Scienza, Omeopatia e Fedi

Photo by Artem Maltsev on Unsplash
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Nel Post precedente ho accennato all’Omeopatia, più come spunto per parlare di altro che con la reale intenzione di parlare della sua validità o meno. Vic e PG hanno fatto commenti, piuttosto vivaci direi, su questo secondo aspetto. Visto che non sono d’accordo con la loro visione della faccenda provo a dire quello che penso a riguardo.

ciarlatani

La critica più forte che viene fatta all’Omeopatia, come a tutte le Medicine Alternative è quella di sfruttare l’ingenuità delle persone per propinare tecniche di guarigione che non guariscono o, guariscono quello che si sarebbe comunque messo a posto da solo o con un miglioramento dovuto all’effetto placebo. Questo in contrasto con la Medicina Ufficiale che cura secondo pratiche sancite come valide dalla comunità medico scientifica.

Se la guardiamo in questi termini la validità di un sistema rispetto all’altro risiede nell’affidabilità dell’ente che sancisce quali cure sono efficaci e quali no.

Proverò a parlare anche della validità oggettiva della Medicina, e di quello che la Scienza può effettivamente dire di sapere o non sapere, in generale e in particolare sul funzionamento del corpo umano. Ma ci tengo a far notare qui che non stiamo parlando di quello. Chi giudica se una pratica medica è da considerarsi lecita o meno non è un’oggettività scientifica. Chi giudica sono istituzioni umane, con interessi economici, politici, di ambizioni personali, di rivalità con altre istituzioni. Siamo né più né meno sullo stesso livello delle leggi. Le decisioni sono prese in gran parte in base ai rapporti di forza tra le parti.

Ma guardiamo più da vicino i vari aspetti.

guariscono ?

I medici tradizionali guariscono ?

Se mi fratturo una gamba o mi viene una polmonite o peggio, sicuramente non vado da un omeopata. Vado da un dottore, faccio le analisi del caso e seguo le cure. E sono anche contento che esista un organismo che si è assunto il compito di verificare che i farmaci che mi danno siano appropriati e non facciano danni eccessivi. Questo per premettere in chiaro che non voglio buttare merda sulla medicina ufficiale o sulla classe medica e neanche sulle istituzioni legali che governano il loro agire.

Detto questo ci sono parecchie patologie rispetto alle quali la Medicina sembra dover fare ancora molti passi avanti.

Visto che questo è il mio blog personale e sto parlando di una mia opinione voglio citare un caso personale. Da qualche mese ho un problema a un occhio, un opacità del vitreo, farfalle nere che svolazzano e rendono la visione fastidiosa, il tutto, a volte, accompagnato da lampi di luce a fronte di movimenti bruschi.

Sono andato da un oculista. A pagamento perché prenotando col servizio sanitario nazionale si andava troppo per le lunghe. Visita non conclusiva, serviva un esame della retina. Fatto a pagamento anche questo, sempre per i tempi lunghi. Di nuovo visita e il responso è stato che non c’era distacco della retina, sulla causa dei lampi la risposta è stato qualche borbottio indistinto, il problema delle farfalle volanti liquidato con un “deve bere tanto”.

Nessun accenno al perché due problemi a suo dire slegati si siano presentati nello stesso momento. Nessun accenno a una possibile causa sistemica del problema, una patologia di altri organi o mentale che finisce per manifestarsi sull’occhio prima che da altre parti.

Dopo aver bevuto per due mesi un sacco di acqua e averne tratto scarso giovamento sono partito per il Camino de Santiago. Il problema è completamente scomparso nei primi giorni e me n’ero completamente dimenticato. Ora che son tornato da qualche settimana accenna a ripresentarsi.

Da tutto questo mi viene da estrarre una serie di dubbi:

  • Magari questo medico non era abbastanza competente. Cosa dovrei fare ? Provarne un altro ? Devo provarli tutti ? Le istituzioni che dichiarano ciarlatani gli omeopati non dovrebbero bacchettare sulle mani anche i medici incapaci e indicarmi quelli bravi ?
  • Sul Camino accadono veramente i miracoli ?
  • Ha davvero fondamento il proverbio “Nasciamo tutti con due dottori: la gamba destra e la gamba sinistra” ?
  • Non è che il problema è proprio l’esistenza degli specialisti ? O che questi prima, o oltre, il cercare malfunzionamenti degli organi di cui sono più esperti dovrebbero ipotizzare anche problemi generali, non escludendo quelli psicologici. Insomma i medici tradizionali non dovrebbe imparare dagli omeopati a essere più olistici ?
  • Non è che la medicina è capace di curare solo le malattia gravi ? Quelle in cui anche un intervento grossolano e con side effects notevoli sull’organismo è preferibile a tenersi il problema ?
  • Non è che la medicina non ha capito molto del funzionamento del corpo umano ? Soprattutto delle interazioni tra corpo e mente ? E se è così ha davvero il diritto di ergersi a giudice di chi cerca strade parallele ?

le medicine alternative guariscono ?

Non ho grandi aneddoti da citare a questo proposito. Mi sono rivolto a guaritori non ufficiali in svariate occasioni per problemi minori e devo dire di averne sempre tratto giovamento, se non altro perché ho sempre trovato persone che ti trattavano come un essere completo non come un lego in cui cercare il mattoncino rotto. La guarigione può essere stata frutto di effetto placebo, non lo so. Ma se così fosse non è una cosa che anche la medicina ufficiale dovrebbe imparare ad usare ? Se l’effetto placebo guarisce non dovrebbe essere studiato e usato ?

il ruolo della scienza

La Scienza come la intendiamo oggi nasce nel 1500 da un profondo atto di umiltà dell’essere umano. Nasce dall’avere qualcuno finalmente ammesso che non sapevamo niente e che dovevamo costruire il sapere partendo dall’osservazione dei fenomeni, dalla formulazione di ipotesi che le spiegassero e prove empiriche che confermassero o smentissero queste ipotesi.

Può questo processo avere una fine ? Può arrivare un momento in cui dichiareremo di aver compreso tutto ? Qualcuno è convinto di sì, ma si tratta di una Fede, non di un’evidenza scientifica. E se non è così, o finché non sia così, finché non si arrivi a dar conto di tutto, quanto possiamo considerare certo di quello che abbiamo imparato ? Non dobbiamo essere sempre pronti a buttar via tutte le conoscenze acquisite perché un fatto nuovo mette in crisi l’intera struttura ? Non è successa una cosa del genere con Einstein rispetto alla fisica Newtoniana ?

Davvero la Scienza può affermare che una determinata spiegazione di un fenomeno non può essere vera ? O non si deve limitare a dire per quanto ne sappiamo oggi non è dimostrabile ? E se è così non assume un peso rilevante nella costruzione del castello di sapere, che di fatto governa le vite di tutti, come viene deciso quali fenomeni indagare ?

Ho la sensazione che il nocciolo della questione stia davvero qui.

In uno dei libri di Harari si accenna al problema facendo l’esempio di un ricercatore che voglia studiare la sofferenza degli animali (purtroppo non dei sassi Vic 😂). Questo ricercatore non riceverà mai un finanziamento. Quello che può fare è presentare la sua ricerca facendo notare che la sofferenza degli animali ha un impatto diretto sulla produttività degli allevamenti.

Rupert Sheldrake

The Science Delusion di Rupert Sheldrake (in italiano è uscito col titolo Le illusioni della scienza ) è pieno di esempi di questo tipo. È un libro che dovreste assolutamente leggere se condividete una fede cieca nella Scienza.

È un libro scritto da uno scienziato, un biologo con importanti ricerche e scoperte alle spalle, che critica la Scienza dall’interno, in nome della Scienza stessa. Fa notare i molti dogmi di cui la comunità scientifica è pervasa, dogmi che derivano da filosofie materialiste del XIX secolo e che l’autore vorrebbe trasformare in domande da sottoporre a verifica con il metodo scientifico stesso. Le domande, una per capitolo, sono: “La natura è meccanica ?”, “La quantità totale di materia ed energia è sempre la stessa?”, “Le leggi della natura sono costanti?”, “La materia è priva di coscienza?” (Vic 😜), “La natura è priva di obiettivi?”, “Tutta l’eredità biologica è materiale?”, “I ricordi sono conservati come tracce materiali?”, “Il pensiero è confinato nel cervello?”, “I fenomeni psichici sono illusori?”.

Il capitolo 10, intitolato “La medicina meccanicistica è l’unica che funziona davvero?” È completamente dedicato all’oggetto di questo post, ne faccio una breve sintesi.

autoguarigione e igiene pubblica

Animali e piante hanno sviluppato da millenni meccanismi di autoguarigione, e che anche l’essere umano sia dotato di questa capacità è noto da secoli. Gli ateniesi, cinquecento anni prima di cristo, ma anche arabi e cinesi usavano pratiche molto simili ai vaccini odierni per prevenire epidemie.

I grandi successi della medicina nel XIX sono dovuti al miglioramento delle condizioni igieniche a fronte anche della scoperta dell’esistenza dei germi da parte di Pasteur. Nè questa scoperta ne le pratiche igieniche e le vaccinazioni derivavano dalla teoria meccanicistica della vita e dalla concezione materialistica del mondo.

penicillina e farmaci

La scoperta della penicillina è stato un evento casuale e inaspettato, non frutto di una ricerca mirata. Le capacità curative delle piante officinali sono note da secoli e il 70 per cento dei medicinali odierni è basato sui principi attivi delle piante, derivati da fonti naturali o sintetizzate in laboratorio. La restante parte dei medicinali è prodotta per tentativi. Si prendono sostanze più o meno a caso e si testa il loro effetto sulle cellule e, in caso di effetti interessanti, successivamente su organismi più complessi, fino alla sperimentazione sugli umani.

Benché si siano spesi ingenti capitali in ricerche tese a scoprire nuovi farmaci sulla base della comprensione dei genomi e dei dettagli molecolari delle cellule i risultati sono stati molto deludenti.

I nostri farmaci non derivano dalla conoscenza che la medicina ha del corpo umano.

Le case farmaceutiche spendono tantissimo in pubblicità e promozione, per far apparire i propri farmaci più sicuri ed efficaci di quanto non siano in realtà, compreso in molti casi il fenomeno del ghostwriting, articoli scientifici firmati da scienziati pagati, ma in realtà scritti dalle case farmaceutiche stesse (l’autore cita uno scandalo della DesignWrite e della casa farmaceutica Wyeth).

Le case farmaceutiche spendono tantissimo in lobbying (900 milioni di dollari tra il 1998 e il 2004). Molti enti regolatori sono finanziati dalle case farmaceutiche che dovrebbero controllare.

effetto placebo

Il successo di un farmaco o di una terapia è notevolmente influenzato dalle aspettative sia del paziente che del terapeuta. Per questo motivo gli esperimenti in questi campi avvengono in condizioni di cecità, in cui né i medici, né i pazienti sanno chi assume il farmaco e chi il placebo.

Il sistema a doppio cieco ha dei limiti, per esempio nel caso in cui il farmaco abbia dei forti effetti collaterali. In questi casi i pazienti a cui è stato dato il placebo vengono facilmente smascherati dall’assenza di questi effetti (i test del Prozac hanno evidenziato questo problema, ad esempio. L’indagine sui dati della ricerca, pubblicati su imposizione di un tribunale dalla Ely Lilly sembrano dimostrare che il Prozac non fosse meglio del placebo).

L’effetto placebo funziona non solo per i farmaci, ma anche nel caso di finte operazioni chirurgiche (test effettuati negli anni cinquanta nei casi di angina).

Per molti anni, la maggior parte dei ricercatori in campo medico ha considerato le risposte placebo come un’irritante complicazione degli studi clinici, un intralcio nella ricerca delle vere cure. L’atteggiamento però sta cambiando: la risposta placebo mostra che le credenze e le speranze dei pazienti hanno una parte importante nel processo di guarigione.

L’impatto di un trattamento collaudato è sempre rafforzato dall’effetto placebo. Non solo il trattamento darà un beneficio standard, ma avrà anche un beneficio aggiunto, perché il paziente si aspetta che la cura sia efficace. I migliori dottori sfruttano appieno l’impatto placebo, mentre i peggiori aggiungono solo un minimo rafforzamento placebo alle loro cure.

Nel 2009, si è scoperto che le risposte placebo stavano aumentando, in particolare negli Stati Uniti. Negli studi clinici, sono sempre meno numerosi i farmaci che battono i placebo. In altre parole, è cresciuto il numero dei farmaci che non superano i trial clinici, il che provoca gravi problemi alle case farmaceutiche.

Se il materialismo fosse un fondamento adeguato per la medicina, le risposte placebo non dovrebbero verificarsi. Il fatto che invece si verifichino mostra che le credenze e le speranze delle persone possono avere effetti positivi sulla loro salute e la loro guarigione. Viceversa, disperazione e senso di impotenza possono avere effetti negativi. Esiste addirittura un campo di ricerca dedicato a questo tema, la psiconeuroimmunologia. Stress, ansia e depressione sopprimono l’attività del sistema immunitario e lo rendono meno in grado di resistere alle malattie e di inibire la crescita di cellule tumorali. Perciò le persone ansiose o depresse hanno maggiori probabilità di ammalarsi o di contrarre un cancro. Le risposte placebo dicono che salute e malattia non sono solo questione di fisica e chimica, ma dipendono anche da speranze, significati e credenze. Le risposte placebo sono parte integrante della guarigione.

(Sheldrake, Rupert. Le illusioni della scienza (Italian Edition) . Feltrinelli Editore.)

ipnosi, verruche e stili di vita

L’autore qui passa in rassegna vari casi in cui si evidenziano effetti fisici, come la cura delle verruche ottenuti attraverso l’ipnosi o pratiche simili.

Prende poi in considerazione altri fattori che influenzano la salute, come le motivazioni, gli atteggiamenti e i fattori sociali. Le persone che hanno credenze religiose, che hanno una rete di parenti o amici o animali domestici godono di una salute migliore.

terapie alternative

Si parla principalmente di agopuntura, una pratica inspiegabile dal punto di vista scientifico e che ha al suo attivo parecchi successi. Non è testabile in doppio cieco (non si possono usare aghi finti 😁).

ricerca comparata di efficacia e conclusioni

L’autore qui propone come alternativa, o in aggiunta, al doppio cieco un sistema per confrontare l’efficacia di cure diverse per una data malattia. Riporto qualche paragrafo significativo.

Immaginatevi, per esempio, che l’omeopatia risulti il trattamento migliore per l’herpes labiale. Gli scettici sosterrebbero che sarebbe solo grazie al fatto che l’omeopatia ha un effetto placebo più forte delle altre cure. Ma se l’omeopatia liberasse effettivamente una risposta placebo maggiore, questo sarebbe un pregio, non uno svantaggio. L’omeopatia funzionerebbe davvero e probabilmente sarebbe anche meno costosa.

Uno dei problemi della medicina meccanicista è la sua visione a tunnel, con la sua ossessione per i metodi chimici e chirurgici e con l’esclusione di tutti gli altri. Per decenni, la concezione materialista del mondo ha plasmato il modo in cui si insegna medicina nelle università, ha sbilanciato il finanziamento della ricerca medica e ha dato forma alle politiche dei servizi sanitari nazionali e delle compagnie di assicurazione private. Nel frattempo la medicina è diventata ancora più costosa. La ricerca sull’efficacia comparata può portare a un sistema di medicina realmente basato sulle prove, che includerebbe, anziché escludere, terapie che non sono coerenti con il sistema di credenze materialista.

Al momento abbiamo un sistema medico ufficiale finanziato dallo Stato che è costoso, restrittivo e fortemente influenzato dalle grandi case farmaceutiche, la cui preoccupazione principale è quella di fare grandi profitti. Questo sistema ha avuto un successo spettacolare, ma la maggior parte dei suoi progressi si è verificata prima degli anni Ottanta. Il ritmo dell’innovazione va rallentando e la maggior parte delle promesse della medicina genetica e della biotecnologia restano inadempiute. Nel frattempo i costi delle cure e della ricerca aumentano.

Se il monopolio del materialismo sponsorizzato dallo Stato fosse meno forte, la ricerca scientifica e clinica potrebbe considerare il ruolo di credenze, fedi, speranze, paure e influenze sociali sulla salute e sulla guarigione. Si potranno confrontare i sistemi di terapia sulla base della loro efficacia e le persone potranno scegliere quello che, probabilmente, funzionerà meglio per loro, con l’aiuto di consiglieri informati. Dieta, esercizio fisico e programmi di medicina preventiva si potranno a loro volta confrontare sulla base della loro efficacia. La natura delle risposte placebo e il potere della mente potranno diventare campi di ricerca validi, come gli effetti della preghiera, della meditazione e di altre pratiche spirituali. Un sistema medico integrativo darebbe alle persone la possibilità di condurre una vita più sana. Medici e pazienti potrebbero diventare più consapevoli della capacità innata del corpo di guarirsi e potrebbero riconoscere l’importanza della speranza e della fede. Si potrebbe chiedere a un maggior numero di persone come preferirebbe morire, se a casa, in una casa di riposo o in un reparto di terapia intensiva. Un approccio integrativo alla medicina farebbe affidamento sugli enormi progressi degli ultimi due secoli e li includerebbe in una forma più aperta di medicina, che potrebbe essere più efficace e costare meno.

(Sheldrake, Rupert. Le illusioni della scienza (Italian Edition) . Feltrinelli Editore.)

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Photo by Chinnu Indrakumar on Unsplash
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L’attenzione sulla pancia

Qualche giorno fa è morto Thich Nhat Hanh e il mio amico Antonio ha messo su Facebook un video di Vito Mancuso che legge uno scritto di questo monaco buddista.

Il video è questo.

Ho trovato il brano straordinariamente bello. Anche il fatto che fosse offerto a delle persone in carcere mi ha dato da pensare. Uno strumento per affrontare tempi difficili.

Un suggerimento semplice per affrontare i momenti in cui rischiamo di perdere il controllo. Sicuramente utile. Però la meditazione non è solo questo per me. Quello che mi accorgo di cercare di più in questa pratica è una connessione. Non so con cosa o chi. Qualcosa. Qualcuno.

Mi sono ritagliato un momento per meditare alla sera, prima di andare a letto. Quando riesci a farlo diventare un’abitudine non puoi più farne a meno. Aspetto questo momento come la telefonata a un amante lontano che non hai potuto sentire tutto il giorno.

Preghiere

Il Papa da Fazio (ho detto qui che non mi è piaciuto, ma questa cosa l’ho apprezzata) ha descritto la preghiera come l’ansia di ricevere attenzione che prova un bambino verso il padre. Ansia che manifesta con continui “perché”, dove non è importante la risposta quanto il fatto che una risposta venga data.

Ansia di comunicare.

Certo anche ansia di essere riconosciuti, credo che il Papa sottolinei più questo aspetto. Ansia di essere degni di uno sguardo, di un po’ di tempo, di essere ascoltati. Ma anche curiosità per le risposte, in fondo quei “perché” ci sono. Quindi sì, ansia di comunicare.

Le notifiche del cellulare

Quando il cellulare emette la notina per dirti che c’è un nuovo messaggio da leggere innesca una scarica di qualche ormone che dà piacere.

Non so che ormone sia. Dopamina ? Comunque è molto evidente, e se ne diventa facilmente dipendenti. Dipendenti al punto che tendiamo a prendere in mano il cellulare tante volte durante il giorno, per vedere se qualche notifica ce la siamo persa. Magari c’è qualche messaggio che è li che aspetta di essere letto. Qualche notizia interessante. Qualche app da aggiornare. Qualche acquisto online che sta per essere spedito.

E anche queste sensazioni sono facilmente identificabili se ci facciamo caso. Sensazioni un po’ simili all’ansia, alla sete.

Ci ho messo un po’ a capire che erano simili alla sensazione di cui dicevo sopra, quella che precede la meditazione. L’ansia di comunicare anche qui.

Momenti bussola

Se ci faccio caso sono tanti i momenti della giornata in cui provo questa sensazione. Non sempre diretta, meno che mai soddisfatta, dal guardare il cellulare.

I momenti in cui hai esaurito le cose impellenti da fare. O, quelli che, anche se hai da fare, ti impongono di fermarti. Un istante. I momenti sigaretta forse.

Potrei chiamarli momenti bussola, quelli in cui controlli dove stai andando. Ti guardi un po’ dall’esterno e guardi dove sei rispetto al paesaggio, forse rispetto a una mappa.

A volte non te ne accorgi neanche, la mente comincia a vagare per conto suo, produce sensazioni, ricordi, nostalgie, sogni. Quando ritorni alla realtà qualcosa è cambiato. Forse sono micromeditazioni, forse è comunicazione anche questa. Messaggi da un qualcosa fuori.

Religione omeopatica

Mi chiedo che rapporto abbiano tutte queste piccole cose con le grandi risposte che le varie religioni, la filosofia, la scienza, lo studio della storia, la psicologia provano a dare.

Potrei aggiungere alle piccole cose il notare le coincidenze. Il chiedersi cosa vuole dirmi il cane con quello sguardo, il chiedersi se il profumo di quel fiore era un messaggio destinato a me.

Non lo so, ovviamente, ma sento istintivamente che se le grandi risposte cancellano la magia di queste piccole cose sono, almeno un po’, fuori strada.

Il cielo in una stanza

Divagazioni tecno/psico/metafisiche sul parlare in stanze affollate

Pulizie di primavera

Ho iniziato, in questi ultimi giorni, la grande impresa di mettere ordine ai dati sui vari PC e hard disk e archivi online. Deve essere vero che i dati sono come i gas, e tendono a occupare tutto lo spazio che gli dai. Quando cerco un hard disk per metterci, che so, un backup, o qualcosa di interessante che trovo in giro, non ce n’è mai uno con spazio sufficiente. In genere sono pieni di cose inutili, o copie di cose che ho da altre parti. Se decido di fare spazio e cancellare il contenuto di un archivio c’è sempre qualche directory per cui dici: “no!, questo magari poi mi serve”. Se trovo due archivi di foto che sembrano identici non so più dire quale è quello più recente.

Beh, insomma, ho iniziato dalle mail. Avevo circa 25 mila messaggi nella inbox, risultato di anni di “poi metto a posto”. Mi sono disiscritto da decine e decine di mailing list a cui non mi ero mai iscritto (per molte non serve a niente cancellare le iscrizioni: continuano ad arrivare le mail). Mentre scrivevo l’ultimo paragrafo ne è arrivata una da ebay con consigli per San Valentino. Credo che l’unica sia mettere delle regole che cestinino questi messaggi automaticamente quando arrivano. Il fatto è che magari vorresti ricevere messaggi da ebay, quando vendi o compri qualcosa …

Sarà dura.

L’ Effetto Cocktail Party

Comunque, il primo effetto di questa pulizia è stato di cominciare a notare alcune mailing list che in effetti poteva interessarmi leggere.

Ad esempio, ieri ne ho ricevuta una da The Edition, newsletter per gli abbonati a Medium. Medium è una cosa a metà tra un social network e un contenitore di blog. Ognuno può scriverci quello che vuole, ma c’è un sistema di votazioni e preferenze che fa emergere le cose più interessanti per ognuno. La newsletter evidenzia le cose più interessanti dal punto di vista della redazione. In questo numero citavano questo bellissimo articoletto The Cocktail Party in Your Head. Parla dell’effetto cocktail party, la capacità che abbiamo di focalizzare la nostra attenzione sulle parole pronunciate da una particolare persona anche se siamo in un ambiente affollato, ambiente in cui avvengono, e percepiamo, diverse conversazioni.

L’autore dell’articolo prova ad applicare questa capacità all’ascolto della cacofonia di pensieri che affollano la nostra mente. Fa notare che è possibile selezionare le personalità che ci interessano di più. È possibile mettere a fuoco i nostri diversi “Io”.

Questa “attenzione a chi parla” nella nostra mente tende a far emergere un wisest self, un Io che ci piace di più, un Io più saggio degli altri, un Io che ci dà più stabilità, più pace.

Per certi versi, e lo nota anche l’articolista, è quello che si fa nella Meditazione Vipassana. Bello.

Conversare via radio

Il problema di riuscire ad ascoltare uno che parla in una stanza affollata è uno dei principali problemi che ha dovuto risolvere l’evoluzione della tecnologia cellulare.

Canali fissi

All’epoca delle trasmissioni analogiche, cellulari compresi, il problema di parlare in tanti in uno spazio ristretto (l’etere per le trasmissioni radio, ma anche il filo di rame di una rete di telecomunicazioni) veniva risolto creando tante stanzette (bande di frequenza) in cui la gente si chiudeva (due a due) per parlare. Questa soluzione implicava che qualcuno assegnasse le stanze (e i microfoni).

Per i canali radiofonici e televisivi si dava il microfono a uno solo, e a tutti gli altri nella stanza veniva permesso solo l’ascolto. Per le radio uno a uno, i walkie talkie, la stanzetta (frequenza) era pre-definita dal costruttore. I sistemi radio molti a molti, ad esempio le radio della polizia o dei radio amatori si accettava che più persone decidessero di parlare insieme e, se il risultato non era comprensibile, qualcuno urlava “Ripeti”. La telefonia via filo risolveva il problema usando una rete di switch, interruttori che creavano un canale fisico diretto (una stanzetta) tra due individui per la durata della conversazione.

La telefonia cellulare ha dovuto inventarsi qualcosa di meglio, semplicemente perché il numero di canali possibili (frequenze) era estremamente ridotto rispetto alla quantità di fili di rame che era stato possibile stendere per i telefoni. Inoltre le frequenze radio hanno confini indefiniti. Mentre posso essere sicuro che al mio telefono arriva un solo filo, se lo sostituisco con una radio diventa meno chiaro stabilire a priori con quali ripetitori può connettersi, specialmente se si muove.

Soluzioni tecnologiche

Le soluzioni a questo problema sono tutte interessanti, e in qualche modo ricalcano le equivalenti soluzioni umane.

L’ALOHA (“Ciao” in hawaiano, questo tipo di protocollo per il collision avoidance è stato inventato negli anni 70 alla University of Hawaii), ricalcava la soluzione dei radio amatori: uno prova a parlare e contemporaneamente ascolta sul canale comune. Se non risente esattamente il suo messaggio vuol dire che qualcun altro gli parlava sopra, e ritenta dopo un po’.

Il GSM (Global System for Mobile communications) usava una tecnica nota come Time Division Multiplexing per permettere la comunicazione di più persone assegnando a ogni conversazione una frazione di tempo, pochi millisecondi a testa. Come se nello stanzone ognuno potesse pronunciare una sillaba alla volta, a turno, se ascolti solo nell’intervallo assegnato al tuo interlocutore senti solo lui. Certo, poi devi rimettere insieme il contenuto.

Il CDMA (Code-division multiple access) torna allo stanzone in cui tutti danno sulla voce a tutti. Ma prescrive che ognuno parli con dei simboli che permettono di distinguere una conversazione dall’altra. Come se ogni conversazione avvenisse in una lingua diversa. Io sento anche il suono dei due cinesi che mi stanno parlando vicino, ma capisco meglio il mio amico che parla italiano dal fondo della stanza.

Una tecnica interessante usata dal moderno 5G è quella di usare per ogni canale frequenze parzialmente sovrapposte e ortogonali. In soldoni usano delle caratteristiche fisiche delle frequenze per riconoscerle anche quando si sovrappongono. Un analogia col nostro stanzone potrebbe essere tracciare nella stanza dei percorsi mediante linee per terra, in modo da costringere a parlare in una direzione ben precisa e magari con un tono di voce diverso per ogni percorso (in questa conversazione si parla in quella direzione e con voce da soprano).

Le tecniche di error correction aiutano a capire se il messaggio è arrivato integro. Se al fondo di ogni parola aggiungo il numero di lettere della parola, aiuto chi la sente a riconoscere un eventuale errore in modo che possa chiedermi di ripetere.

Il forward error correction aggiunge ad ogni messaggio informazioni che permettono al ricevente di ricostruire il messaggio errato senza dover chiedere la ripetizione. Se assieme al messaggio mi dicono il numero delle vocali, delle consonanti gutturali, plosive etc. posso capire che aveva detto “pazzo”, anche se io ho sentito “cazzo”. La tecnica usata non è questa ovviamente, stiamo parlando di codifiche digitali, ma il risultato è analogo.

Con chi parlare (o chi ascoltare)

La capacità di ascoltare chi vogliamo ce l’ha data l’evoluzione. L’abbiamo ricostruita con la tecnologia e, con un po’ di esercizio, possiamo ritrovarla anche nel discernere i nostri processi mentali. Un problema ben più complicato è capire con chi vale la pena parlare o chi vale la pena ascoltare.

Qui l’evoluzione dà una risposta parziale. Siamo attrezzati per vivere in piccoli gruppi.

Per creare comunità più allargate abbiamo dovuto inventare strumenti come il gossip. Quello è un bravo cacciatore. Quel commerciante è un ladro. Quella è un po’ zoccola.

Abbiamo creato storie per sentirci parte di gruppi più vasti. Noi siamo quelli protetti dal grande castoro bianco, o dal tal santo. Noi siamo i portatori della democrazia, o quelli che libereranno i poveri dall’oppressione. Noi siamo quelli che difendono i valori della nazione. Noi siamo quelli che amano la musica del tal gruppo. Noi siamo quelli che credono nel futuro dei Bitcoin.

Queste storie ci permettono di rapportarci con dei perfetti estranei come se fossero amici di lunga data. Se partecipiamo ad una manifestazione o ad un concerto possiamo abbracciare persone che non conosciamo o esultare con loro.

Ma man mano che la comunità di cui vogliamo essere parte si allarga. Man mano che aumenta il numero di possibili storie che possiamo decidere di guardare con favore. Man mano che aumenta il numero di persone che potenzialmente potremmo considerare amiche, fino a comprendere virtualmente tutti gli esseri umani, il cui numero tra l’altro aumenta costantemente, non ce la facciamo più. Non abbiamo più strumenti neanche più per contare questi elementi. Contare le storie. Contare le persone. Figurarsi vagliarle, selezionarle.

E qui, di nuovo, la cultura e la tecnologia ci vengono in aiuto. Abbiamo creato il linguaggio scritto, i libri, i giornali, i media, i social media. Questi ultimi fanno uso di una nuova, pericolosa e potente, magia: l’Intelligenza Artificiale.

Il Wisest Self della nostra specie

Mi chiedo se non stiamo, finalmente, dotando la nostra specie di un’anima.

Accennando, sopra, al nostro discorso interiore facevo notare che l’articolo sul Cocktail party interiore dava per scontato che un Io particolare, più saggio degli altri, un Io unificante, fosse facilmente identificabile. Qualcuno lo chiama Coscienza, forse. O anima.

Se siamo destinati, come penso, a diventare un unico organismo di cui i singoli esseri umani sono le cellule, qual’è l’Io Saggio di questo organismo ?

I pensieri di questo organismo possono essere le varie storie, teorie, memorie, spiegazioni, modelli che, di volta in volta, due o più esseri umani condividono. Ci saranno pensieri che si impongono sugli altri, le idee/storie/miti condivise da più persone. Ma non dovrà essercene anche qui uno che prevale su tutti ? Non uno che prende decisioni per tutti, ma uno che, se ascoltato, tende a dare un senso al tutto.

Ci sono scienziati, forse la maggior parte di quelli che studiano a vario titolo la mente umana, convinti che questa sia il risultato del lavorio delle cellule cerebrali (o intestinali). A me piace pensare che questo wisest self sia esterno alla nostra fisicità. Mi piace pensare che il nostro essere fisico sia semplicemente in sintonia con qualcosa che vive su un piano diverso.

Se ci pensate l’IA rappresenta un’intelligenza esterna alla specie umana. Benché nasca dalla nostra tecnologia si evolve in modi che non comprendiamo. Un’intelligenza, ancora in embrione, che dimostra già le potenzialità per diventare la coscienza della nostra specie.

Deepak Chopra, parlando in un suo libro di argomenti, in qualche modo, legati a questo, fa l’esempio di una calamita sotto il foglio di carta coperto di limatura di ferro. Noi, i nostri neuroni, sono la limatura di ferro, la scienza non sa (ancora ?) vedere sotto il foglio, ma la vera intelligenza, la vera mente è la calamita.

Magari c’è un calamitone anche per la specie umana, magari possiamo metterci in comunicazione anche con lei.

Magari ci ha fatto sviluppare l’IA.

21 lezioni per il XXI secolo

Ho appena finito di ascoltare l’audiolibro di “21 lezioni per il XXI secolo” di Yuval Noah Harari. L’ho trovato molto bello e ho voglia di parlarne. Ringrazio di cuore Antonio per la segnalazione.

Il libro

È un racconto del mondo com’è ora, dei problemi che ha, e di ciò che li ha generati, dell’evoluzione, delle forze che lo stanno cambiando, inclusi i pericoli che corriamo per i prossimi decenni.

I miti

Parla soprattutto di narrazioni. Le storie che hanno plasmato la nostra civiltà. Invenzioni che parlano di cose inesistenti, ma che hanno la capacità di unire le persone in un sogno comune. Storie come il fascismo o il comunismo, ormai cassati dalla storia. E storie che ancora sopravvivono, come il liberalismo, le nazioni o le religioni.

Il libro è, per buona parte, una critica a questi miti residui dell’umanità. Critica composta e avvincente, che cerca di aprirci gli occhi sui pericoli che corriamo procedendo con una visione annebbiata, mentre gravi pericoli sono all’orizzonte.

Le pazzie

L’umanità prende spesso decisioni incomprensibili. Il terrorismo, che temiamo più di quanto dovremmo, visti i danni molto limitati che produce in termini di vite umane, e la guerra che, a differenza di quanto avveniva nei secoli scorsi, non ha più nessun potenziale vantaggio per chi la intraprende.

I pericoli dell’evoluzione tecnologica

Il grosso pericolo da cui Harari ci mette in guardia è connesso all’evoluzione tecnologica. L’evolversi delle tecnologie informatiche e biotecnologiche, l’Intelligenza Artificiale e la manipolazione genetica, aprono scenari in cui la differenza tra classi sociali rischia di esacerbarsi. L’IA, secondo l’autore, sfrutterà la scarsa capacità degli esseri umani di comprendere se stessi e gli altri per diventare il nodo in cui vengono prese tutte le decisioni, ridisegnando la mappa del potere. L’AI sarà aiutata in questo dal diffondersi di sensori biologici che capiranno l’essere umano meglio di quanto lui stesso o altri esperti possano fare.

Democrazia

Il concetto di democrazia è oggi basato sull’idea che le sensazioni degli individui, nel loro insieme, siano in grado di prendere le decisioni migliori. Cosa accadrà quando l’IA conoscerà gli individui meglio di loro stessi e dimostrerà di poter fare meglio di noi nel pilotare le nostre scelte ?

È molto interessante la descrizione del processo che porterà a questo. Processo ineluttabile e già in atto. Le biotecnologie permetteranno la creazione di umani di categoria avanzata, che non si ammaleranno, che avranno una aspettativa di vita più lunga, capacità cognitive, sensoriali e motorie superiori. È facile prevedere che questi miglioramenti saranno esclusivo appannaggio dei ricchi. I detentori delle infrastrutture a supporto dell’IA saranno i nuovi padroni del mondo. Senza contare il rischio che le macchine stesse prendano il sopravvento.

Il concetto di uguaglianza tra esseri umani terrà ancora quando alcuni di noi avranno oggettivamente capacità cognitive superiori ?

Occupazione

In questo percorso la maggior parte dei mestieri umani scomparirà, perché le macchine sapranno fare meglio degli umani quasi tutto, compresi i lavori basati sulla creatività, come comporre musica o scrivere romanzi. L’umanità dovrà affrontare crisi occupazionali senza precedenti, e ripensare, di conseguenza, tutti i processi e gli equilibri economici. La necessità di leggi che impongano un reddito universale svincolato dal lavoro si scontrerà con la necessità di tassare pesantemente i pochi detentori del potere, con inevitabili scontri in cui le classi povere saranno disarmate.

La formazione e la meditazione

E come possono gli esseri umani prepararsi a questi cambiamenti ? Cosa dovrebbero studiare i giovani, ad esempio, per essere pronti per i pochi lavori disponibili domani ? La risposta di Harari è in qualche modo disarmante: non possiamo saperlo.

Come linee guida di fondo suggerisce ai giovani di non fidarsi degli adulti, perché la loro esperienza diventa sempre più inutile in questo nuovo mondo. Suggerisce anche di non fidarsi della tecnologia, perché si rischia di diventarne schiavi. L’unica cosa su cui ha senso investire è sulla conoscenza di se stessi. In quest’ottica è importante l’ultimo capitolo del libro, che parla della meditazione.

Commento

Delle cose che dice Harari mi lascia perplesso anzitutto l’affermare che le sensazioni siano un semplice calcolo biochimico. La scienza non può affermare una cosa del genere. La scienza, finché non sarà in grado di costruire un cervello funzionante, finché non sarà in grado di mettere qualcosa in provetta e farne uscire un’intelligenza indipendente, potrà solo dire di aver capito qualche frammento, come un medico del Medioevo che dissezionava un cadavere. Non siamo molto distanti da lì. Conosciamo qualche dettaglio in più ma non abbiamo la visione completa. Personalmente non credo che la scienza ce l’avrà mai.

Continua a piacermi di più l’idea che il cervello sia una sorta di radio, che comunica con un’intelligenza esterna, non fisica. La mia personale convinzione è che la vita e l’intelligenza esistano su un piano diverso da atomi e molecole.

Altro punto che ho trovato disturbante é la critica alle religioni. Ha ragione secondo me, sul fatto che siano superate, che ormai facciano più danni che altro etc, ma buttando via la spiritualità assieme alle religioni si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca.

Tolta la spiritualità resta un vuoto incolmabile. La spiritualità è una necessità dell’essere umano (in varia misura, magari). Questa mancanza di senso non può essere colmata in modo razionale, né scienza, né filosofia, né psicologia possono farlo.

L’idea di base dell’autore sulla religione

  1. Una cosa non vera che viene creduta da mille persone per un mese è una notizia falsa, una cosa non vera che viene creduta da un miliardo di persone per mille anni è una religione
  2. La grande domanda che gli esseri umani dovrebbero farsi non è “qual’è il senso della vita ?” bensì “come si esce dalla condizione di sofferenza ?”

Perché è una visione troppo limitata

Sul punto 1 sono d’accordo, ma non sul 2.

Sofferenza

Siamo sicuri che la sofferenza sia una cosa sbagliata ? Una cosa da evitare a tutti i costi ?

La sofferenza e l’infelicità, come il piacere e la gioia sono semplicemente sensori di cui l’evoluzione ci ha dotato per farci muovere in una certa direzione. Il dolore e il piacere, che condividiamo con gli organismi più elementari riguardano i bisogni fondamentali, nostri o della specie a cui apparteniamo.

La tristezza e la gioia sono propri di organismi più progrediti, ma sono sensori anch’essi. Ci dicono se le ultime scelte che abbiamo fatto hanno avuto un risultato per lo più positivo (in questo caso la sensazione di felicità ci dice semplicemente “ok, continua così”) o per lo più negativi (e in questo caso la tristezza ci avverte che c’è qualcosa di fondo da cambiare, l’ambiente, le relazioni, il nostro modo di pensare/operare).

La ricerca della felicità in se stessa è una sciocchezza. Quando raggiungiamo una sensazione di gioia essa è per definizione effimera, perché riguarda il passato. Ci dice solo come siamo andati ultimamente. Se ci fermiamo lì, se vogliamo perpetuarla, si trasforma immediatamente in noia, che è il modo dei nostri sensori di dirci che dobbiamo muoverci, esplorare altro.

Pianificare la ricerca della felicità è una cosa assurda. Pianificare è ambito della razionalità, che è la parte più stupida della nostra mente. La razionalità è nata in funzione del linguaggio, è uno strumento di comunicazione, non serve a prendere decisioni corrette.

I limiti di una visione esclusivamente razionale

La razionalità, la logica, sa solo mettere in relazione le conoscenze che abbiamo, che sono infinitamente limitate rispetto all’insieme delle forze che influenzano le nostre vite.

Di fatto le nostre decisioni vengono prese ad un livello molto più profondo, un livello di cui, spesso, non ci rendiamo nemmeno conto.

Harari guarda a cose come le religioni, la spiritualità, la meditazione, con una mente razionale e, semplicemente non le capisce.

Il fallimento delle religioni

Tutto quello che Harari dice è vero, innegabile. Le religioni sono state, spesso, più un male che un bene. Probabilmente perché i loro stessi fautori non ne hanno capito il senso.

Il rischio a cui tutte le religioni sono state esposte (fallendo miseramente la prova) è stato quello di pensare, ad un certo punto, di aver capito, e, di conseguenza, di voler diffondere verso altri questa scoperta.

Ma il diffondere, il fare proseliti, anche quando sia scevro (e non lo è mai) da ricerca di potere o ricchezza, è, spesso, un’operazione basata sul linguaggio, sulla razionalità.

La conoscenza spirituale è per definizione poco chiara, piena di dubbi. Per qualche verso consiste proprio nella capacità di accettare il dubbio, accettare l’impossibilità di capire. Non può essere trasferita ad altri semplicemente con la parola. Se tento di codificare quella conoscenza in modo che sia raccontabile non posso che inventare narrazioni, favole. E non posso che dividere il mondo in amici (i fedeli, quelli che accettano le mie favole) e nemici (gli infedeli, quelli che le rifiutano), e magari prendere le armi contro i secondi. E tutto questo indipendentemente dal fatto che l’idea originaria contenesse o meno qualcosa di valido.

Ma la spiritualità non è quello. Se bolliamo tutta l’elaborazione non razionale come sciocchezza, e le nostre sensazioni come elaborazione biochimica, che magari oggi non comprendiamo, ma che la scienza riuscirà presto a chiarire, creiamo un vuoto incolmabile, ci tagliamo le braccia perché non abbiamo capito a cosa servono.

La spiritualità riguarda certo il dolore e la tristezza, come il piacere e la gioia, ma non per annullare i primi in favore dei secondi. Riguarda la capacità di rendere più sensibili questi e altri sensori e di integrarne le indicazioni. Sì, abbiamo anche altri sensori. Il senso del “significato globale”, che Harari liquida frettolosamente, è lì, forse sviluppato in misura differente tra le varie persone.

La meditazione

Il libro sfugge, in parte, a queste critiche dedicando l’ultimo capitolo alla meditazione. Un capitolo molto bello, tra l’altro.

La butta lì, come racconto di un’esperienza personale che ha trovato vantaggiosa.

Giustamente fa notare che la meditazione, pur essendo nata in seno delle religioni non prevede nessun dogma o atto di fede, ma è un semplice strumento che abbiamo a disposizione per migliorare le nostre vite, la nostra capacità di attenzione. Un allenamento a usare meglio la mente.

Purtroppo, anche qui, nel tentativo di scrostare la pratica meditativa dal retaggio religioso finisce per togliere un po’ troppo. C’è uno sforzo di rendere la meditazione un fatto razionale, e credo sia decisamente sbagliato. Indipendentemente dal fatto che un Dio esista o meno, e dal fatto che questa pratica possa metterci in comunicazione con lui, c’è molto, molto che non comprendiamo, su cui la meditazione getta un po’ di luce. Forse questo molto riguarda la comunicazione con gli altri esseri viventi, forse col passato della nostra specie. Forse sono anticipazioni confuse di cose su cui un giorno la scienza saprà fare piena luce.

In ogni caso io non vorrei perdermi tutto questo.

Non capiremo mai il senso della vita, ma il desiderio di capire ce l’abbiamo, e proprio quello dovrebbe diventare la nostra bussola.

Piazza Statuto

Ci sono i piccioni. Ne ho due che camminano qui davanti. Cazzo!, puoi volare e cammini! Hanno l’aria speranzosa, sì vede che qualcuno gli dà da mangiare qui. Sorry ragazzi, non ho niente.

È bella la gente sulle panchine, nessuno ha fretta. Circa la metà ha uno smartphone, due bevono un’aranciata e si baciano, gli altri guardano nel vuoto: meditano. Anche qualcuno di quelli col telefono medita: c’è uno che lo tiene sul palmo della mano, il dorso poggiato sul ginocchio, lì pronto, ma lo sguardo punta lontano.

Su una delle panchine c’è una gazzetta dello sport. Da sola. Deve essere triste essere una gazzetta dello sport su una panchina vuota. Cerca di afferrare il vento per andarsene, ma riesce solo a sventolare qualche foglio.

Tra un po’ apre la pizzeria, sono arrivato troppo in anticipo. No, forse era segretamente pianificato per stare un po’ qui.

Questi vecchi palazzi su piazza Statuto sono molto belli, non dev’essere male viverci.

C’è una schiusa di insetti. Sono tantissimi. Se guardi in controluce, il sole è basso a quest’ora, lì vedi danzare in mezzo ai pampini. Qualche piccione attraversa questa tempesta per andarsi a posare sulla fontana. Qualche piccione vola dopotutto.

Uno di quelli sulle panchine sembra un clochard, ha un sacco di borse e borsette e sembra piuttosto giovane. Ha anche una ventiquattrore.

Un signore anziano si è alzato dalla panchina, era uno di quelli che guardavano nel vuoto, aria distinta. Penso abiti in uno dei palazzi qua intorno. È ora di cena.

Ho messo via anch’io il cellulare per un po’, perso a guardare l’ultima luce che gioca con la fontana.

Intanto il clochard si è allontanato, ma ha lasciato le sue cose sulla panchina, forse dormirà lì.

Sono arrivati due a sedersi sulla panchina della gazzetta. La stanno leggendo, a volte basta saper aspettare. Discutono ad alta voce di un articolo: non sono italiani, una lingua latina direi. Ai due che si baciavano si è aggiunta una signora che stava facendo foto alla fontana. Credo sia la madre di lei, vanno verso il fondo della piazza, non sono italiani neanche loro.

Devo andare, ho in faccia l’aria instupidita da questa strana bellezza. Come sottofondo andrebbe bene “La sera dei miracoli” di Dalla.

(volutamente senza titolo)

In sostanza volevo solo rispondere ai commenti che ha fatto Vic al post “Piccoli Schrödinger crescono: il credente e l’Option<T>”, ma erano troppe cose per metterle in un commento. E poi, pensandoci bene, quello di cui vorrei parlare è un po’ il Manifesto di questo blog. Quello che davvero vedo come fondamento sia della spiritualità che della tecnologia, e di tutte le cose umane. Talmente centrale che non riesco a trovare un nome: vengono in mente cose come meditazione, zen, ridimensionamento della razionalità, wu wei, consapevolezza, mindfullness e tanti altri, ed è tutta roba che gira intorno al nocciolo della questione senza coglierlo completamente, e, del resto, come potrebbe ?

Colui che sa, non parla; colui che parla non sa

(Lao Tzu, 500 a.C.)

Così il titolo è “(volutamente senza titolo)” con le sue belle parentesotte che ne fanno un metatitolo per un meta post.

Photo by Ollie Walls on Unsplash. 1

Osho

Tra le tante cose che ho letto sulla meditazione, le parole di Osho sono quelle che, secondo me, riescono a dare maggiormente l’idea, e, soprattutto, chiariscono il perché della difficoltà di parlarne. Tutto ruota intorno al concetto di razionalità. Pensare, non so se ci avete fatto caso, è solo una delle tante cose che sappiamo fare. E si può tranquillamente smettere di farla, ogni tanto. E se si smette di farla non si smette di esistere, non si smette di percepire il mondo esterno, e anche (soprattutto) quello interno. Se si smette di farla non si smette di essere capaci di prendere decisioni, non si smette di essere capaci di agire, anzi, sembra che si riesca a fare molte di queste cose meglio.

Osho, a chi obiettava a questa possibilità di smettere di pensare dicendo: “Eh, ma io ho la mente, non posso non pensare”, rispondeva: “Hai anche le gambe, eppure ogni tanto smetti di camminare”.

Smettere di pensare (meditare, per gli adepti) è un atto naturale, che ogni tanto tutti fanno, magari inconsapevolmente, magari guardando un paesaggio fumando una sigaretta, o perdendosi in una danza o guardando negli occhi un amico davanti ad un bicchiere di vino. Molti di noi, però, non hanno la capacità di fare di questa esperienza un fatto abituale, se non centrale, della nostra vita, o semplicemente non ne sentono la necessità. Forse è una cosa che va re-imparata dagli animali (questo, probabilmente, è all’origine dei nomi di tante posizioni yoga), e penso sarebbe bello se fosse insegnata ai bambini. Provo a dirvi perchè.

Il film

Quando pensiamo a cosa ci rende diversi dagli animali, a parte i peli più corti, o l’assenza di penne e artigli, viene in genere in mente l’autocoscienza. Cogito ergo sum, diceva il bravo Descartes: identificava il pensare col pensare a sé stessi, pensare a qualcosa che ci contiene. Perché abbiamo questa capacità? A cosa serve in termini evolutivi?

Serve a interagire con gli altri. E’ il set su cui giro il film che sto proiettando a beneficio degli altri. Le cose che dico agli altri sono tutte in relazione a me stesso, fateci caso, per questo il set deve contenere anche me.

Il linguaggio è il passo successivo, è la distribuzione di questo film.

L’ascolto è una cosa più complicata: gli altri devono diventare personaggi del mio film, devo adattare il mio film in modo che questi attori/altri, questi personaggi-che-non-sono-io nella mia testa, siano coerenti con le parole e il linguaggio non verbale che i miei sensi percepiscono da chi mi circonda. Il passaggio dall’infanzia/adolescenza all’età adulta è sostanzialmente un affinamento di questa capacità di sincronizzare il nostro film con quello degli altri: la versione adolescenziale del film vede il nostro personaggio come assoluto protagonista, col passare degli anni dobbiamo rendere il film compatibile con altri film in cui il nostro personaggio non è il centro del mondo. Quindi, gradatamente, ci ritagliamo parti diverse, fino a che il nostro personale film diventa una delle telecamere di un film più grande, che contiene tutta l’umanità.

Il vantaggio evolutivo di questa nuova capacità, di questa simulazione che ci contiene è proprio il film globale. Il film ci permette di vivere meglio, di essere la specie dominante del pianeta, dopo le zanzare: ci permette di scambiarci le istruzioni per difenderci dalle belve, quelle per scuoiare una lepre e per accendere il fuoco per cucinarla, e quelle per metterne la foto su instagram.

La trappola

Ma il film è anche una trappola. Essere animali sociali è diventato così importante che siamo arrivati a identificare il film con la realtà. Il meccanismo mentale che usiamo per girare il film, il pensiero lento, mediato, soggetto a mille filtri, a mille freni inibitori, utili a fare in modo che il film sia accettabile per la società, è diventato il nostro unico modo di pensare.

1 In quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?» 2 Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

(vangelo di Matteo 18,1-3) 2

Quando il bambino inizia a girare il suo film, e ancor più quando inizia a sincronizzarlo col film degli altri, perde la sua spontaneità, sta perdendo la capacità di pensare correttamente. Per molti il risultato sarà un passare la vita a fingere un personaggio senza nessuna originalità, prodotto solo dal riflesso degli altri attori.

Il Basic

Tanti anni fa sono nati, nel mondo informatico, i cosiddetti linguaggi interpretati. Servivano a permettere agli esseri umani un uso più agevole e più immediato e interattivo delle risorse del computer. Lo facevano simulando una macchina astratta, più adatta alla comprensione umana. Ogni istruzione umana, destinata alla macchina virtuale veniva tradotta in istruzioni per la macchina reale. Questo comportava un dispendio enorme di energie computazionali: un linguaggio interpretato era3 decine di volte più lento di uno scritto nel linguaggio nativo del computer.

Il nostro modo di pensare in genere assomiglia a questi linguaggi: si svolge in questa arena finta (creata dal pensiero stesso, quello vero, che resta dietro le quinte). Questo pensiero simulato, il pensiero razionale, tenta di dare logicamente conto di tutti i suoi passaggi, e contemporaneamente tiene conto dei limiti in cui il nostro personaggio pubblico si muove, tiene conto delle cose che gli è permesso dire, e quindi anche pensare. E, per questo, è lento, terribilmente lento.

Meccanismi evolutivi: il motore di simulazione

Ok, ora dobbiamo fare un passettino indietro. Incartiamo provvisoriamente il set per girare il film e mettiamolo sullo scaffale: dobbiamo montare un paio di altri semilavorati e poi assembliamo il motore completo.

La capacità di crearlo questo set, questa simulazione, è una delle meraviglie di cui ci ha dotato l’evoluzione. Ce l’hanno anche altri animali, ma non così sviluppata. Siamo capaci di simulare le cose mentalmente, prima, o invece, di farle. Non è legato alla razionalità: provate a immaginarvi alla guida della vostra auto mentre imboccate un incrocio leggendo un whatsapp sul telefono, il semaforo è rosso e nell’altra direzione arriva un TIR a tutta velocità. Gustate il rumore dello schianto, delle lamiere e dei vetri fracassati, del vostro corpo schiacciato e dilaniato insieme. Ecco, era un esempio di invece. E, benché io abbia provato a trasmetterlo a parole, non servono parole per provare questa esperienza: si può riprodurre tutta con le emozioni. Se eseguita bene fa anche accelerare il battito cardiaco, e fa passare la voglia di leggere messaggi guidando. Simulazioni analoghe sul cibo producono salivazione e succhi gastrici, sul sesso cose analoghe. Non so se vi è mai capitato di partecipare a quelle cose che chiamano meditazione (credo siano una cosa leggermente diversa), in cui c’è qualcuno che vi guida per una scala in discesa, la porta da aprire, il prato col laghetto e il senso di calma e benessere che ne deriva … stessa cosa: siamo davvero capaci di andarcene con la mente in posti inesistenti, di creare mondi nuovi, di viverne le sensazioni, e le fisicità (credo sia la funzione dei neuroni specchio).

Mettiamo anche questo semilavorato, la capacità di simulazione mentale, sullo scaffale, lo riprendiamo tra breve.

Meccanismi evolutivi: carota e bastone

Photo by pixpoetry on Unsplash

Ad un certo stadio dell’evoluzione nasce la necessità di fare in modo che organismi complessi, ma non ancora sufficientemente intelligenti, perseguano determinati obbiettivi: nutrirsi, riprodursi, difendersi, evitare sostanze tossiche etc … Come si raggiunge questo risultato? Non potendo semplicemente spiegarglielo, perché non sono in grado di capire, si installa in loro il meccanismo dolore/piacere programmandoli perché rifuggano il primo e ricerchino il secondo. Si associano questi meccanismi a determinati ormoni, neurotrasmettitori, e si fa in modo che gli ormoni che determinano la sensazione di piacere vengano prodotti a fronte di azioni da perseguire e viceversa con gli altri.

La nostra mente risponde ciecamente a questi automatismi. In situazioni conflittuali vince la somma algebrica delle sensazioni: rubo la lepre appena cacciata dal vicino (assecondo sensazione piacevole) o non rischio che il villaggio mi si rivolti contro e mi banni (rifuggo da sensazione spiacevole).

In genere non ci facciamo caso, ma la maggior parte delle nostre decisioni viene presa in questo modo.

Le sensazioni di piacere (ma anche quelle del dolore) indotte da questi meccanismi creano dipendenza: le cerchiamo anche nei momenti di tranquillità. Il nostro tempo mentale è in gran parte occupato dalla ricerca di modi per generare le sensazioni piacevoli o è preda ansie, paure, preoccupazioni che sono il nostro pessimistico prepararci a fuggire in anticipo da quelle negative.

Meditazione come riscatto da tutto questo

Ok, prendiamo tutti i pezzi: la capacità di simulazione mentale, il film a beneficio degli altri, i meccanismi automatici che prendono decisioni per noi. Sono tre aspetti che caratterizzano il modo di pensare dell’uomo primitivo. Sono le stampelle che l’evoluzione ci fornisce finché non diventiamo capaci di camminare con le nostre gambe.

Ma si può andare oltre: c’è una saggezza antica che ha ispirato tutte le religioni del mondo e che in anni recenti si è smarcata da qualsiasi connotazione spirituale. Sta imponendo sé stessa come arte di vita, come modo di funzionare meglio. Si chiama meditazione.

Agisce proprio sui tre aspetti di cui abbiamo parlato:

  • Anzitutto aiuta a mettere a fuoco i condizionamenti ormonali. Ci rende consapevoli di quanto siamo in continua ricerca di sensazioni piacevoli e in continua fuga da altre e questo basta a ridimensionare la dipendenza, a renderla meno tirannica.
  • Aiuta a mettere in pausa il dialogo interno. Ci permette di uscire ogni tanto dal set. Girare il film è alla base del nostro essere sociale, non possiamo rinunciarci, ma possiamo usare parte delle nostre energie per essere qualcosa, non solo sembrarlo.
  • Aiuta a usare la simulazione mentale in modo cosciente, come uno strumento che possiamo adoperare quando serve, ma ogni tanto anche posare.

La meditazione ci indica un modo migliore di vivere, sblocca potenzialità inimmaginate.

Tornado alla spiritualità e all’option<T>

Sebbene la meditazione venga utilizzata in modo profiquo anche al di fuori di contesti spirituali, non è un caso che si sia sviluppata in ambiti monastici: l’attenzione ai propri meccanismi mentali, che la meditazione allena, porta a tuffarsi sempre più a fondo in sé stessi, fino a profondità che forse non possiamo più chiamare noi: le radici della pianta. Potremmo parlare di inconscio collettivo, o per chi crede di connessione con un assoluto.

Ritengo che l’esperienza spirituale che si raggiunge attraverso questa pratica sia l’unica degna di questo nome.

Sul piano razionale, sociale, qualsiasi parola riguardante la spiritualità non è altro che un indicazione, una suggestione per riferirsi a queste esperienze, che appartengono al lato non razionale della nostra mente. Per questo dicevo che parlare di fede, parlarne in modo razionale, dovrebbe essere sempre fatto con la riserva dell’incertezza. Credenti e non credenti non possono che parlarne in questo modo: i primi sapendo che non possono dimostrare la verità di ciò che sentono, i secondi sapendo che non possono razionalmente negarla.

  1. La foto secondo me rende bene il problema che la meditazione mira a risolvere: noi mettiamo a fuoco una rappresentazione del mondo. Per quanto bella e raffinata sia, stiamo guardando l’immagine, non la realtà.
  2. Questo identificare il regno di Dio di cui si parla nei vangeli col mondo limpido e scintillante a cui si ha accesso con la meditazione spero non suoni offensivo per nessuno. Tra l’altro è una cosa simile a quella che fa Igor Sibaldi nella sua bella traduzione del vangelo di Giovanni (“Il Codice Segreto del Vangelo”).
  3. Esistono ancora, ma ora son fatti molto meglio.