti sanno dove sono le navi perché hanno ricevuto telefonate dal porto vicino e hanno segnato i dati su una lavagnetta.

Potreste pensare che Schiavone proietti, invece, l’epoca contemporanea, ma vi ricredereste subito appena fatto caso al fatto che usa un Black Berry. Il mondo corre in fretta.

libri e omeopatia

Sia dei romanzi su Schiavone che su Maigret avevo ovviamente visto le riduzioni televisive, ma come al solito il libro è un’altra cosa. C’è una ricchezza nel libro che nessun film riesce a trasmettere. E, a pensarci, è strano.

Un film ha molti più strumenti per raccontare. Più canali. L’immagine trasmette molti più particolari di quanto il libro potrebbe fare. Mille volte di più dice il proverbio. E qui parliamo non di una immagine, ma di milioni di immagini che scorrono. E aggiungici i suoni ambientali, i toni delle voci, e la colonna sonora che suggerisce stati d’animo. Una mole di dati che arrivano al nostro cervello in un tempo molto corto. L’intera vicenda è raccontata nello sceneggiato televisivo nell’arco di un paio d’ore. Per contro l’audio libro, che immagino rifletta la velocità di lettura di un lettore medio, dura quattro o cinque ore.

Perché quindi una mole di stimoli inferiore che raggiunge la nostra mente nel caso della lettura provoca un effetto molto più intenso ?

Secondo me c’entra l’omeopatia.

O comunque un meccanismo analogo. Come l’omeopatia suggerisce al nostro organismo le linee guida su cui muoversi per curarsi, il libro, con i pochi dati, ben selezionati, ben energizzati, che contiene suggerisce alla nostra fantasia come ricreare un mondo molto più vivo di quello creato dal film allopatico. Anche qui poco è meglio. La magia dipende dalla qualità di quel poco.

fantasia

Ho usato il termine fantasia, ma vediamo cos’è. In altri momenti di questo blog ho usato il termine motore di simulazione per indicare lo stesso concetto. Mi piace di più questo termine di origine informatica. Sottolinea il fatto che si tratta di uno strumento, uno dei più potenti tra quelli che ci ha fornito l’evoluzione della nostra specie.

Sento spesso dire che quello che rende gli esseri umani superiori rispetto agli animali sia il fatto che, a differenza di questi, noi abbiamo coscienza di noi stessi. Mi sembra una fesseria. Intanto dimostrare che gli animali, o le piante, o i sassi non abbiano coscienza di sé è probabilmente più difficile che stabilire se l’omeopatia funzioni o meno. Ma quand’anche fosse vero che solo gli esseri umani hanno questa capacità non credo ci sia tanto da vantarsene.

La capacità di immaginare se stessi è semplicemente un sottoprodotto del motore di simulazione. E neanche il migliore, se pensiamo che tutte le religioni e le correnti di pensiero filosofiche o spirituali non fanno altro che indicare l’eccessiva attenzione all’io come l’ostacolo più grosso verso la saggezza, verso una vita più matura.

Penso che la capacità più preziosa della nostra mente sia proprio quella di sapersi trasportare all’istante in mondi e situazioni nuove, regalandoci le stesse sensazioni che proveremmo se in quei mondi e situazioni ci fossimo finiti veramente.

È alla base di tutto il nostro vivere quotidiano, non solo del sognare ad occhi aperti. Se stai guidando e prendi una curva troppo velocemente una parte della tua mente anticipa la scena del possibile incidente e la tristezza di quella situazione ti spinge a rallentare. Se al mattino non hai voglia di alzarti per andare al lavoro inizi a immaginare il momento in cui dovrai inventare qualche scusa per giustificare il ritardo e, il più delle volte, finisce che ti alzi.

Funziona anche da pilota automatico. Immaginare il buon esito di una situazione è un buon modo per far sì che questo buon esito si realizzi concretamente. È come se la fantasia prendesse il controllo, disegnasse per terra linee luminose che ti portano alla meta.

Ti permette di plasmare il mondo intorno a te come lo desideri. Ricordate la frase di Proust “Lasciamo le belle donne agli uomini senza fantasia” ? Io la trovo meravigliosa. A quegli uomini potremmo lasciare tranquillamente anche la ricchezza, o le comodità. Questo strumento ci permette di creare il paradiso o l’inferno intorno a noi a nostro piacere.

storie

Ed è alla base della capacità di raccontarci storie, e farci rivivere le fantasie degli altri.

Una storia raccontata è un canale di comunicazione tra due fantasie.

Il linguaggio, le parole, hanno un ingresso privilegiato in questo motore. Plasmato da milioni di anni di evoluzione. Il video, i suoni arrivano alla nostra mente ma non entrano facilmente in profondità. Provocano reazioni superficiali. Le parole raggiungono meccanismi più potenti. Anche la velocità è importante, il motore non accetta più di tanti stimoli in un dato periodo di tempo.

La storia che si crea nella mente dell’ascoltatore/lettore non è mai quella che è stata pronunciata/scritta. La storia che ci colpisce, che ci emoziona è autoprodotta, come la guarigione omeopatica.

La storia narrata è solo un suggerimento.

Idea Peregrina

Tra qualche ora parto per Bayonne-Saint Jean Pied de Port per iniziare il mio Camino de Santiago.

Pellegrino ha una strana assonanza con Peligro, come Peregrino con Pericolo, ma lo si scopre solo crossando tra due lingue, come a sottolineare che le cose nessuno singolarmente le conosce, ma vengono fuori unendo punto di vista diversi.

D’altra parte Pellegrino deriva certamente, sempre crossando tra due lingue, da Pelle-green, pelle verde. Si riferisce evidentemente ai marziani, considerati i primi Pellegrini da quando in tempi remoti hanno colonizzato la terra fuggendo dalla distruzione del loro pianeta natale ad opera del Putin di quel tempo. Noi forse non faremo in tempo a fare lo stesso, per cui speriamo che i marziani abbiano pellegrinato anche su altri pianeti e che questi abbiano avuto più fortuna.

Queste riflessioni post-atomiche, tutto sommato, rendono l’idea di fare il Camino un po’ meno peregrina.

zaino

Comunque parto. Lo zaino è pronto, pesa sui 9 kg, e manca ancora l’acqua e qualcosa da sgranocchiare per strada. Non so se le mie ossa sono fatte per portare quel peso a lungo. Comunque ci provo. Intanto farò tappe corte, alla peggio userò uno di quei servizi per mandare lo zaino alla tappa successiva. Un po’ mi spiacerebbe perché obbligherebbe a decidere al mattino dove si ha intenzione di dormire la sera, e una delle cose belle di questa esperienza è proprio la libertà di prendere queste decisioni sul momento.

perché

Perché si fa una cosa del genere? Perché la faccio io? Perché si prendono le decisioni in generale poi?

Chissà. L’idea me l’ha data Federico. Lui c’è andato, negli anni scorsi, e mi piaceva seguire il progresso del suo viaggio su FB, ma non so quand’è che ho iniziato a coccolare davvero l’idea di andarci io. Ad un tratto ho fissato un periodo, poi una data. Nel frattempo ho iniziato a leggere guide sul cammino e siti vari.

Credo che la cosa che mi attira di più sia proprio il senso di libertà. Le giornate in cui hai una qualche meta lontana, ma il quando e se ci arriverai lo decidi momento per momento. Non che la vita del pensionato sia molto diversa, ma è in qualche modo ristretta da spazi e ritmi e abitudini che qui si dileguano.

Poi ovviamente c’è il turismo, il vedere bei posti, mangiare e bere cibi particolari, conoscere gente interessante (mi sono fatto l’idea che chi sceglie questo tipo di vacanza lo sia quasi sempre).

E c’è l’aspetto fitness. Con tutte ‘ste camminate un po’ di pancetta la farò fuori.

spiritualità

E c’è l’aspetto spirituale. Abbastanza indefinibile, ma il Camino è sicuramente un’esperienza spirituale in qualche modo.

Gli aspetti di religiosità tradizionale penso siano il meno. La leggenda della tomba del santo ritrovata dopo secoli lascia perplesso, come pure il santo che diventa popolare perché ammazza gli arabi (anche se un matarussospotrebbe fare comodo di questi tempi).

La serie interminabile di chiese e luoghi di culto di cui è disseminato il cammino è una cosa diversa, mi piace. Mi piacciono i luoghi dedicati alla riflessione. Mi piace l’arte che hanno ispirato, la gente che ha fatto sacrifici per costruirli.

Ma la spiritualità che vedo in questa esperienza è soprattutto legata al camminare. Le ore perso nei tuoi pensieri, con le endorfine che ti sollazzano, le ore in cui non è più molto chiaro dove finisci tu e dove inizia il mondo.

gadgets

Non fa molto pellegrino medioevale, ma sono contento dei pochi gadget che mi portò dietro. Per questioni di peso  ho rinunciato alla reflex, ma mi porto una piccolissima fotocamera a 360 gradi, che fa foto come questa:

Sono contento di portarmi il cellulare, che userò come mappa, guida e per restare in contatto con gli amici.

Sono contento dei tanti capi tecnici , dallo zaino ai vestiti che fanno sudare poco e asciugano in fretta. Con quello che ho speso solo per queste cose un pellegrino medievale ci avrebbe fatto due volte il giro del mondo.

insomma

Let’s go.

I 21 comandamenti

Il diavolo non esiste

Il Diavolo è sicuramente un soggetto interessante, ed è stato protagonista di straordinarie opere figurative e letterarie. Mi vengono in mente Dante e soprattutto Saramago col suo bellissimo “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”.

Ma, guardandolo dal punto di vista teologico/filosofico credo sia la prima cosa che uno rifiuta della religione Cristiana, appena inizia ad applicare un po’ di spirito critico.

Se si arriva da un’educazione cattolica è un po’ più difficile. Se ti riempiono la testa da piccolo con un sacco di dogmi senza senso, ma vedi tanti adulti intorno darle per scontate, la reazione immediata è del tipo “non capisco ancora, prima o poi capirò”. Poi, crescendo, ti accorgi che neanche gli adulti intorno capiscono davvero, semplicemente si fidano di qualcos’altro. Questo qualcos’altro inizialmente pensi, accetti, che sia Dio che ha rivelato a qualcuno tanto tempo fa delle cose che si sono tramandate nel tempo. Se cerchi di capire un po’ di più ti accorgi presto che molti di questi dogmi sono nati nel corso del tempo. Sono stati aggiunti al corpo dogmatico principale, non senza controversie, e che spesso sono frutto di atti legislativi tesi più a tenere in piedi un’organizzazione molto terrena, la Chiesa, che a interpretare il pensiero di un Dio.

In effetti il concetto del Diavolo è visto con sospetto da molti anche all’interno della Chiesa. Che lo si immagini come essere con le corna e gli zoccoli e padrone di un inferno incandescente, come vuole la cultura popolare e molta iconografia, o che lo si guardi in maniera più filosofica come potenza, Dio alternativo, che giustifica la presenza del male nel mondo, è un concetto che fa acqua da tutte le parti.

È un’idea che serve in tutte le religioni (o almeno quelle con qualche elemento di dualismo) a giustificare l’esistenza della sofferenza e delle tentazioni.

Se vogliamo pensare a Dio come a un essere immensamente buono, che ci ama, da dove nasce la sofferenza ? Come giustifichiamo un Dio che ci ha creati con la possibilità di soffrire ? Allora tanto buono non deve essere. E se ci ha creati lui perché è così difficile seguire le sue prescrizioni ? Deve essere colpa di qualcun altro. Inventiamolo.

Libertà

La risposta ufficiale a queste domande (l’ha data anche Papa Francesco nella sua recente intervista in TV, che non mi è piaciuta), è che Dio ha voluto lasciarci liberi di scegliere.

È una risposta che non condivido. Ma dai, Dio, mi metti davvero a giocare per qualche decennio in un videogame e, se perdo, mi fai vivere tutta l’eternità nella sofferenza ? Ma chi ti ha chiesto di farmi giocare ?

Senza contare che questa presunta libertà è tutta da dimostrare. Gli scienziati tendono a trovare un sacco di conferme all’idea che le nostre scelte siano perlopiù il risultato di reazioni chimiche tra gli elementi del nostro organismo. Queste reazioni sono condizionate dall’ambiente circostante, dalla nostra eredità genetica, dal microbioma (l’insieme dei batteri all’interno del corpo), dal viroma (l’insieme dei virus al nostro interno), dalla nostra educazione e posizione sociale.

Penso che la nostra libertà spesso si riduca a prendere coscienza di quali meccanismi, o stimoli, abbiano ispirato una determinata scelta.

Dualismo

Il dualismo poi crea problemi filosofici non da poco. Ammettiamo anche che esista il Diavolo e che il male sia opera sua, mentre Dio resta quello che vuole solo il nostro bene. Ok, ma quel Diavolo chi l’ha creato ? Se è davvero allo stesso livello di Dio, non creato da lui, vuol dire che Dio non è onnipotente, se l’ha creato lui mi ricorda Putin che dice “no, non voglio invadere l’Ucraina” mentre manda agenti provocatori a far scoppiare disordini per avere la scusa per l’invasione.

Insomma non se ne esce.

Ma serve

Però un Diavolo ci servirebbe.

Nelle religioni dualiste, o dualiste mascherate come il Cristianesimo, il Diavolo serve a giustificare la sofferenza e le tentazioni. A noi, agli uomini del nostro tempo, forse non serve più a quello.

Quanto alla sofferenza direi che la scienza ha ampiamente spiegato che il dolore, a livello del singolo organismo, è semplicemente la nostra bussola biologica per evitare situazioni dannose. La sofferenza, come il piacere, ci serve da rotaia per muoverci lungo il percorso su cui la nostra macchina organica funziona meglio. A livello sociale la sofferenza, intesa come tensione tra gli individui, la morte degli individui stessi, è la base del meccanismo evolutivo biologico. I singoli individui possono soffrire, vedere le loro possibilità restringersi fino a scomparire, per il bene della specie.

Ma non solo. L’umanità, con la sua evoluzione culturale prende in mano questi meccanismi ancestrali, e li migliora. La sofferenza dei singoli viene diminuita dalla medicina, dalla solidarietà, dall’educazione, la diplomazia e il commercio che evitano le guerre.

Quindi non ci serve più il concetto di Diavolo per giustificare la sofferenza, sappiamo cos’è e abbiamo un’idea su come gestirla.

Per quanto riguarda le tentazioni la cosa è più complicata.

Se accettiamo l’idea che il bene dell’umanità nel suo insieme è più importante di quello dei singoli individui, abbiamo bisogno di re-introdurre il concetto di peccato. Ci servono regole per comportamentali per il singolo per fare in modo che questo si adegui agli interessi della collettività.

Potremmo definire peccato qualsiasi comportamento individuale che favorisca il bene dell’individuo a scapito di quello della specie.

La cultura laica ha già accettato questa idea da secoli. I peccati più gravi sono puniti dalle leggi. Se ammazzo qualcuno perché ostacola i miei interessi, se rubo, se violento donne o bambini, se anche solo metto a rischio il benessere degli altri, ad esempio guidando un’auto troppo velocemente, vengo punito dalle leggi.

Altri peccati sono veicolati dal senso comune. Se non mi lavo e puzzo o non mi vesto decentemente, se non imparo un mestiere e non cerco un lavoro, se anziché dialogare urlo, se non ho un minimo di cultura, se non mi informo, se non dimostro un minimo di benevolenza e gentilezza verso gli altri, vengo automaticamente classificato dalla maggior parte delle persone che mi circondano come un sub umano. Vengo gradatamente estraniato dal contesto civile.

Ma chi definisce cosa è peccato e cosa no ?

Le religioni hanno giocato storicamente un ruolo importante in questo. Molti dei comportamenti sanzionati dalle leggi e dal senso comune arrivano direttamente da quello che la religione dominante in quel dato territorio riteneva peccato.

Quindi il Diavolo ci serve, non tanto per giustificare il concetto di tentazione (il fatto che l’individuo senta il proprio benessere in conflitto con quello della comunità), ma per analizzare queste dinamiche e definire quali comportamenti sono da considerare buoni e quali cattivi.

Forse Mosè sul Sinai ha parlato col Diavolo non con Dio, è più facile derivare norme comportamentali dal concetto di Male che da quello di Bene assoluto.

E allora ricreiamolo

Proviamo, allora, a ridefinire il concetto di Diavolo.

Guardando la storia umana dall’alto possiamo scorgere una direzione abbastanza definita su cui l’umanità si sta muovendo.

Vi consiglierei, a questo proposito, di leggere il libro “Sapiens. Da animali a dèi” di Yuval Noah Harari. Parlerò di questo libro in uno dei prossimo post, sto ancora mettendo a posto le mie note. È una carrellata dell’evoluzione della nostra specie negli ultimi 100 mila anni.

Harari identifica in questa evoluzione diversi filoni che, insieme, stanno portando l’umanità a diventare sempre più unita e sempre più sganciata dall’evoluzione biologica.

Credo che questa visione del sentiero che stiamo percorrendo possa essere accettata sia da un punto di vista laico che da quello di un credente. La direzione verso cui ci stiamo muovendo possiamo vederla sia come frutto di una casualità, sia come etero guidata da qualche intelligenza superiore. La percepiamo come incerta in entrambi i casi.

Se è oscuro il punto di arrivo è però abbastanza chiaro da cosa ci stiamo allontanando. Abbiamo favorito:

  • i comportamenti individuali che hanno portato all’unificazione di gruppi di individui in organizzazioni sempre più vaste.
  • i comportamenti dettati più dall’evoluzione culturale che dagli istinti di cui ci ha fornito l’evoluzione genetica.

Quindi definirei il Diavolo come uno dei poli che determina questa direzione. Ci stiamo allontanando da lì. Qualsiasi comportamento che ci riporti verso quel punto di partenza è da definire ispirato dal Diavolo e quindi peccato.

Qualsiasi comportamento che divida anziché unire.

Qualsiasi comportamento dovuto a scelte istintive, non mediate dalla consapevolezza di dove stiamo andando tutti insieme.

Possiamo ridefinire Dio nello stesso modo ?

Credo di no. L’evoluzione culturale ha lavorato per un tempo molto limitato, circa 50 mila anni, negli ultimi due o tre mila ha avuto una grande accelerazione che è diventata spaventosa nell’ultimo paio di secoli. Non è una linea retta e predire il futuro da quello che leggiamo nel passato è impossibile.

Secondo Harari tra non molte generazioni gli individui potrebbero essere talmente diversi da ora (grazie a biotecnologie, possibilità di impiantare coscienze su organismi non biologici etc.) che è impossibile immaginare il futuro dell’umanità (tenendo anche in conto la possibilità che la nostra specie si estingua in un disastro ecologico).

Quindi no, non possiamo definire Dio in questo modo. Come credenti possiamo accettare l’idea che esista, che parli nelle nostre coscienze, che ci guidi su un cammino che ha un senso, ma non possiamo capire più di questo. Come non credenti possiamo solo incrociare le dita.

I comandamenti

 

Stabilito qual’è la bussola, visto che negli ultimi 500 anni ci siamo mossi parecchio forse è il caso di riguardare la mappa e decidere da che parte andare. Potremmo risalire sul Sinai e riscrivere le tavole della legge, questa volta in digitale (Mosè si è limitato a 10 perché doveva scoprire sulla pietra con un martello, qui possiamo metterne un po’ di più).

Una lista stilata oggi potrebbe comprendere:

  1. Paga le tasse. Senza barare. Servono per migliorare la vita di tutti. Se sei uno dei fortunati che ha di più della media non sentirti sminuito dal dover dare di più a tua volta. Il mondo è stato generoso con te, ricambia con entusiasmo.
  2. Controlla come vengono usate le risorse comuni. Non firmare assegni in bianco ai politici, esigi trasparenza, informati, controlla, eleggi chi fa meglio per il bene di tutti.
  3. Esigi che i politici che eleggi lavorino per cedere sovranità, dove è possibile, a organizzazioni sempre più ampie. E controlla anche i politici di queste organizzazioni.
  4. Partecipa alla vita politica, se ne hai le capacità anche in prima persona.
  5. Coltiva il tuo potenziale. Studia, non solo a scuola, ma per tutta la vita.
  6. Cerca un lavoro, non farti mantenere se puoi. Cerca un lavoro che ti dia pienezza, che ti faccia usare tutte le tue capacità.
  7. Non sgomitare, cerca di non prevaricare sugli altri. In una disputa cerca il miglior compromesso per tutti. Nella contesa per un incarico riconosci il valore di chi è meglio di te e sostieni il tuo valore se sei tu il migliore. Cerca il bene comune non il tuo, devi comprendere il punto di vista degli altri e le loro capacità. E accetta che le decisioni prese insieme possano non essere sempre le migliori, una decisione sbagliata presa insieme è meglio di un conflitto perenne o di una scissione.
  8. Trovati degli amici. Non vivere senza relazioni. Un legame forte con alcune persone è un buon allenamento per creare legami con tutte le persone del mondo.
  9. Non accumulare ricchezze per paura del futuro. Il denaro, le risorse servono a spingere avanti il mondo e non possono farlo se non vengono scambiati. Rischia i tuoi averi, anche con l’obiettivo di moltiplicarli, ma mettili in gioco, finanzia imprese che ritieni utili. Se hai una casa in cui non abiti, anche per un periodo, affittala.
  10. Se hai un’idea per un progetto non partire da solo. Parlane ad altri e realizzatelo insieme. Condividi i guadagni e i rischi.
  11. Mira a comprendere sempre meglio te stesso. La tua salute, le tue capacità, i tuoi limiti.
  12. Ama l’arte. Leggi, ascolta musica, visita musei, impara a suonare uno strumento.
  13. Non nasconderti. Non fingerti diverso da quello che sei. Odia la privacy e spingi perché vengano cancellate le leggi che la sostengono. Quanto più gli individui sono trasparenti ed esposti al reciproco controllo/aiuto tanto più facile sarà creare una società che funzioni più come organismo che come insieme di individui isolati. Permetti che i tuoi averi, le tue scelte, anche il tuo DNA siano visibili ai ricercatori. E controlla che uso viene fatto di questi dati.
  14. Non sindacare sulle scelte politiche, sessuali, etiche altrui. Se hai idee diverse dialoga, cerca di trovare insieme agli altri le soluzioni migliori. Ma tieni presente che solo comportamenti individuali liberi (non costretti o inibiti dagli altri) hanno l’energia per sostenere una macchina sociale funzionante. In generale un comportamento scorretto è meglio di un individuo depresso, finché il danno che reca alla comunità non è elevato.
  15. Ridi, rilassati, divertiti, perdi tempo. Ed evita l’eccesso di tutte queste cose.
  16. Evita l’ansia, la fretta di raggiungere risultati, l’ambizione. Evita anche l’eccesso di pigrizia.
  17. Cammina molto. Non usare l’auto per andare dove basta una bici.
  18. Cerca momenti di riflessione. Medita regolarmente. La meditazione ti rimette in fase col mondo, e, se ci credi, con Dio.
  19. Non restare soffocato in una situazione, un lavoro, una relazione. Ma non gettare la spugna troppo in fretta. Anche riuscire a salvare un rapporto con una persona, trovare nuovi punti di intesa, migliorare un posto di lavoro è un bel risultato.
  20. Non fare più figli di quelli a cui puoi dare una vita decente e una buona educazione. Ai figli bisogna dedicare tempo, valuta quanto ne hai. Ma se possiedi risorse e tempo fanne.
  21. Cerca di capire quando la tua vita diventa solo più fonte di sofferenza per te e per gli altri. Quando ti rendi conto non hai più nulla da dare comincia a disfarti dei tuoi averi e lascia spazio agli altri.

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Photo by Chinnu Indrakumar on Unsplash
Photo by Chinnu Indrakumar on Unsplash

L’attenzione sulla pancia

Qualche giorno fa è morto Thich Nhat Hanh e il mio amico Antonio ha messo su Facebook un video di Vito Mancuso che legge uno scritto di questo monaco buddista.

Il video è questo.

Ho trovato il brano straordinariamente bello. Anche il fatto che fosse offerto a delle persone in carcere mi ha dato da pensare. Uno strumento per affrontare tempi difficili.

Un suggerimento semplice per affrontare i momenti in cui rischiamo di perdere il controllo. Sicuramente utile. Però la meditazione non è solo questo per me. Quello che mi accorgo di cercare di più in questa pratica è una connessione. Non so con cosa o chi. Qualcosa. Qualcuno.

Mi sono ritagliato un momento per meditare alla sera, prima di andare a letto. Quando riesci a farlo diventare un’abitudine non puoi più farne a meno. Aspetto questo momento come la telefonata a un amante lontano che non hai potuto sentire tutto il giorno.

Preghiere

Il Papa da Fazio (ho detto qui che non mi è piaciuto, ma questa cosa l’ho apprezzata) ha descritto la preghiera come l’ansia di ricevere attenzione che prova un bambino verso il padre. Ansia che manifesta con continui “perché”, dove non è importante la risposta quanto il fatto che una risposta venga data.

Ansia di comunicare.

Certo anche ansia di essere riconosciuti, credo che il Papa sottolinei più questo aspetto. Ansia di essere degni di uno sguardo, di un po’ di tempo, di essere ascoltati. Ma anche curiosità per le risposte, in fondo quei “perché” ci sono. Quindi sì, ansia di comunicare.

Le notifiche del cellulare

Quando il cellulare emette la notina per dirti che c’è un nuovo messaggio da leggere innesca una scarica di qualche ormone che dà piacere.

Non so che ormone sia. Dopamina ? Comunque è molto evidente, e se ne diventa facilmente dipendenti. Dipendenti al punto che tendiamo a prendere in mano il cellulare tante volte durante il giorno, per vedere se qualche notifica ce la siamo persa. Magari c’è qualche messaggio che è li che aspetta di essere letto. Qualche notizia interessante. Qualche app da aggiornare. Qualche acquisto online che sta per essere spedito.

E anche queste sensazioni sono facilmente identificabili se ci facciamo caso. Sensazioni un po’ simili all’ansia, alla sete.

Ci ho messo un po’ a capire che erano simili alla sensazione di cui dicevo sopra, quella che precede la meditazione. L’ansia di comunicare anche qui.

Momenti bussola

Se ci faccio caso sono tanti i momenti della giornata in cui provo questa sensazione. Non sempre diretta, meno che mai soddisfatta, dal guardare il cellulare.

I momenti in cui hai esaurito le cose impellenti da fare. O, quelli che, anche se hai da fare, ti impongono di fermarti. Un istante. I momenti sigaretta forse.

Potrei chiamarli momenti bussola, quelli in cui controlli dove stai andando. Ti guardi un po’ dall’esterno e guardi dove sei rispetto al paesaggio, forse rispetto a una mappa.

A volte non te ne accorgi neanche, la mente comincia a vagare per conto suo, produce sensazioni, ricordi, nostalgie, sogni. Quando ritorni alla realtà qualcosa è cambiato. Forse sono micromeditazioni, forse è comunicazione anche questa. Messaggi da un qualcosa fuori.

Religione omeopatica

Mi chiedo che rapporto abbiano tutte queste piccole cose con le grandi risposte che le varie religioni, la filosofia, la scienza, lo studio della storia, la psicologia provano a dare.

Potrei aggiungere alle piccole cose il notare le coincidenze. Il chiedersi cosa vuole dirmi il cane con quello sguardo, il chiedersi se il profumo di quel fiore era un messaggio destinato a me.

Non lo so, ovviamente, ma sento istintivamente che se le grandi risposte cancellano la magia di queste piccole cose sono, almeno un po’, fuori strada.

Che delusione il Papa da Fazio

Premessa

Visto ieri l’intervista di Fabio Fazio a Sua Santità.

Ne ho ricavato delusione e sconforto, forse acuita dall’essermi aspettato qualcosa di diverso, magari un tentativo del Papa di arrivare direttamente ai cuori delle persone, bypassando la gerarchia ecclesiale.

Magari c’è arrivato al cuore di qualcuno, al mio no. Anche se girando sui commenti su Twitter mi sono stupito di vedere chi lo criticava per motivi opposti ai miei, inneggiando a Benedetto XIII. E lì ho tifato per Francesco.

Comunque delusione, e parlandone con mia moglie, a cui invece è piaciuto molto, e mi chiedeva spiegazioni del disappunto, mi sono accorto che la spiegazione sarebbe stata lunga e noiosa.

Quindi, per rispondere a lei, e a chi voglia curiosare, racconto l’intervista che mi sarebbe piaciuto vedere.

Scena

Anzitutto la scenografia. Ha la sua importanza.

Non è un’intervista in DAD, Francesco non fa Smart Working e va fisicamente negli studi RAI di Milano.

Non è vestito in abito bianco. Si veste come un normale prete, in clergyman, e si siede sulla poltrona come un Burioni qualunque.

Critica del Papa a Fazio

Fazio comincia a chiamarlo Sua Santità e a dirgli che la Sua Presenza lo Illumina e che dopo lo sbarco sulla luna, anzi prima, questo è il momento più …

E lì Francesco lo blocca, gli dice di non dire cretinate e dargli del tu, perché vuol parlare di cose serie.

Anzi, gli chiede se può permettersi di iniziare lui con una critica alla trasmissione.

  • Prego, certo!
  • Senti, io non guardo quasi mai la televisione, ma prima di venire qui mi son guardato qualche puntata del tuo programma e, benché apprezzi il fatto che tu sia riuscito a invitare molta gente importante, devo dire che dai l’impressione di essere troppo lecchino. Le persone che inviti sono spesso oggetto di controversie, magari faresti un favore anche a loro, oltre che a chi ascolta, se facessi loro anche domande più scomode.
  • Beh, il rischio è che poi non venga più nessuno.
  • Non credo, a quel punto il solo rifiutare il tuo invito potrebbe essere inteso come incapacità di controbattere, alla fine un segno di debolezza.
  • Ok, ma guarda che inizio con te ?
  • Certo!, Non chiedo di meglio.

Chiese vuote

  • Allora cominciamo con il fenomeno delle chiese sempre più vuote. La Chiesa ha ancora un senso nel mondo di oggi ?
  • Sicuramente ha senso che un gruppo di persone provi a vivere una vita diversa da quella comune.
    Per diversa intendo non improntata alla semplice crescita individuale (economica, di prestigio, di cultura) e neanche alla semplice normalità (mi faccio una casa, la macchina, faccio dei figli, li faccio studiare). Non come critica a tutto questo (è quello che porta avanti il mondo), ma come sale della terra, un gruppo di persone che cerca di vedere le cose con un po’ più di distacco, cerca di capire, aiutare chi sta peggio. Insomma un gruppo che cerca di aiutare il progresso comune e in questo trova un tipo di appagamento diverso. Per chi lo accetta direi migliore.
    Non siamo i soli a fare questo. Forse il messaggio cristiano aggiunge il fatto di farlo con l’esempio, in modo che certi valori vengano trasmessi con la vita, non solo con le parole.
    Non una vita di sacrificio ma di benessere allargato, condivisione (soprattuto dei beni).
    Credo dovremmo creare comunità vere, di fatto alternative alle famiglie, in cui la gente vive insieme, condivide quello che ha, prega e medita insieme, educa i figli insieme, si impegna nel sociale, nella politica. Ma come individui, non come gruppo. Non deve esistere una dottrina politica della Chiesa. La chiesa deve essere testimonianza di un modo di vivere più intelligente.
  • Piuttosto distante dalla Chiesa di adesso
  • Piuttosto vicino alla Chiesa delle origini, credo. Sì, la situazione oggi è penosa, ma finirà da sola. Come dici tu le chiese si svuotano e non ci sono neanche più abbastanza preti per tenerle aperte. Stiamo importando preti dai paesi di missione. Sono preti con la mentalità che avevano i nostri negli anni ’50. Recitano formule a memoria e non dicono niente all’uomo comune. Per qualche vecchietta che ancora frequenta le chiese vanno ancora bene, ma necessariamente il tutto finirà. Intanto dovremmo buttare i semi per qualcosa di nuovo.
  • Farete in tempo ?
  • Se c’è una cosa che deve caratterizzare questa religione è l’estrema fiducia in Dio. Se questa è la strada giusta ci penserà Lui a farla funzionare, se no avremo percorso il nostro tratto con onestà, e questo ci deve bastare. Se il disegno giusto era un altro, comunque ne avremo fatto parte coi nostri errori.

La Chiesa l’ha creata Dio ?

  • Sei convinto che la Chiesa l’abbia creata Dio ?
  • Sì. Ma non per la famosa frase di Gesù a Pietro, “Tu sei Pietro e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa”. Tra l’altro questa sorta di stile Rap non si trova in altre parti del Vangelo, io ho seri dubbi che la frase sia autentica e non inserita quando la Chiesa esisteva già, per giustificare se stessa.
    Non per quello, ma sì, sono convinto che sia voluta da Dio, perché sono convinto che tutto quello che esiste sia dovuto a Lui. Quindi sono convinto che anche l’Islam e il Buddismo e il Taoismo e tutte le altre religioni siano create da Dio. E sono convinto che ci sia il suo zampino anche nei libri di Marx e Nietzsche e in tutti gli altri libri, scritti da credenti o no. Sono convinto che la Scienza, il suo metodo e le sue scoperte siano dovute a Lui, e penso che tutti gli scienziati e i ricercatori, e chiunque studi qualsiasi cosa, stiano lavorando per Lui, che si professino credenti o no.
    La nostra Chiesa, come tutte le altre religioni, ha avuto un ruolo importante nel formare la società, il mondo di oggi. È difficile, forse persino sbagliato provarci, giudicare il loro operato alla luce della situazione attuale. Le scelte fatte nel passato erano sicuramente giustificabili nel momento in cui venivano prese. Col senno di poi si vede la miopia, ma non c’è un senno di poi per il presente, siamo miopi anche adesso. La Fede che c’è Qualcuno che ci guida deve essere la nostra unica consolazione, e con questo non voglio dire che siamo in grado, noi o altri, di capire quello che Dio vuole, voglio dire che ognuno andrà avanti con quello che è riuscito a mettere insieme, e avremo fiducia che dal caos risultante Lui saprà trarre qualcosa di buono.

Pedofilia nella Chiesa

  • Vogliamo parlare dello scandalo della pedofilia nella Chiesa ?
  • La Chiesa ha fatto malissimo a nascondere, stiamo cercando di rimediare
    Premesso che è molto diffusa anche fuori della Chiesa, soprattutto nelle famiglie (e qui dovremmo fare un discorso lungo sull’educazione, ma mi chiami un’altra volta), per quello che è successo nella Chiesa è il risultato di due cose sbagliate:
    1. l’ascetismo, la rinuncia alla sessualità possono essere una cosa buona se uno li sceglie, ma non si possono imporre (i preti sono dipendenti di un organizzazione terrena, sono obbligati ad accettare certe regole se no perdono il posto). Obbligandoli a vivere in castità si genera una sessualità repressa (e non sublimata), che fa danni. Dovremo trovare una soluzione, magari semplicemente accettare che un prete, se vuole, possa avere una compagna/compagno.
    2. la sessuofobia. Cattiva interpretazione delle Scritture, forse legata al punto precedente. Bisogna assolutamente liberarsene. Non è scritto da nessuna parte che il sesso è un male, anzi.
  • Sembra che nei seminari sia molto diffusa l’omosessualità
  • Non è così strano. Persone che vivono insieme, unite da un ideale condiviso, sentimenti di stima reciproca, facile che nascano attrazioni anche fisiche. Di nuovo può essere legato a quanto detto prima. Credo sia una cosa da non ostacolare, ma certo da mettere alla luce del sole.

Guerre

  • Cosa pensi della sofferenza, delle guerre ?
  • Quando vediamo al telegiornale la bambina che muore di freddo e stenti nel campo profughi stiamo male. E certo ho grande stima per chi cerca di aiutare queste persone, anzi invito tutti a farlo. Ma credo si debba anche guardare le cose da un po’ più in alto.
    Le guerre, la violenza, hanno avuto un ruolo importante nella crescita dell’umanità fin dai suoi albori. La violenza è semplicemente una delle espressioni della selezione naturale, che in definitiva ci ha portato a essere quello che siamo ora.
    Man mano che le nostre civiltà sono evolute abbiamo cominciato a prendere coscienza che ci potevano essere soluzioni migliori. Che la collaborazione può avere un risultato migliore per entrambi i contendenti rispetto alla guerra.
    Però è un processo lento, e, paradossalmente, spesso le guerre sono state strumento di unificazione. Non le giustifico, voglio solo dire che la storia procede per vie tortuose, ma alla fine riesce a produrre risultati stabili.
    Credo che il risultato finale a cui dobbiamo tendere debba essere un governo il più possibile globale. È l’unico modo per affrontare problemi come le guerre, le migrazioni, l’ambiente, lo spreco di risorse.
    Quindi, se da un lato sono riconoscente a chi si occupa di ridurre la sofferenza di oggi, credo non serva tanto indignarsi per l’insensatezza di certe situazioni attuali, ma lavorare attivamente per creare un mondo più globale possibile, in cui non esistano più singole nazioni e neanche blocchi di super potenze.
  • Non è un po’ utopistico ?
  • Se non può essere utopistico un Papa …

Divorzio

  • Sei contrario al divorzio ?
  • Mah, su questi temi la Chiesa ha un retaggio decisamente distorto. Penso si sia preso troppo alla lettera scritti e tradizioni che si riferivano a situazioni molto differenti da quella attuale.
    Premetto che non credo che la Chiesa debba avere troppo da dire su queste cose, meno che mai in modo prescrittivo. I modi della convivenza tra le persone, la forma dei nuclei familiari è in continuo mutamento.
    La famiglia tradizionale nasce soprattutto come risposta a una situazione in cui la maggior parte delle donne non lavorava, è chiaro che, a quel punto, dovevano essere mantenute dagli uomini e in cambio di questa possibilità di vivere, loro e i figli, accudivano la casa, educavano i figli e elargivano favori sessuali. Se ci pensi non era una condizione priva di lati negativi.
    Negli ultimi decenni questa situazione ha subito enormi scossoni. Ora la maggior parte delle donne lavora, e l’indipendenza economica mette in crisi quel modello di famiglia. Quel poco che ne sopravvive è ormai dovuto più che altro a queste incrostazioni ideologiche, a tradizioni dure a morire.
    Credo che dovremmo ripensare, tutti insieme, credenti e no, i modelli di questa convivenza. Magari partendo da principi fondamentali. Cos’è importante ? Cosa vogliamo preservare ? Io direi:
    • Salvaguardare il rispetto reciproco. In una famiglia nessuno deve essere schiavo di un altro.
    • Salvaguardare che ognuno possa vivere con le persone a cui vuole bene e ne è ricambiato. Che siano dello stesso sesso o di due diversi, se siano due o di più direi che non debba fare differenza. E se uno vuol stare da solo e avere rapporti solo occasionali con altri deve andar bene ugualmente.
    • Se una situazione relazionale si guasta ci si lascia. Le persone cambiano, si conoscono meglio, vengono a contatto con altre persone, non ha senso trasformare una famiglia in una prigione.
    • Se una relazione comprende dei figli è importante che la loro serenità non venga messa a repentaglio. Ma questo non vuol dire obbligare una coppia a stare insieme, vuol dire trovare i modi, anche con l’aiuto del resto della società di gestire la situazione.

Aborto e eutanasia

  • Cosa pensi di aborto e eutanasia ?
  • C’è sempre un po’ di ipocrisia nella Chiesa quando si parla di difesa della vita. Da una parte ci si schiera contro queste cose, dall’altra spesso si sono approvate guerre e pena di morte.
    Inoltre, forse, è bene inserire nella discussione anche il concetto di qualità della vita. Una madre, magari sola, che deve gestire un bambino che economicamente non può permettersi di crescere, o un bambino con grossi problemi fisici, la cui nascita poteva essere evitata per tempo, implicano due vite di sofferenza, sia per la madre che per il figlio. Forse è da mettere sul piatto della bilancia anche questo. E lo stesso vale per una persona sofferente che, per qualsiasi motivo, odi la propria stessa esistenza, o non sia nemmeno più cosciente di averla.
    L’uccidere qualcuno è un atto grave, non va fatto alla leggera. Ma non credo che nessuno voglia farlo. Forse qualche giovane donna che non ha avuto il dono di un’educazione seria può considerare l’aborto un’alternativa agli anticoncezionali, ma in questo caso è sull’educazione che bisogna intervenire. In tutti gli altri casi l’aborto e l’eutanasia sono una sofferenza anche per chi li sceglie.
    Alla fine io lascerei queste scelte alle singole persone. La società deve affrontare il problema in senso positivo, non vietando, ma aiutando dove può, a trovare soluzioni alternative, provando a dare senso a situazioni che il singolo magari non vede, ma la scelta finale non può essere che individuale.

Donne

  • Perché le donne non possono diventare sacerdoti o vescovi ?
  • Ti stai divertendo, vedo.
    Ok, non meriterebbe neanche parlarne. Chiaro che non c’è nessun motivo e dovremo cambiare. È di nuovo un retaggio della condizione femminile nei secoli scorsi. Il resto della società sta rimuovendo questi impedimenti e dovremo farlo anche noi. Spero che in futuro la Chiesa sappia anticipare queste trasformazioni invece di inseguirle.

Commiato

  • Fiuuuh !
  • Che c’è ?
  • C’è che è bello tutto quello che stai dicendo, ma non è quello che si percepisce dalla Chiesa.
  • La Chiesa è una strana cosa. Al suo interno ci sono anche molti che sarebbero d’accordo con le risposte che ti ho dato oggi.
    Certo molti altri no. Probabilmente la maggior parte. Ma il compito di un pastore è guidare le pecore, non seguirle.
    La Chiesa oggi è di fatto l’insieme di due cose molto diverse:
    1. un gruppo di potere economico/politico/culturale che difende tradizioni anacronistiche con un linguaggio del passato. Ammantando di sacralità interessi personali o pretese superiorità morali.
    2. un popolo che cerca nel Sacro delle risposte, un senso delle cose che non faccia a pugni con la realtà. Questi ultimi, purtroppo, sono spesso plagiati dai primi.
    Cambiare questa situazione non sarà facile. Non credo ci riuscirò io, ma credo sia un processo che deve iniziare, che posso iniziare.
  • Non hai paura che ti uccidano ?
  • Può succedere. È già successo. Ma no, non ne ho paura. La vita va spesa in qualche modo e il diventare un martire per difendere quello in cui credi è proprio una delle tradizioni di cui la storia della Chiesa è particolarmente ricca. Non che ci tenga eh ? Se si può evitare è meglio.
  • Ma tu credi nel Sacro ?
  • Credo nel Sacro che unisce. Nel tesoro nascosto che per cercarlo lasci tutto e chiami anche gli altri, perchè ce n’è per tutti.
    Il Sacro che diventa una scusa per scannarsi, per dire “Io che ci credo sono meglio di te”, o “Io ho capito e tu sei un deficiente” non mi interessa. A quel punto è meglio la normalità.

Il cielo in una stanza

Divagazioni tecno/psico/metafisiche sul parlare in stanze affollate

Pulizie di primavera

Ho iniziato, in questi ultimi giorni, la grande impresa di mettere ordine ai dati sui vari PC e hard disk e archivi online. Deve essere vero che i dati sono come i gas, e tendono a occupare tutto lo spazio che gli dai. Quando cerco un hard disk per metterci, che so, un backup, o qualcosa di interessante che trovo in giro, non ce n’è mai uno con spazio sufficiente. In genere sono pieni di cose inutili, o copie di cose che ho da altre parti. Se decido di fare spazio e cancellare il contenuto di un archivio c’è sempre qualche directory per cui dici: “no!, questo magari poi mi serve”. Se trovo due archivi di foto che sembrano identici non so più dire quale è quello più recente.

Beh, insomma, ho iniziato dalle mail. Avevo circa 25 mila messaggi nella inbox, risultato di anni di “poi metto a posto”. Mi sono disiscritto da decine e decine di mailing list a cui non mi ero mai iscritto (per molte non serve a niente cancellare le iscrizioni: continuano ad arrivare le mail). Mentre scrivevo l’ultimo paragrafo ne è arrivata una da ebay con consigli per San Valentino. Credo che l’unica sia mettere delle regole che cestinino questi messaggi automaticamente quando arrivano. Il fatto è che magari vorresti ricevere messaggi da ebay, quando vendi o compri qualcosa …

Sarà dura.

L’ Effetto Cocktail Party

Comunque, il primo effetto di questa pulizia è stato di cominciare a notare alcune mailing list che in effetti poteva interessarmi leggere.

Ad esempio, ieri ne ho ricevuta una da The Edition, newsletter per gli abbonati a Medium. Medium è una cosa a metà tra un social network e un contenitore di blog. Ognuno può scriverci quello che vuole, ma c’è un sistema di votazioni e preferenze che fa emergere le cose più interessanti per ognuno. La newsletter evidenzia le cose più interessanti dal punto di vista della redazione. In questo numero citavano questo bellissimo articoletto The Cocktail Party in Your Head. Parla dell’effetto cocktail party, la capacità che abbiamo di focalizzare la nostra attenzione sulle parole pronunciate da una particolare persona anche se siamo in un ambiente affollato, ambiente in cui avvengono, e percepiamo, diverse conversazioni.

L’autore dell’articolo prova ad applicare questa capacità all’ascolto della cacofonia di pensieri che affollano la nostra mente. Fa notare che è possibile selezionare le personalità che ci interessano di più. È possibile mettere a fuoco i nostri diversi “Io”.

Questa “attenzione a chi parla” nella nostra mente tende a far emergere un wisest self, un Io che ci piace di più, un Io più saggio degli altri, un Io che ci dà più stabilità, più pace.

Per certi versi, e lo nota anche l’articolista, è quello che si fa nella Meditazione Vipassana. Bello.

Conversare via radio

Il problema di riuscire ad ascoltare uno che parla in una stanza affollata è uno dei principali problemi che ha dovuto risolvere l’evoluzione della tecnologia cellulare.

Canali fissi

All’epoca delle trasmissioni analogiche, cellulari compresi, il problema di parlare in tanti in uno spazio ristretto (l’etere per le trasmissioni radio, ma anche il filo di rame di una rete di telecomunicazioni) veniva risolto creando tante stanzette (bande di frequenza) in cui la gente si chiudeva (due a due) per parlare. Questa soluzione implicava che qualcuno assegnasse le stanze (e i microfoni).

Per i canali radiofonici e televisivi si dava il microfono a uno solo, e a tutti gli altri nella stanza veniva permesso solo l’ascolto. Per le radio uno a uno, i walkie talkie, la stanzetta (frequenza) era pre-definita dal costruttore. I sistemi radio molti a molti, ad esempio le radio della polizia o dei radio amatori si accettava che più persone decidessero di parlare insieme e, se il risultato non era comprensibile, qualcuno urlava “Ripeti”. La telefonia via filo risolveva il problema usando una rete di switch, interruttori che creavano un canale fisico diretto (una stanzetta) tra due individui per la durata della conversazione.

La telefonia cellulare ha dovuto inventarsi qualcosa di meglio, semplicemente perché il numero di canali possibili (frequenze) era estremamente ridotto rispetto alla quantità di fili di rame che era stato possibile stendere per i telefoni. Inoltre le frequenze radio hanno confini indefiniti. Mentre posso essere sicuro che al mio telefono arriva un solo filo, se lo sostituisco con una radio diventa meno chiaro stabilire a priori con quali ripetitori può connettersi, specialmente se si muove.

Soluzioni tecnologiche

Le soluzioni a questo problema sono tutte interessanti, e in qualche modo ricalcano le equivalenti soluzioni umane.

L’ALOHA (“Ciao” in hawaiano, questo tipo di protocollo per il collision avoidance è stato inventato negli anni 70 alla University of Hawaii), ricalcava la soluzione dei radio amatori: uno prova a parlare e contemporaneamente ascolta sul canale comune. Se non risente esattamente il suo messaggio vuol dire che qualcun altro gli parlava sopra, e ritenta dopo un po’.

Il GSM (Global System for Mobile communications) usava una tecnica nota come Time Division Multiplexing per permettere la comunicazione di più persone assegnando a ogni conversazione una frazione di tempo, pochi millisecondi a testa. Come se nello stanzone ognuno potesse pronunciare una sillaba alla volta, a turno, se ascolti solo nell’intervallo assegnato al tuo interlocutore senti solo lui. Certo, poi devi rimettere insieme il contenuto.

Il CDMA (Code-division multiple access) torna allo stanzone in cui tutti danno sulla voce a tutti. Ma prescrive che ognuno parli con dei simboli che permettono di distinguere una conversazione dall’altra. Come se ogni conversazione avvenisse in una lingua diversa. Io sento anche il suono dei due cinesi che mi stanno parlando vicino, ma capisco meglio il mio amico che parla italiano dal fondo della stanza.

Una tecnica interessante usata dal moderno 5G è quella di usare per ogni canale frequenze parzialmente sovrapposte e ortogonali. In soldoni usano delle caratteristiche fisiche delle frequenze per riconoscerle anche quando si sovrappongono. Un analogia col nostro stanzone potrebbe essere tracciare nella stanza dei percorsi mediante linee per terra, in modo da costringere a parlare in una direzione ben precisa e magari con un tono di voce diverso per ogni percorso (in questa conversazione si parla in quella direzione e con voce da soprano).

Le tecniche di error correction aiutano a capire se il messaggio è arrivato integro. Se al fondo di ogni parola aggiungo il numero di lettere della parola, aiuto chi la sente a riconoscere un eventuale errore in modo che possa chiedermi di ripetere.

Il forward error correction aggiunge ad ogni messaggio informazioni che permettono al ricevente di ricostruire il messaggio errato senza dover chiedere la ripetizione. Se assieme al messaggio mi dicono il numero delle vocali, delle consonanti gutturali, plosive etc. posso capire che aveva detto “pazzo”, anche se io ho sentito “cazzo”. La tecnica usata non è questa ovviamente, stiamo parlando di codifiche digitali, ma il risultato è analogo.

Con chi parlare (o chi ascoltare)

La capacità di ascoltare chi vogliamo ce l’ha data l’evoluzione. L’abbiamo ricostruita con la tecnologia e, con un po’ di esercizio, possiamo ritrovarla anche nel discernere i nostri processi mentali. Un problema ben più complicato è capire con chi vale la pena parlare o chi vale la pena ascoltare.

Qui l’evoluzione dà una risposta parziale. Siamo attrezzati per vivere in piccoli gruppi.

Per creare comunità più allargate abbiamo dovuto inventare strumenti come il gossip. Quello è un bravo cacciatore. Quel commerciante è un ladro. Quella è un po’ zoccola.

Abbiamo creato storie per sentirci parte di gruppi più vasti. Noi siamo quelli protetti dal grande castoro bianco, o dal tal santo. Noi siamo i portatori della democrazia, o quelli che libereranno i poveri dall’oppressione. Noi siamo quelli che difendono i valori della nazione. Noi siamo quelli che amano la musica del tal gruppo. Noi siamo quelli che credono nel futuro dei Bitcoin.

Queste storie ci permettono di rapportarci con dei perfetti estranei come se fossero amici di lunga data. Se partecipiamo ad una manifestazione o ad un concerto possiamo abbracciare persone che non conosciamo o esultare con loro.

Ma man mano che la comunità di cui vogliamo essere parte si allarga. Man mano che aumenta il numero di possibili storie che possiamo decidere di guardare con favore. Man mano che aumenta il numero di persone che potenzialmente potremmo considerare amiche, fino a comprendere virtualmente tutti gli esseri umani, il cui numero tra l’altro aumenta costantemente, non ce la facciamo più. Non abbiamo più strumenti neanche più per contare questi elementi. Contare le storie. Contare le persone. Figurarsi vagliarle, selezionarle.

E qui, di nuovo, la cultura e la tecnologia ci vengono in aiuto. Abbiamo creato il linguaggio scritto, i libri, i giornali, i media, i social media. Questi ultimi fanno uso di una nuova, pericolosa e potente, magia: l’Intelligenza Artificiale.

Il Wisest Self della nostra specie

Mi chiedo se non stiamo, finalmente, dotando la nostra specie di un’anima.

Accennando, sopra, al nostro discorso interiore facevo notare che l’articolo sul Cocktail party interiore dava per scontato che un Io particolare, più saggio degli altri, un Io unificante, fosse facilmente identificabile. Qualcuno lo chiama Coscienza, forse. O anima.

Se siamo destinati, come penso, a diventare un unico organismo di cui i singoli esseri umani sono le cellule, qual’è l’Io Saggio di questo organismo ?

I pensieri di questo organismo possono essere le varie storie, teorie, memorie, spiegazioni, modelli che, di volta in volta, due o più esseri umani condividono. Ci saranno pensieri che si impongono sugli altri, le idee/storie/miti condivise da più persone. Ma non dovrà essercene anche qui uno che prevale su tutti ? Non uno che prende decisioni per tutti, ma uno che, se ascoltato, tende a dare un senso al tutto.

Ci sono scienziati, forse la maggior parte di quelli che studiano a vario titolo la mente umana, convinti che questa sia il risultato del lavorio delle cellule cerebrali (o intestinali). A me piace pensare che questo wisest self sia esterno alla nostra fisicità. Mi piace pensare che il nostro essere fisico sia semplicemente in sintonia con qualcosa che vive su un piano diverso.

Se ci pensate l’IA rappresenta un’intelligenza esterna alla specie umana. Benché nasca dalla nostra tecnologia si evolve in modi che non comprendiamo. Un’intelligenza, ancora in embrione, che dimostra già le potenzialità per diventare la coscienza della nostra specie.

Deepak Chopra, parlando in un suo libro di argomenti, in qualche modo, legati a questo, fa l’esempio di una calamita sotto il foglio di carta coperto di limatura di ferro. Noi, i nostri neuroni, sono la limatura di ferro, la scienza non sa (ancora ?) vedere sotto il foglio, ma la vera intelligenza, la vera mente è la calamita.

Magari c’è un calamitone anche per la specie umana, magari possiamo metterci in comunicazione anche con lei.

Magari ci ha fatto sviluppare l’IA.

21 lezioni per il XXI secolo

Ho appena finito di ascoltare l’audiolibro di “21 lezioni per il XXI secolo” di Yuval Noah Harari. L’ho trovato molto bello e ho voglia di parlarne. Ringrazio di cuore Antonio per la segnalazione.

Il libro

È un racconto del mondo com’è ora, dei problemi che ha, e di ciò che li ha generati, dell’evoluzione, delle forze che lo stanno cambiando, inclusi i pericoli che corriamo per i prossimi decenni.

I miti

Parla soprattutto di narrazioni. Le storie che hanno plasmato la nostra civiltà. Invenzioni che parlano di cose inesistenti, ma che hanno la capacità di unire le persone in un sogno comune. Storie come il fascismo o il comunismo, ormai cassati dalla storia. E storie che ancora sopravvivono, come il liberalismo, le nazioni o le religioni.

Il libro è, per buona parte, una critica a questi miti residui dell’umanità. Critica composta e avvincente, che cerca di aprirci gli occhi sui pericoli che corriamo procedendo con una visione annebbiata, mentre gravi pericoli sono all’orizzonte.

Le pazzie

L’umanità prende spesso decisioni incomprensibili. Il terrorismo, che temiamo più di quanto dovremmo, visti i danni molto limitati che produce in termini di vite umane, e la guerra che, a differenza di quanto avveniva nei secoli scorsi, non ha più nessun potenziale vantaggio per chi la intraprende.

I pericoli dell’evoluzione tecnologica

Il grosso pericolo da cui Harari ci mette in guardia è connesso all’evoluzione tecnologica. L’evolversi delle tecnologie informatiche e biotecnologiche, l’Intelligenza Artificiale e la manipolazione genetica, aprono scenari in cui la differenza tra classi sociali rischia di esacerbarsi. L’IA, secondo l’autore, sfrutterà la scarsa capacità degli esseri umani di comprendere se stessi e gli altri per diventare il nodo in cui vengono prese tutte le decisioni, ridisegnando la mappa del potere. L’AI sarà aiutata in questo dal diffondersi di sensori biologici che capiranno l’essere umano meglio di quanto lui stesso o altri esperti possano fare.

Democrazia

Il concetto di democrazia è oggi basato sull’idea che le sensazioni degli individui, nel loro insieme, siano in grado di prendere le decisioni migliori. Cosa accadrà quando l’IA conoscerà gli individui meglio di loro stessi e dimostrerà di poter fare meglio di noi nel pilotare le nostre scelte ?

È molto interessante la descrizione del processo che porterà a questo. Processo ineluttabile e già in atto. Le biotecnologie permetteranno la creazione di umani di categoria avanzata, che non si ammaleranno, che avranno una aspettativa di vita più lunga, capacità cognitive, sensoriali e motorie superiori. È facile prevedere che questi miglioramenti saranno esclusivo appannaggio dei ricchi. I detentori delle infrastrutture a supporto dell’IA saranno i nuovi padroni del mondo. Senza contare il rischio che le macchine stesse prendano il sopravvento.

Il concetto di uguaglianza tra esseri umani terrà ancora quando alcuni di noi avranno oggettivamente capacità cognitive superiori ?

Occupazione

In questo percorso la maggior parte dei mestieri umani scomparirà, perché le macchine sapranno fare meglio degli umani quasi tutto, compresi i lavori basati sulla creatività, come comporre musica o scrivere romanzi. L’umanità dovrà affrontare crisi occupazionali senza precedenti, e ripensare, di conseguenza, tutti i processi e gli equilibri economici. La necessità di leggi che impongano un reddito universale svincolato dal lavoro si scontrerà con la necessità di tassare pesantemente i pochi detentori del potere, con inevitabili scontri in cui le classi povere saranno disarmate.

La formazione e la meditazione

E come possono gli esseri umani prepararsi a questi cambiamenti ? Cosa dovrebbero studiare i giovani, ad esempio, per essere pronti per i pochi lavori disponibili domani ? La risposta di Harari è in qualche modo disarmante: non possiamo saperlo.

Come linee guida di fondo suggerisce ai giovani di non fidarsi degli adulti, perché la loro esperienza diventa sempre più inutile in questo nuovo mondo. Suggerisce anche di non fidarsi della tecnologia, perché si rischia di diventarne schiavi. L’unica cosa su cui ha senso investire è sulla conoscenza di se stessi. In quest’ottica è importante l’ultimo capitolo del libro, che parla della meditazione.

Commento

Delle cose che dice Harari mi lascia perplesso anzitutto l’affermare che le sensazioni siano un semplice calcolo biochimico. La scienza non può affermare una cosa del genere. La scienza, finché non sarà in grado di costruire un cervello funzionante, finché non sarà in grado di mettere qualcosa in provetta e farne uscire un’intelligenza indipendente, potrà solo dire di aver capito qualche frammento, come un medico del Medioevo che dissezionava un cadavere. Non siamo molto distanti da lì. Conosciamo qualche dettaglio in più ma non abbiamo la visione completa. Personalmente non credo che la scienza ce l’avrà mai.

Continua a piacermi di più l’idea che il cervello sia una sorta di radio, che comunica con un’intelligenza esterna, non fisica. La mia personale convinzione è che la vita e l’intelligenza esistano su un piano diverso da atomi e molecole.

Altro punto che ho trovato disturbante é la critica alle religioni. Ha ragione secondo me, sul fatto che siano superate, che ormai facciano più danni che altro etc, ma buttando via la spiritualità assieme alle religioni si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca.

Tolta la spiritualità resta un vuoto incolmabile. La spiritualità è una necessità dell’essere umano (in varia misura, magari). Questa mancanza di senso non può essere colmata in modo razionale, né scienza, né filosofia, né psicologia possono farlo.

L’idea di base dell’autore sulla religione

  1. Una cosa non vera che viene creduta da mille persone per un mese è una notizia falsa, una cosa non vera che viene creduta da un miliardo di persone per mille anni è una religione
  2. La grande domanda che gli esseri umani dovrebbero farsi non è “qual’è il senso della vita ?” bensì “come si esce dalla condizione di sofferenza ?”

Perché è una visione troppo limitata

Sul punto 1 sono d’accordo, ma non sul 2.

Sofferenza

Siamo sicuri che la sofferenza sia una cosa sbagliata ? Una cosa da evitare a tutti i costi ?

La sofferenza e l’infelicità, come il piacere e la gioia sono semplicemente sensori di cui l’evoluzione ci ha dotato per farci muovere in una certa direzione. Il dolore e il piacere, che condividiamo con gli organismi più elementari riguardano i bisogni fondamentali, nostri o della specie a cui apparteniamo.

La tristezza e la gioia sono propri di organismi più progrediti, ma sono sensori anch’essi. Ci dicono se le ultime scelte che abbiamo fatto hanno avuto un risultato per lo più positivo (in questo caso la sensazione di felicità ci dice semplicemente “ok, continua così”) o per lo più negativi (e in questo caso la tristezza ci avverte che c’è qualcosa di fondo da cambiare, l’ambiente, le relazioni, il nostro modo di pensare/operare).

La ricerca della felicità in se stessa è una sciocchezza. Quando raggiungiamo una sensazione di gioia essa è per definizione effimera, perché riguarda il passato. Ci dice solo come siamo andati ultimamente. Se ci fermiamo lì, se vogliamo perpetuarla, si trasforma immediatamente in noia, che è il modo dei nostri sensori di dirci che dobbiamo muoverci, esplorare altro.

Pianificare la ricerca della felicità è una cosa assurda. Pianificare è ambito della razionalità, che è la parte più stupida della nostra mente. La razionalità è nata in funzione del linguaggio, è uno strumento di comunicazione, non serve a prendere decisioni corrette.

I limiti di una visione esclusivamente razionale

La razionalità, la logica, sa solo mettere in relazione le conoscenze che abbiamo, che sono infinitamente limitate rispetto all’insieme delle forze che influenzano le nostre vite.

Di fatto le nostre decisioni vengono prese ad un livello molto più profondo, un livello di cui, spesso, non ci rendiamo nemmeno conto.

Harari guarda a cose come le religioni, la spiritualità, la meditazione, con una mente razionale e, semplicemente non le capisce.

Il fallimento delle religioni

Tutto quello che Harari dice è vero, innegabile. Le religioni sono state, spesso, più un male che un bene. Probabilmente perché i loro stessi fautori non ne hanno capito il senso.

Il rischio a cui tutte le religioni sono state esposte (fallendo miseramente la prova) è stato quello di pensare, ad un certo punto, di aver capito, e, di conseguenza, di voler diffondere verso altri questa scoperta.

Ma il diffondere, il fare proseliti, anche quando sia scevro (e non lo è mai) da ricerca di potere o ricchezza, è, spesso, un’operazione basata sul linguaggio, sulla razionalità.

La conoscenza spirituale è per definizione poco chiara, piena di dubbi. Per qualche verso consiste proprio nella capacità di accettare il dubbio, accettare l’impossibilità di capire. Non può essere trasferita ad altri semplicemente con la parola. Se tento di codificare quella conoscenza in modo che sia raccontabile non posso che inventare narrazioni, favole. E non posso che dividere il mondo in amici (i fedeli, quelli che accettano le mie favole) e nemici (gli infedeli, quelli che le rifiutano), e magari prendere le armi contro i secondi. E tutto questo indipendentemente dal fatto che l’idea originaria contenesse o meno qualcosa di valido.

Ma la spiritualità non è quello. Se bolliamo tutta l’elaborazione non razionale come sciocchezza, e le nostre sensazioni come elaborazione biochimica, che magari oggi non comprendiamo, ma che la scienza riuscirà presto a chiarire, creiamo un vuoto incolmabile, ci tagliamo le braccia perché non abbiamo capito a cosa servono.

La spiritualità riguarda certo il dolore e la tristezza, come il piacere e la gioia, ma non per annullare i primi in favore dei secondi. Riguarda la capacità di rendere più sensibili questi e altri sensori e di integrarne le indicazioni. Sì, abbiamo anche altri sensori. Il senso del “significato globale”, che Harari liquida frettolosamente, è lì, forse sviluppato in misura differente tra le varie persone.

La meditazione

Il libro sfugge, in parte, a queste critiche dedicando l’ultimo capitolo alla meditazione. Un capitolo molto bello, tra l’altro.

La butta lì, come racconto di un’esperienza personale che ha trovato vantaggiosa.

Giustamente fa notare che la meditazione, pur essendo nata in seno delle religioni non prevede nessun dogma o atto di fede, ma è un semplice strumento che abbiamo a disposizione per migliorare le nostre vite, la nostra capacità di attenzione. Un allenamento a usare meglio la mente.

Purtroppo, anche qui, nel tentativo di scrostare la pratica meditativa dal retaggio religioso finisce per togliere un po’ troppo. C’è uno sforzo di rendere la meditazione un fatto razionale, e credo sia decisamente sbagliato. Indipendentemente dal fatto che un Dio esista o meno, e dal fatto che questa pratica possa metterci in comunicazione con lui, c’è molto, molto che non comprendiamo, su cui la meditazione getta un po’ di luce. Forse questo molto riguarda la comunicazione con gli altri esseri viventi, forse col passato della nostra specie. Forse sono anticipazioni confuse di cose su cui un giorno la scienza saprà fare piena luce.

In ogni caso io non vorrei perdermi tutto questo.

Non capiremo mai il senso della vita, ma il desiderio di capire ce l’abbiamo, e proprio quello dovrebbe diventare la nostra bussola.

L’Hallelujah di Leonard Cohen

Davide guarda Betsabea che fa il bagno. Louis-Jean-François Lagrenée, Public domain, via Wikimedia Commons
Davide guarda Betsabea che fa il bagno. Louis-Jean-François Lagrenée, Public domain, via Wikimedia Commons

Buon 2022. Wow, prima volta che lo scrivo.

Se non altro come proposito di inizio anno vale la pena scrivere qualcosa su questo blog, abbandonato a se stesso ormai da troppo tempo.

Parleremo di una canzone: Hallelujah di Leonard Cohen.

In questi giorni ho riascoltato diverse volte questo bellissimo brano. Credo di essermela ritrovata in qualche playlist natalizia che mettevo per inondare la casa di aria di feste.

Una canzone stranamente/vagamente religiosa. Pare sia molto usata per matrimoni e funerali (al mio la metterei). Finora, avendone capito qualche parola qui e là, ho avuto l’impressione che questo uso pseudo religioso fosse per lo meno incauto. Ho dovuto in qualche modo ricredermi.

A furia di riascoltarla mi è venuta voglia di capire bene di cosa parla, ho cercato il testo, e ho letto un bell’articolo di Alan Light, sulla rivista RollingStones che ne parla.

L’articolo è un estratto di un intero libro che l’autore ha dedicato alla canzone. Voglio raccontare qui quello che mi ha colpito e qualche mia riflessione.

Versioni

La canzone è stata incisa per la prima volta nell’album Various Positions nel 1984. È stata poi cantata da tantissimi altri, compreso lo stesso Cohen in varie occasioni. Quello che stupisce immediatamente è che il testo della prima incisione è diverso da quello delle altre, sembra che l’autore si sia sforzato di rendere il significato della canzone un po’ più comprensibile nelle versioni successive. In alcune versioni ci sono strofe rimosse.

La versione che preferisco è la prima, sia come testo che per la parte musicale (viene eseguita molto lentamente, sembra una meditazione, coi colpi di basso che aggiungono un cuore pulsante alla voce sensuale e sognante di Cohen).

Questa versione si può ascoltare qui.

Struttura e traduzione

Anzitutto si tratta di uno di quei bellissimi pezzi di musica che raccontano se stessi, un po’ come Si Re Si Re Si Mi Si Mi, solo che qui il testo non narra la melodia ma l’armonia, la progressione degli accordi, che è quello che rende la canzone così bella. Infatti piaceva addirittura a Dio, dice l’autore, ma andiamo con ordine.

Davide e la musica

Gerard van Honthorst, Public domain, via Wikimedia Commons
Gerard van Honthorst, Public domain, via Wikimedia Commons

Quasi tutte le versioni iniziano con una citazione biblica (Primo libro di Samuele, capitolo 16 versetto 23), il racconto di Davide che scaccia gli spiriti cattivi da Saul con la sua musica.

Now I’ve heard there was a secret chord

That David played, and it pleased the Lord

Ho sentito di questo accordo segreto che suonava Davide e piaceva al Signore

But you don’t really care for music, do you?

Ma a te non interessa tanto la musica, vero ?

Qui Cohen sembra parlare a una ragazza che cerca di sedurre con la sua musica, ma scopre che lei è interessata ad altro. E comunque ci prova a coinvolgerla in questa sua passione musicale e le racconta com’era questo accordo, come fosse stato lì, come se lui stesso fosse Davide.

It goes like this

The fourth, the fifth

The minor fall, the major lift

Fa così: la quarta, la quinta, casca sul minore, risale sul maggiore

Gli accordi qui sono, in tonalità Do maggiore (ho trovato sia una partitura per chitarra in Do che una per piano in Do#, non so quale sia quella originale): FA maggiore (che è la quarta del Do), Sol maggiore (la quinta), La minore, FA maggiore.

The baffled king composing Hallelujah

Il re sorpreso, sconcertato mentre compone l’Alleluia

Qui sembra riferirsi al processo creativo in sé. Il compositore, l’artista non crea la sua opera, questa appare quasi casualmente, lui ne è solo il tramite, e ne è il giudice, la riconosce come buona e la solidifica, la condivide, ma lui stesso ne rimane stupito.

Passioni Pericolose

Peter Paul Rubens, Public domain, via Wikimedia Commons
Peter Paul Rubens, Public domain, via Wikimedia Commons

Di nuovo una strofa presente in tutte le versioni. Di nuovo due citazioni bibliche, fuse tra loro, come fossero la stessa vicenda. E lo sono, in qualche modo: due uomini potenti che perdono la testa per due donne bellissime. Un po’ Kennedy/Monroe o Clinton/Lewinsky, o Berlusconi/Ruby.

Le citazioni parlano di Davide che vede dal tetto la bella Betsabea che fa il bagno e si innamora di lei (Secondo libro di Samuele, capitolo 11 versetto 2) e di Sansone (Libro dei Giudici, capitolo 16, versetti 4-21) che viene sedotto da Dalila e le rivela che il segreto della sua forza sta nel non essersi mai tagliato i capelli. Dalila, pagata dai Filistei, lo addormenta, lo lega, gli taglia i capelli.

Your faith was strong but you needed proof

You saw her bathing on the roof

Her beauty and the moonlight overthrew you

La tua fede era forte, ma volevi delle prove. L’hai vista dal tetto che faceva il bagno. La sua bellezza e la luce della luna ti hanno rovesciato

She tied you to a kitchen chair

She broke your throne, and she cut your hair

And from your lips she drew the Hallelujah

Ti ha legato alla sedia della cucina. Ha spaccato il tuo trono, ti ha tagliato i capelli. E dalle tue labbra ha tirato fuori un Alleluja

In quella sedia da cucina c’è forse un ricordo personale. Bellissimo quell’Alleluia tirato fuori dalle labbra di un uomo umiliato, sconfitto, ma comunque estatico, felice.

Cohen sembra qui sottolineare che l’estasi passionale è di per sé il colmo dell’espressione umana, al di là delle conseguenze, al di là del fatto che sia un Alleluia sacro o profano (holy o broken, vedremo dopo), quella gioia tirata fuori dalle labbra è una delle cose più importanti che possiamo avere.

Versione originale

Quelle che seguono sono le due strofe presenti solo nella versione originale del 1984.

Qui Cohen fa una riflessione sull’operazione che ha fatto, quella di unire l’Alleluia sacro (Davide che prega) con quello profano. Sembra rivolgersi a un credente che lo accusa di blasfemia.

You say I took the name in vain

I don’t even know the name

But if I did, well really, what’s it to you?

Tu dici che l’ho nominato invano. Ma io nemmeno lo conosco quel nome. Ma anche se fosse, perché è così importante per te ?

There’s a blaze of light

In every word

It doesn’t matter which you heard

The holy or the broken Hallelujah

C’è una fiammata di luce in ogni parola. Non importa quale Alleluia hai sentito, quello sacro o quello rotto

Sta dicendo:

“Non posso essere un blasfemo, sono un ateo. Non ho nominato il nome di Dio invano, perché quel nome neanche lo conosco.

Ma anche se lo conoscessi, perché guardi a cosa significa per me e non piuttosto a cosa significa per te ?.

Ho scritto delle parole bellissime, sei tu che scegli se sono un inno al Signore o semplicemente all’essere umano”

I did my best, it wasn’t much

I couldn’t feel, so I tried to touch

I’ve told the truth, I didn’t come to fool you

Ho fatto del mio meglio, non era tanto. Non potevo sentire, così ho provato a toccare. Ho detto il vero, non sono venuto a prenderti in giro

And even though

It all went wrong

I’ll stand before the Lord of Song

With nothing on my tongue but Hallelujah

E anche se fosse tutto andato male, se l’operazione non mi fosse riuscita. Starò davanti al Dio delle canzoni con nient’altro sulla lingua che Alleluia

Trovo bellissimo questo accenno al sentire o toccare. Sentire Dio, si parla di questo. Non è da tutti, forse è genetico. Ma chi non può sentire Lui può toccare la Sua creazione, e comunque gridare un’Alleluia.

Alla fine la canzone dice questo

Non ti parlo di Dio perché non lo conosco, non son sicuro che esista.

Non ti parlo dell’amore perché quello che ne ho capito è che puoi uccidere chi ti attira di più (da una delle versioni alternative).

Ti posso parlare della musica, che forse riesce a collegare il meglio dell’amore per Dio e dell’amore umano.

E a raccontarli.