Vuol dire “Ogni notte” in olandese. È il titolo di un canto di Taizè molto bello che hanno cantato i monaci alla preghiera di poco fa.
Iedere nacht verlang ik naar u, O God,
Ik hunker naar u met heel mijn ziel.
“Ogni notte ti desidero o Dio, Ti bramo con tutta la mia anima.”
E loro, i monaci, ogni notte ripetono questo rito. Semplice. Inizia con un versetto del vangelo letto in diverse lingue, qualche canto, dieci minuti di silenzio e qualche altro canto.
Bello soprattutto il silenzio. 6 monaci e 3000 persone in silenzio nelle loro case, in giro per il mondo. Belli i commenti in tutte le lingue. “Hello from New Jersey”, o “from London”, o “from Sweden”. Commenti in lingue che non riesco a capire o di cui intuisco appena il significato. Molti dall’Italia, che pregano per le vittime dell’epidemia, perché finisca presto.
Ho messo un mi piace al commento di una francese che chiedeva di pregare per Albert Uderzo che è morto oggi. Bello ricordarsi, onorare gli uomini grandi. Mi è piaciuto tra l’altro oggi vedere il video di Makkox che disegnava Asterix, così, semplicemente.
E intanto i morti aumentano. Ci vorrebbe un druido con una pozione magica.
La cosa che mi stupisce di più, in questi tempi di comunicazione rapida tra persone da un capo all’altro del mondo, è la lentezza con cui i vari paesi riescono a fare tesoro delle esperienze degli altri. Noi avremmo avuto un mese e più per prepararci e non abbiamo capito, gli altri ancora peggio. Quando tireremo le fila, alla fine, dovremo riflettere molto su questo.
E mi stupisce anche il fatto che non percorriamo la strada delle Corea del Sud, che ha dimostrato di funzionare. Ho visto che la Gabanelli ha ripreso l’idea nel suo Data room, mi è sembrata molto convincente, eppure nessuno sembra volerlo fare. Tutti preoccupati non so di che. Cosa ci sarebbe di più importante ora che fermare questo disastro?
Mi stupisce Conte che parla su Facebook e non in parlamento. Mi stupisce Borelli che ogni giorno ci elargisce numeri ad-cazzum, ammettendo anche che lo sono (“saranno almeno 5 volte di più”).
Mi stupisce che sia sparito il lievito dai negozi. Il lievito e la farina. Se volessimo scegliere un indicatore di quanta paura ha la gente non potremmo trovarne uno migliore. Mi stupisce che i corrieri non consegnino e che ci siano code ai supermercati: se vuoi che la gente non si muova di casa non dovresti far succedere l’opposto ? Tra l’altro un corriere che ti suona al campanello con la mascherina e ti molla il pacco davanti al portone rischia molto meno di una cassiera al supermercato (non parliamo dei clienti).
Mi stupisce che ci indigniamo se la Germania non ci consegna le mascherine che abbiamo comprato e noi ci gongoliamo di avere bloccato i ventilatori che la Grecia ha comprato da una nostra fabbrica.
Mi stupisce vedere gente giovane che ha più paura di andare al lavoro oggi che di vedere chiudere la fabbrica in cui lavora domani.
Ma in fondo è normale stupirsi. Ci stupiamo perché nessuno di noi può vedere l’immagine globale. Quella forse possiamo costruirla tutti insieme, mettendo insieme i tasselli che ognuno vede.
Forse c’entra con la magia delle colline della Borgogna, ci sono posti magici, dove ti senti immerso nella bellezza e non sai dov’è. In fondo da quelle parti era già nata l’abbazia di Cluny, tanti anni prima. La storia della comunità di Taizé secondo me è una storia di bellezza. Bellezza sempre a metà tra il terreno e il soprannaturale, ma forse non esistono bellezze d’altro tipo.
Se provate a leggere qualcosa sulla vita di Roger Shutz troverete il racconto di quello che ha fatto durante la guerra per accogliere chi scappava dai nazisti, i passi che hanno portato alla costruzione della comunità, e troverete qualcosa sul suo impegno per l’ecumenismo, per riconciliare le varie confessioni in cui si è oscenamente diviso il cristianesimo (frere Roger era protestante). Ma secondo me per cogliere chi era veramente e capire perché la sua comunità abbia attirato così tante persone bisogna provare a leggere qualcosa che ha scritto, o, ancora meglio, sentirlo parlare.
Roger Shutz non era un grande teologo o un grande scrittore, non era un trascinatore di folle, non era neanche un grande organizzatore, o uno che costruisce cattedrali con l’eredità lasciatagli dalle vecchie contesse. Era chiaramente un uomo innamorato di qualcosa di profondo che sentiva dentro di sé, e riusciva, parlando con gli altri, ad aprire un canale che permettesse anche a loro di condividere quest’esperienza interiore.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?».
(Vangelo di Luca, capitolo 24)
Non è la stessa bellezza ? Questo brano del vangelo parla di una persona che faceva ardere il cuore in petto agli altri quando parlava. I discepoli di Emmaus hanno riconosciuto Gesù perché ricordavano questa sensazione. Non è questo che chiamereste grazia ?
La musica
La bellezza attira altra bellezza, o la crea se non ce n’è. Se fate un salto Taizé, e girate per il posto, vedrete la semplicità, la povertà, l’essenzialità delle cose che magicamente si adorna della cura disinteressata di tanti, soprattutto ragazzi, che passano di là. Entrate nella chiesa, spartana e con queste meravigliose vetrate, e l’esplosione di colori e luci dell’altare, la gente che se ne sta lì in silenzio a tutte le ore del giorno e della notte. Guardate le poterie e gli oggetti artistici fatti da alcuni monaci come lavoro.
E tutto questo non è nulla rispetto alla musica.
Una comunità religiosa formata da persone di confessioni diverse deve ridurre all’essenziale le parole usate durante le preghiere. Deve prediligere una preghiera silenziosa. E quando centinaia e poi migliaia di persone ogni anno da così tanti paesi iniziano a radunarsi intorno alla collina e a voler partecipare alla preghiera dei monaci, la differenza delle lingue parlate rende l’uso delle parole ancora più difficoltoso. Persino l’escamotage di alternare le diverse lingue nelle varie letture ha l’effetto di spogliare la lingua della sua razionalità e ridurla a musica: ci sono parole a Taizé, ma per la maggior parte non le capisci. E allora resta il silenzio, e soprattutto la musica.
I canti di Taizè sono molto belli. Si tratta in genere di corali a quattro voci, o canoni in cui la stessa melodia si accavalla sfasata. Il testo è, in genere, una breve frase che viene ripetuta in modo ossessivo per tante volte, un mantra. Ogni ripetizione ornata in modo differente dagli strumenti e dalle diverse voci.
L’effetto è straordinario: se sei in chiesa durante uno di questi canti, dopo poche ripetizioni cominci a cantare la melodia principale, anche se non conoscevi la musica, anche se non capisci le parole perché sono in una lingua che magari neanche identifichi.
Tante persone restano affascinate da questi canti: spesso, alla fine della preghiera, specialmente di quelle serali, tanti si fermano in chiesa e continuano a cantare, fino a notte fonda, un canto dietro l’altro. Qualcuno si addormenta lì, un’esperienza mistica improvvisata, un perdere il confine ben definito tra esperienza religiosa e amicizia e star bene lì, in quel momento, a fare una cosa bella che non ti aspettavi.
Le preghiere nelle città
Credo siano sensazioni come queste che hanno fatto in modo che molti, tornati a casa volessero ricreare questo tipo di esperienza nelle proprie città. Sono nate così quasi ovunque delle “Preghiere di Taizé” tenute, in genere, una volta al mese, in cui viene riproposto questo modo di pregare senza tanti discorsi, fatto di canti in tante lingue e di molto silenzio.
A Torino la preghiera di Taizé si tiene il primo venerdì di ogni mese, alle 21 nella chiesa di San Domenico, almeno nella stagione bella. A Genova anni fa era al Porto Antico, forse c’è ancora, ma non ricordo il giorno. L’estate scorsa ho provato ad andare a quella di Barcellona, casualmente ero lì nel giorno giusto del mese, ma una gentile parrocchiana mi ha detto che “a l’agost no hi és”. In quella di Torino a metà inseriscono uno spazio dedicato a qualche realtà locale, qualcuno che racconta una sua esperienza, in genere è un po’ noioso ed è un po’ una nota stonata nel contesto della preghiera, ma si sopporta e, per il resto, vale la pena di partecipare.
E ora fatevi un piacere
Trovatevi dieci minuti e un posto tranquillo, e magari qualcuno con cui condividere l’esperimento. Ascoltate qualcuno dei brani qui sotto, ho cercato di scegliere i più belli, leggete il testo e provate a cantare. Provateci anche se siete stonati e anche se non credete in niente1, giusto un breve viaggio in un posto bello.
A me piace in particolare De Noche, è l’ultima. Se siete di quelli, credo sia genetico: magari un giorno provo a parlarne, che ogni tanto si chiedono che ci facciamo qui, apprezzerete quest’idea che se immagini che l’acqua ci sia, basti la tua sete a indicarti dove cercarla.