(volutamente senza titolo)

In sostanza volevo solo rispondere ai commenti che ha fatto Vic al post “Piccoli Schrödinger crescono: il credente e l’Option<T>”, ma erano troppe cose per metterle in un commento. E poi, pensandoci bene, quello di cui vorrei parlare è un po’ il Manifesto di questo blog. Quello che davvero vedo come fondamento sia della spiritualità che della tecnologia, e di tutte le cose umane. Talmente centrale che non riesco a trovare un nome: vengono in mente cose come meditazione, zen, ridimensionamento della razionalità, wu wei, consapevolezza, mindfullness e tanti altri, ed è tutta roba che gira intorno al nocciolo della questione senza coglierlo completamente, e, del resto, come potrebbe ?

Colui che sa, non parla; colui che parla non sa

(Lao Tzu, 500 a.C.)

Così il titolo è “(volutamente senza titolo)” con le sue belle parentesotte che ne fanno un metatitolo per un meta post.

Photo by Ollie Walls on Unsplash. 1

Osho

Tra le tante cose che ho letto sulla meditazione, le parole di Osho sono quelle che, secondo me, riescono a dare maggiormente l’idea, e, soprattutto, chiariscono il perché della difficoltà di parlarne. Tutto ruota intorno al concetto di razionalità. Pensare, non so se ci avete fatto caso, è solo una delle tante cose che sappiamo fare. E si può tranquillamente smettere di farla, ogni tanto. E se si smette di farla non si smette di esistere, non si smette di percepire il mondo esterno, e anche (soprattutto) quello interno. Se si smette di farla non si smette di essere capaci di prendere decisioni, non si smette di essere capaci di agire, anzi, sembra che si riesca a fare molte di queste cose meglio.

Osho, a chi obiettava a questa possibilità di smettere di pensare dicendo: “Eh, ma io ho la mente, non posso non pensare”, rispondeva: “Hai anche le gambe, eppure ogni tanto smetti di camminare”.

Smettere di pensare (meditare, per gli adepti) è un atto naturale, che ogni tanto tutti fanno, magari inconsapevolmente, magari guardando un paesaggio fumando una sigaretta, o perdendosi in una danza o guardando negli occhi un amico davanti ad un bicchiere di vino. Molti di noi, però, non hanno la capacità di fare di questa esperienza un fatto abituale, se non centrale, della nostra vita, o semplicemente non ne sentono la necessità. Forse è una cosa che va re-imparata dagli animali (questo, probabilmente, è all’origine dei nomi di tante posizioni yoga), e penso sarebbe bello se fosse insegnata ai bambini. Provo a dirvi perchè.

Il film

Quando pensiamo a cosa ci rende diversi dagli animali, a parte i peli più corti, o l’assenza di penne e artigli, viene in genere in mente l’autocoscienza. Cogito ergo sum, diceva il bravo Descartes: identificava il pensare col pensare a sé stessi, pensare a qualcosa che ci contiene. Perché abbiamo questa capacità? A cosa serve in termini evolutivi?

Serve a interagire con gli altri. E’ il set su cui giro il film che sto proiettando a beneficio degli altri. Le cose che dico agli altri sono tutte in relazione a me stesso, fateci caso, per questo il set deve contenere anche me.

Il linguaggio è il passo successivo, è la distribuzione di questo film.

L’ascolto è una cosa più complicata: gli altri devono diventare personaggi del mio film, devo adattare il mio film in modo che questi attori/altri, questi personaggi-che-non-sono-io nella mia testa, siano coerenti con le parole e il linguaggio non verbale che i miei sensi percepiscono da chi mi circonda. Il passaggio dall’infanzia/adolescenza all’età adulta è sostanzialmente un affinamento di questa capacità di sincronizzare il nostro film con quello degli altri: la versione adolescenziale del film vede il nostro personaggio come assoluto protagonista, col passare degli anni dobbiamo rendere il film compatibile con altri film in cui il nostro personaggio non è il centro del mondo. Quindi, gradatamente, ci ritagliamo parti diverse, fino a che il nostro personale film diventa una delle telecamere di un film più grande, che contiene tutta l’umanità.

Il vantaggio evolutivo di questa nuova capacità, di questa simulazione che ci contiene è proprio il film globale. Il film ci permette di vivere meglio, di essere la specie dominante del pianeta, dopo le zanzare: ci permette di scambiarci le istruzioni per difenderci dalle belve, quelle per scuoiare una lepre e per accendere il fuoco per cucinarla, e quelle per metterne la foto su instagram.

La trappola

Ma il film è anche una trappola. Essere animali sociali è diventato così importante che siamo arrivati a identificare il film con la realtà. Il meccanismo mentale che usiamo per girare il film, il pensiero lento, mediato, soggetto a mille filtri, a mille freni inibitori, utili a fare in modo che il film sia accettabile per la società, è diventato il nostro unico modo di pensare.

1 In quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?» 2 Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

(vangelo di Matteo 18,1-3) 2

Quando il bambino inizia a girare il suo film, e ancor più quando inizia a sincronizzarlo col film degli altri, perde la sua spontaneità, sta perdendo la capacità di pensare correttamente. Per molti il risultato sarà un passare la vita a fingere un personaggio senza nessuna originalità, prodotto solo dal riflesso degli altri attori.

Il Basic

Tanti anni fa sono nati, nel mondo informatico, i cosiddetti linguaggi interpretati. Servivano a permettere agli esseri umani un uso più agevole e più immediato e interattivo delle risorse del computer. Lo facevano simulando una macchina astratta, più adatta alla comprensione umana. Ogni istruzione umana, destinata alla macchina virtuale veniva tradotta in istruzioni per la macchina reale. Questo comportava un dispendio enorme di energie computazionali: un linguaggio interpretato era3 decine di volte più lento di uno scritto nel linguaggio nativo del computer.

Il nostro modo di pensare in genere assomiglia a questi linguaggi: si svolge in questa arena finta (creata dal pensiero stesso, quello vero, che resta dietro le quinte). Questo pensiero simulato, il pensiero razionale, tenta di dare logicamente conto di tutti i suoi passaggi, e contemporaneamente tiene conto dei limiti in cui il nostro personaggio pubblico si muove, tiene conto delle cose che gli è permesso dire, e quindi anche pensare. E, per questo, è lento, terribilmente lento.

Meccanismi evolutivi: il motore di simulazione

Ok, ora dobbiamo fare un passettino indietro. Incartiamo provvisoriamente il set per girare il film e mettiamolo sullo scaffale: dobbiamo montare un paio di altri semilavorati e poi assembliamo il motore completo.

La capacità di crearlo questo set, questa simulazione, è una delle meraviglie di cui ci ha dotato l’evoluzione. Ce l’hanno anche altri animali, ma non così sviluppata. Siamo capaci di simulare le cose mentalmente, prima, o invece, di farle. Non è legato alla razionalità: provate a immaginarvi alla guida della vostra auto mentre imboccate un incrocio leggendo un whatsapp sul telefono, il semaforo è rosso e nell’altra direzione arriva un TIR a tutta velocità. Gustate il rumore dello schianto, delle lamiere e dei vetri fracassati, del vostro corpo schiacciato e dilaniato insieme. Ecco, era un esempio di invece. E, benché io abbia provato a trasmetterlo a parole, non servono parole per provare questa esperienza: si può riprodurre tutta con le emozioni. Se eseguita bene fa anche accelerare il battito cardiaco, e fa passare la voglia di leggere messaggi guidando. Simulazioni analoghe sul cibo producono salivazione e succhi gastrici, sul sesso cose analoghe. Non so se vi è mai capitato di partecipare a quelle cose che chiamano meditazione (credo siano una cosa leggermente diversa), in cui c’è qualcuno che vi guida per una scala in discesa, la porta da aprire, il prato col laghetto e il senso di calma e benessere che ne deriva … stessa cosa: siamo davvero capaci di andarcene con la mente in posti inesistenti, di creare mondi nuovi, di viverne le sensazioni, e le fisicità (credo sia la funzione dei neuroni specchio).

Mettiamo anche questo semilavorato, la capacità di simulazione mentale, sullo scaffale, lo riprendiamo tra breve.

Meccanismi evolutivi: carota e bastone

Photo by pixpoetry on Unsplash

Ad un certo stadio dell’evoluzione nasce la necessità di fare in modo che organismi complessi, ma non ancora sufficientemente intelligenti, perseguano determinati obbiettivi: nutrirsi, riprodursi, difendersi, evitare sostanze tossiche etc … Come si raggiunge questo risultato? Non potendo semplicemente spiegarglielo, perché non sono in grado di capire, si installa in loro il meccanismo dolore/piacere programmandoli perché rifuggano il primo e ricerchino il secondo. Si associano questi meccanismi a determinati ormoni, neurotrasmettitori, e si fa in modo che gli ormoni che determinano la sensazione di piacere vengano prodotti a fronte di azioni da perseguire e viceversa con gli altri.

La nostra mente risponde ciecamente a questi automatismi. In situazioni conflittuali vince la somma algebrica delle sensazioni: rubo la lepre appena cacciata dal vicino (assecondo sensazione piacevole) o non rischio che il villaggio mi si rivolti contro e mi banni (rifuggo da sensazione spiacevole).

In genere non ci facciamo caso, ma la maggior parte delle nostre decisioni viene presa in questo modo.

Le sensazioni di piacere (ma anche quelle del dolore) indotte da questi meccanismi creano dipendenza: le cerchiamo anche nei momenti di tranquillità. Il nostro tempo mentale è in gran parte occupato dalla ricerca di modi per generare le sensazioni piacevoli o è preda ansie, paure, preoccupazioni che sono il nostro pessimistico prepararci a fuggire in anticipo da quelle negative.

Meditazione come riscatto da tutto questo

Ok, prendiamo tutti i pezzi: la capacità di simulazione mentale, il film a beneficio degli altri, i meccanismi automatici che prendono decisioni per noi. Sono tre aspetti che caratterizzano il modo di pensare dell’uomo primitivo. Sono le stampelle che l’evoluzione ci fornisce finché non diventiamo capaci di camminare con le nostre gambe.

Ma si può andare oltre: c’è una saggezza antica che ha ispirato tutte le religioni del mondo e che in anni recenti si è smarcata da qualsiasi connotazione spirituale. Sta imponendo sé stessa come arte di vita, come modo di funzionare meglio. Si chiama meditazione.

Agisce proprio sui tre aspetti di cui abbiamo parlato:

  • Anzitutto aiuta a mettere a fuoco i condizionamenti ormonali. Ci rende consapevoli di quanto siamo in continua ricerca di sensazioni piacevoli e in continua fuga da altre e questo basta a ridimensionare la dipendenza, a renderla meno tirannica.
  • Aiuta a mettere in pausa il dialogo interno. Ci permette di uscire ogni tanto dal set. Girare il film è alla base del nostro essere sociale, non possiamo rinunciarci, ma possiamo usare parte delle nostre energie per essere qualcosa, non solo sembrarlo.
  • Aiuta a usare la simulazione mentale in modo cosciente, come uno strumento che possiamo adoperare quando serve, ma ogni tanto anche posare.

La meditazione ci indica un modo migliore di vivere, sblocca potenzialità inimmaginate.

Tornado alla spiritualità e all’option<T>

Sebbene la meditazione venga utilizzata in modo profiquo anche al di fuori di contesti spirituali, non è un caso che si sia sviluppata in ambiti monastici: l’attenzione ai propri meccanismi mentali, che la meditazione allena, porta a tuffarsi sempre più a fondo in sé stessi, fino a profondità che forse non possiamo più chiamare noi: le radici della pianta. Potremmo parlare di inconscio collettivo, o per chi crede di connessione con un assoluto.

Ritengo che l’esperienza spirituale che si raggiunge attraverso questa pratica sia l’unica degna di questo nome.

Sul piano razionale, sociale, qualsiasi parola riguardante la spiritualità non è altro che un indicazione, una suggestione per riferirsi a queste esperienze, che appartengono al lato non razionale della nostra mente. Per questo dicevo che parlare di fede, parlarne in modo razionale, dovrebbe essere sempre fatto con la riserva dell’incertezza. Credenti e non credenti non possono che parlarne in questo modo: i primi sapendo che non possono dimostrare la verità di ciò che sentono, i secondi sapendo che non possono razionalmente negarla.

  1. La foto secondo me rende bene il problema che la meditazione mira a risolvere: noi mettiamo a fuoco una rappresentazione del mondo. Per quanto bella e raffinata sia, stiamo guardando l’immagine, non la realtà.
  2. Questo identificare il regno di Dio di cui si parla nei vangeli col mondo limpido e scintillante a cui si ha accesso con la meditazione spero non suoni offensivo per nessuno. Tra l’altro è una cosa simile a quella che fa Igor Sibaldi nella sua bella traduzione del vangelo di Giovanni (“Il Codice Segreto del Vangelo”).
  3. Esistono ancora, ma ora son fatti molto meglio.

3 risposte a “(volutamente senza titolo)”

  1. Sarò sincero.
    Quando sono arrivato a metà articolo, data la premessa, son tornato a rileggermi il mio commento cui ti riferivi. 🤔
    Non che mi dispiacesse la lettura! Anzi, era fluida, piacevole e stimolante come al solito.
    Anche se in alcuni passaggi era molto molto molto “meta-“, tanto da richiamarmi i Miti di Platone.

    All’inizio però mi ha colpito la frase: “si può tranquillamente smettere di pensare, ogni tanto”.
    Mi ha fatto pensare! … appunto 😁
    E mi è venuto subito di contestarla, come al solito.
    Io son sempre stato dell’idea che il pensiero si può indirizzare, ma non si può spegnere, neanche ogni tanto.
    E più ci provi, tanto meno ci riesci.
    Mettiamo che io ti dica: 《Non pensare ad un elefante rosa col tutù e i tacchi a spillo》.
    Proviamo un po’ e vediamo se te lo togli dalla testa!
    Probabilmente sono io che non ho capito nulla, e sono lontanissimo dalla meditazione, zen, hua wei, mindfulness e tutte quelle belle parole che hai detto tu.
    Però, Osho mi perdoni, ma paragonare il controllo della mente al controllo delle gambe…, ce ne vuole!!!

    E arrivo anch’io alla conclusione, mettendo in fondo (esattamente come hai fatto tu!) la risposta alla premessa iniziale: il commento al post sull’esistenza di Dio.
    Dicevo che mi son riletto il nostro precedente scambio di commenti e mi sembra ora che in effetti …dicevamo la stessa cosa. 😁
    O comunque le differenze sono talmente sottili -impalpabili, dicevo- che davvero fatico a sostenerle io stesso che le ho tirate fuori.
    Ma del resto, mica scrivo su un blog io!

    1. Comincio a pensare che sia genetica anche la capacità di meditare. Per me la frase di Osho sullo smettere di pensare ha perfettamente senso. Magari confondo ancora di più le idee, ma tanto per dare un riferimento in più: una cosa che potrebbe somigliare allo smettere di pensare, anzi al “funzionare” senza pensare, è il pensiero laterale, mai sentito ? Ma più banalmente: ti sarà capitato di avere un problema su cui ti intestardisci e non riesci a risolverlo e che quando desisti, lasci perdere, magari vai a dormire, quello sì risolve da solo. Sto parlando solo di sviluppare quella capacità.

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