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Photo by Chinnu Indrakumar on Unsplash
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L’attenzione sulla pancia

Qualche giorno fa è morto Thich Nhat Hanh e il mio amico Antonio ha messo su Facebook un video di Vito Mancuso che legge uno scritto di questo monaco buddista.

Il video è questo.

Ho trovato il brano straordinariamente bello. Anche il fatto che fosse offerto a delle persone in carcere mi ha dato da pensare. Uno strumento per affrontare tempi difficili.

Un suggerimento semplice per affrontare i momenti in cui rischiamo di perdere il controllo. Sicuramente utile. Però la meditazione non è solo questo per me. Quello che mi accorgo di cercare di più in questa pratica è una connessione. Non so con cosa o chi. Qualcosa. Qualcuno.

Mi sono ritagliato un momento per meditare alla sera, prima di andare a letto. Quando riesci a farlo diventare un’abitudine non puoi più farne a meno. Aspetto questo momento come la telefonata a un amante lontano che non hai potuto sentire tutto il giorno.

Preghiere

Il Papa da Fazio (ho detto qui che non mi è piaciuto, ma questa cosa l’ho apprezzata) ha descritto la preghiera come l’ansia di ricevere attenzione che prova un bambino verso il padre. Ansia che manifesta con continui “perché”, dove non è importante la risposta quanto il fatto che una risposta venga data.

Ansia di comunicare.

Certo anche ansia di essere riconosciuti, credo che il Papa sottolinei più questo aspetto. Ansia di essere degni di uno sguardo, di un po’ di tempo, di essere ascoltati. Ma anche curiosità per le risposte, in fondo quei “perché” ci sono. Quindi sì, ansia di comunicare.

Le notifiche del cellulare

Quando il cellulare emette la notina per dirti che c’è un nuovo messaggio da leggere innesca una scarica di qualche ormone che dà piacere.

Non so che ormone sia. Dopamina ? Comunque è molto evidente, e se ne diventa facilmente dipendenti. Dipendenti al punto che tendiamo a prendere in mano il cellulare tante volte durante il giorno, per vedere se qualche notifica ce la siamo persa. Magari c’è qualche messaggio che è li che aspetta di essere letto. Qualche notizia interessante. Qualche app da aggiornare. Qualche acquisto online che sta per essere spedito.

E anche queste sensazioni sono facilmente identificabili se ci facciamo caso. Sensazioni un po’ simili all’ansia, alla sete.

Ci ho messo un po’ a capire che erano simili alla sensazione di cui dicevo sopra, quella che precede la meditazione. L’ansia di comunicare anche qui.

Momenti bussola

Se ci faccio caso sono tanti i momenti della giornata in cui provo questa sensazione. Non sempre diretta, meno che mai soddisfatta, dal guardare il cellulare.

I momenti in cui hai esaurito le cose impellenti da fare. O, quelli che, anche se hai da fare, ti impongono di fermarti. Un istante. I momenti sigaretta forse.

Potrei chiamarli momenti bussola, quelli in cui controlli dove stai andando. Ti guardi un po’ dall’esterno e guardi dove sei rispetto al paesaggio, forse rispetto a una mappa.

A volte non te ne accorgi neanche, la mente comincia a vagare per conto suo, produce sensazioni, ricordi, nostalgie, sogni. Quando ritorni alla realtà qualcosa è cambiato. Forse sono micromeditazioni, forse è comunicazione anche questa. Messaggi da un qualcosa fuori.

Religione omeopatica

Mi chiedo che rapporto abbiano tutte queste piccole cose con le grandi risposte che le varie religioni, la filosofia, la scienza, lo studio della storia, la psicologia provano a dare.

Potrei aggiungere alle piccole cose il notare le coincidenze. Il chiedersi cosa vuole dirmi il cane con quello sguardo, il chiedersi se il profumo di quel fiore era un messaggio destinato a me.

Non lo so, ovviamente, ma sento istintivamente che se le grandi risposte cancellano la magia di queste piccole cose sono, almeno un po’, fuori strada.

Smart Pray

Stamattina ho partecipato alla messa di Padre Antonio Menegon. Via Facebook. Mi ha invitato Antonio e io ho invitato, a mia volta, Umberto, Lorella e Top. Era tanto che non entravo in una chiesa, entrarci in questo modo è stato curioso, e anche bello. Bello anche scambiare un segno di pace con le faccette di Whatsapp, o mettendo dei “mi piace” sui commenti degli altri.

La reclusione da pandemia porta tutti a cercare nuovi modi, inevitabilmente informatici, per continuare a fare le cose di prima, o a riprendere a fare cose che si erano lasciate da parte. Ma, forse, questa del pregare, soprattuto del pregare insieme, assume di questi tempi una qualità particolare. Non è solo una continuazione, non è solo un ritrovarsi. C’è, in fondo, una domanda di fondo che facciamo a Dio, un perchè in più da approfondire, una richiesta di aiuto particolare.

Si sta diffondendo molto questo modo di pregare. Molte sono le parrocchie che organizzano messe in questo modo. Molti i gruppi di preghiera, i rosari. Oggi ho sentito un pezzo di un’altra omelia in cui il prete parlava del “Corano Virus”, lapsus freudiano.

Alla sera alle 8 si può persino partecipare alla Preghiera di Taizè, coi bellissimi canti dei monaci, ieri mi ci sono collegato, e credo ne farò un appuntamento costante nei prossimi giorni.

In fondo, in giro è tutto un chattare, un fare video party con i vari gruppi di amici. Stiamo scoprendo questa incredibile voglia, enfatizzata dall’isolamento, di sentirsi, vedersi, scambiarsi amenità, notizie, consigli, preoccupazioni. Mi chiedo se non siano tutte altrettante liturgie.

dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.

Chissà, forse il suo nome può essere anche implicito.

Padre Antonio pubblica le sue omelie anche su Facebook. Alla fine questa partecipazione a distanza può diventare anche meglio, almeno per me, di quella reale. Mi dà modo di approfondire le cose con più calma.

Per esempio, in questa omelia ho notato una cosa su cui non sono troppo d’accordo. Dice ad un certo punto:

Il coronavirus, semmai, è una conseguenza del scellerato uso del pianeta e della natura da parte dell’uomo

Mi sembra un altro modo di dire che la malattia è il risultato di un nostro peccato. Un peccato di massa, o di una parte più avida dell’umanità, ma comunque un peccato degli uomini che Dio punisce. Insomma, sembra, con questo commento, smentire quello che ha detto poche righe sopra:

Oggi si sente dire in giro che questa epidemia è il castigo di Dio per i peccati dell’umanità. Questa è una bestemmia! Dio non castiga, non si vendica, Dio ama sempre e ama tutti!

Forse questa malattia dovrebbe farci capire che semplicemente non siamo i padroni di questo mondo. Siamo ospiti temporanei, e lo sono anche i virus. Anzi loro sono qui, abitavano quelle foreste, da milioni di anni prima che arrivassimo noi. Questo nostro incontro recente ha solo bisogno di un riassestamento, come quando ti trovi dei nuovi vicini di casa, o dei nuovi compagni di lavoro, e devi riprendere le misure, trovare un nuovo modo di convivere. Noi non possiamo fare del male al pianeta, si difende benissimo da solo, e lo sta facendo.

La coscienza ecologica è importante, perchè ci spinge a tenere pulito il nostro giardino, ad amarne i fiori. Non va trasformata in un nuovo senso di colpa. Il numero crescente di esseri umani sicuramente crea scompensi, ci mette di fronte a queste crisi, a chissà quante crisi future. Ci spingerà a cercare soluzioni, forse a controllare le nostre nascite, o a cercare nuovi mondi da popolare, o a stiparci in spazi più regolati, ma non possiamo usare anche questo pretesto per trovarci dei nemici. Io Dio me lo immagino come un padre che guarda i suoi bimbi un po’ discoli, che si azzuffano, che imparano, ma nessun padre dice a una parte dei suoi figli: “voi siete quelli che sbagliano, loro sono i migliori”.

L’omelia finisce così:

Forse questa epidemia ci costringe nell’isolamento e nel silenzio a riflettere sulla nostra vita, sulla verità delle nostre azioni, sul senso autentico da dare ai nostri giorni e alle nostre scelte

Bello. Aggiungerei che ci sta facendo anche trovare forme nuove di convivenza. Ci sta spingendo ad usare di più e meglio questo strumento meraviglioso che abbiamo creato. Internet. Ci aiuterà, forse, dopo un periodo buio, in cui molti di noi se ne andranno, a creare un mondo un tantino migliore.

Amen