Quarta Crociata

A casa di Tom e Alina

A Tel Aviv alla densità di rabbini che vedevamo a Gerusalemme si sostituisce quella delle reti wifi. La password del nostro wifi è il numero di telefono di Alina, servisse.

All’autista del taxi Tel Aviv non piace perchè non c’è niente. “There is only the beach”. Vedremo. D’altra parte per lui sono importanti solo i luoghi sacri della cristianità: lui vive di quello. Quando contrattavamo il prezzo ha tenuto a farci sapere che lavora molto a Milano coi francescani, e ci ha chiesto se eravamo cristiani, quasi come patente per essere accolti nel suo taxi.

Cena

Enzo: – Guarda! C’è un Pizza Hut.

Edo: –

Enzo: – Ma è la catena di pizze più famosa al mondo.

Edo: È anche famosa tra gli italiani per fare schifo.

Enzo: Gli italiani hanno la puzza sotto il naso.

Edo: Hanno la pizza sotto il naso.

È finita ad hamburger.

Spesa

Ieri abbiamo comprato un po’ di roba al supermercato. La cosa essenziale erano le cialde per la macchinetta del caffè, ma le ho sbagliate (credevo che le nes-qualcosa fossero tutte uguali, invece le nescafè che ho preso io sono più grandi delle nespresso che accetta la macchinetta). Quindi colazione al bar, c’era un altro gruppo di italiani: siamo dovunque.

Davanti al bar era scoppiato un idrante.

Nella nostra strada, due isolati più in là c’è una casa che somiglia alla Pedrera di Gaudì

Old Jaffa

(ma si dice iafo)

Abbiamo affittato le bici e ci siamo fatti tutto il lungo mare fino alla città vecchia.

Bellissimo.

Ci sono ogni tanto degli spot con macchine da fitness all’aperto (tipo i giochi dei bimbi, ma per grandi, e ci giocano anche i bimbi): mi sembrerebbe un’ottima idea per tutte le città.

All’arrivo alla città vecchia le bici non sapevamo dove lasciarle: tutti gli slot occupati, eccetto tre che erano rotti (qualcuno si è preso le bici a forza, lasciando l’attacco dentro … siamo proprio dovunque).

Mercatini

C’era questo ragazzo simpaticissimo a cui abbiamo lasciato un capitale per dei ninnoli che costavano meno della metà alla bancarella dopo.

E c’era questo negozio di cose artistiche tenuto da due brasiliani a cui abbiamo lasciato cinque capitali per delle donne lunghe di legno e delle galline di terracotta.

Due passi e sei nel mercatino delle pulci, in cui vendono scarpe usate e simili.

Estrema povertà e estrema ricchezza convivono spalla a spalla. Ma è comunque una povertà dignitosa, sguardi segnati e profondi.

Si mangia

Siamo finiti in un posto caro, spero sia buono.

Buonissimo in effetti. È la prima volta che mangio dei falafel che non sono secchi dentro. Davvero buoni. E il cameriere mi ha fatto i complimenti per la scelta.

Stanchi

Ho comprato una tastiera bluetooth con layout israeliano. Non che ci tenessi alla seconda cosa, anche se fa molto “Ce l’ho da quando ero nel Mossad”, l’ho presa per il bt, e ho messo il layout US international, ma per il momento non ho la mappatura dei caratteri accentati, trovero’ il modo. Comunque e’ una figata.

Alla fine, caro tassista, anche se a Tel Aviv ci fosse solo la spiaggia varrebbe la pena venirci e forse viverci (non fosse così costosa … ). Ci siamo divertiti un sacco con le bici, abbiamo girato per i negozi, speso altri due capitali in ninnoli, e visitato la zona con gli edifici bauhaus.

Ci sono un sacco di negozi che vendono oggetti artistici, anche molto belli.

Muezzin

Alla fine avevo capito male, pensavo che, a parte la zona di Gerusalemme che era condivisa tra le tre religioni monoteistice il resto di Israele fosse rigorosamente ebraico.

Invece il miscuglio continua anche qui, la città vecchi è piena di arabi, e ci sono ovunque torrette coi muezzin che cantano. E molte chiese cristiane, in genere antiche.

Cena

Edo ha scelto un ristorante vegano, abbiamo tipo attraversato il mar rosso per arrivarci, ma vedendolo ci è sembrato un po’ tristino, abbiamo scelto la creperie di fianco, tristina anche lei, ma un po’ meno.

A me ‘sta cosa che non si possa avere una crepe prosciutto e formaggio dà fastidio.

Terza Crociata

Oggi ci sarebbe piaciuto andare a Betlemme, ma pare si debba andare fino al confine in taxi, attraversare a piedi uno o due posti di blocco e prendere un mezzo dall’altra parte. Viceversa al ritorno. Troppo: non ci andremo.

Piove e fa freddo. Andremo al monte degli ulivi, in taxi forse.

Intanto lasciamo il Post, mi spiace.

È passata una ad invitarci a una seduta di yoga e meditazione per digerire, mi sa che ci vado.

Prese

Ci sono le prese quasi come in Italia (comunque compatibili coi caricatori).

Taxi

Sembra che i Taxi girino, ma al sabato costano il doppio.

Sa che prendiamo un pullman. Io avrei preferito andare a piedi.

Pulman

Bisogna prendere il 275. Gentilissimi per le indicazioni. Il biglietto costa circa un euro e paghi quando vuoi: puoi pagare mentre sali, se l’autista è già lì, oppure prima di uscire, oppure ti alzi durante la corsa, mentre l’autista sta guidando, vai da lui, lui smette di guidare (il bus non smette di andare avanti), gli dai i soldi e lui ti dà il biglietto e il resto.

Fermate

Il concetto di fermata è virtuale. Le fermate ci sono, Edo con moovit le vedeva ed ha anche capito dove scendere. Qualcuno aspettava il pullman in strada e l’autista si è fermato e l’ha fatto salire, ed ha anche fatto scendere gente (al volo, con la porta aperta senza fermarsi, devo dire). Ma nei posti in cui la gente saliva e scendeva non c’era nessun segnale. Si sa che lì c’è una fermata.

Monte degli olivi

Non c’è niente. Si vede Gerusalemme dall’altra parte della valletta. Un cimitero di lapidi senza foto, qualcuna senza nome. Riscendiamo in pullman.

Spianata delle moschee.

Tentiamo di andarci, non so cos’è.

Ehi, ferma mentre sto scrivendo mi ha circondato un gruppo di giapponesi con guida. Si sono seduti sulle panchine attorno alla mia (qualcuno anche sulla mia) e hanno letto insieme ad alta voce, in inglese, il vangelo del paralitico di Bethesda (sono di fronte alla piscina), ora la guida (deve essere un prete) sta spiegando il miracolo paragonando la malattia al peccato. Ora continuano a leggere. Forse non sono giapponesi, asiatici comunque. Ho proprio la guida che mi parla nelle orecchie, situazione un po’ strana, ma qui è tutto strano. Il prete sta ripetendo la storia che Gesù ci salva dal peccato originale. Come ha preso piede ‘sta storia, non c’entra niente col vangelo. Se Gesù apparisse qui adesso lo prenderebbe a ombrellate in testa.

Cantano Amazing Grace. Intonati. Amen. Se ne vanno. Ho chiesto a una di loro: erano di Singapore.

Dicevo che volevamo andare alla spianata delle moschee, ma non ti ci fanno andare, non so perché, sembra che oggi sia chiuso.

Souvenirs

Ci siamo fatti l’ennesima traversata del mercato nella città vecchia. Camminando a velocità pollo-da-spennare, ne siamo usciti con due ombrelli, un mezuzah (oggetto di culto ebraico), due magnetini shalom da frigorifero, un paio di reebook per Lory (“le scarpe più comode che abbia mai avuto”) e svariati shekel di meno in tasca.

Cenacolo No

Abbiamo incrociato un gruppo di italiani di Pisa e del Lago di Garda. Andavano al cenacolo. Li abbiamo seguiti per un’ora, sbagliando strada varie volte. Avevano la stessa guida di Fabrizio e Dona.

Alla fine siamo arrivati ad un rockfeller museum all’interno del quale ci doveva essere il cenacolo, ma non ho capito perchè non ci siamo andati … troppo stanco.

Getsemani (ma lo scrivono diverso)

Eravamo sulla strada e ci siamo trascinati fin lì.

Strana cosa questi posti simbolo. Come fai a conservare per duemila anni un albero d’ulivo, la sala di un ristorante, una mangiatoia, una piscina ? Ci costruisci una chiesa, magari qualche centinaio di anni dopo, e quella chiesa va in rovina e allora gliene fai un’altra sopra e va in rovina anche quella, e allora un’altro gruppo di fissati né fa un’altra sopra la tua e allora ti metti a bisticciare con questi qua dicendo che il posto era prima tuo …

In questi posti ci vedi qualcosa solo se ce l’hai dentro, sono come le fermate virtuali del pullman.

Verso Tel Aviv

Usciti dal Getzemani abbiamo trovato un taxi, che per 700 shekel ci ha portati a Tel Aviv. Insisteva per portarci a Betlemme, dice che lui faceva servizio religioso e al confine non lo fermavano. Gli ho detto che eravamo stanchi e comunque a Betlemme avremmo visto solo un’altra chiesa. No, secondo lui c’era proprio la mangiatoia, quella mangiatoia

Seconda Crociata

Mercato

Siamo andati al Mahanè Yehuda Maeket. In teoria c’eravamo già stati ieri sera perché abbiamo cenato lì vicino, ma il mercato era chiuso.

Io ho sempre avuto un rapporto conflittuale coi mercati, come con tutti i posti in cui le code non sono ben definite e la gente urla, ma devo dire che sia questo che quello di Barcellona mi sono piaciuti. Vendono molto street food, in effetti c’è più quello che prodotti da portar via. Ed è molto dedicato ai turisti, anche se gente locale ce n’è tanta. Un sacco di semi, noci, fragole enormi, melograni ancora più enormi e pompelmoni. E coppolette di lana, e succhi d’arancia e melograno, e dolci molto invitanti.

Commozione

Comunque ripensando al museo, sono uscito con gli occhi lucidi, anche altri.

Non mi sembra cosa da poco, per un evento così lontano nel tempo e di cui si è ormai sentito parlare in tutte le salse. Ma rimangono impressi gli oggetti appartenuti alle persone, le foto che avevano in tasca. La vasca con le scarpe delle vittime colpisce molto. La struttura stessa dell’edificio trasmette angoscia: questo lungo procedere verso l’uscita che vedi dall’inizio, ma il cammino è ostacolato da mille trincee che dovrai attraversare. Bravi, davvero bravi.

Anche il procedere del racconto è un crescendo di angoscia e orrore: l’incredulità, all’inizio, per la teoria sulla razza, che bolleresti come semplicemente ridicola, poi i ghetti, le deportazioni, i campi di sterminio, la marcia della morte, gli uomini scheletro recuperati dai lager.

Ho comprato una graphic novel basata sul diario di Anna Frank.

Muro del pianto

Doveva esserci una preghiera per l’inizio dello shabat. L’abbiamo mancata credo, perché siamo stati un po’ lì, non succedeva granché e siamo andati via. Eravamo già lontani che abbiamo sentito dei canti, anche belli, dagli altoparlanti in giro per la città, peccato.

Comunque mentre eravamo lì abbiamo assistito a quella che, capisco ora, era la preparazione.

C’era gente che pregava contro il muro. Uno che si buttava contro il muro, facendosi male direi, e un altro che cercava di fermarlo.

Un gruppo numeroso era disposto in due cerchi concentrici e danzava cantando. Bello vedere gente che canta e danza, anche se è stato inquietante accorgersi che la metà dei danzanti era in tuta mimetica, con un mitra appeso alla spalla e una pistola alla cintura.

Mitra

La visione dei mitra è ricorrente. Nella piazza del muro del pianto c’era un discreto numero di soldati, senza contare che devi attraversare un controllo di sicurezza per entrare (ti aprono zaini e borse senza farsi problemi). Girando per la città vecchia è frequente trovare coppie di soldati, giovani, in genere un ragazzo e una ragazza col mitra in spalla e uno schermo dietro cui rifugiarsi in caso di attacco. Una delle ragazze non dimostrava più di quindici anni.

Santo sepolcro

Sono davanti al santo sepolcro. Fa un’impressione simile a quella di Lourdes o altri luoghi dove la religiosità popolare impera. Per lo meno gli addobbi sono kitsch allo stesso modo.

Sarei contento di vedere davvero i posti in cui Gesù di Nazareth ha vissuto, i luoghi di cui si parla nei vangeli. Non so quanto possano essere questi. Ho idea che i primi cristiani avessero altre preoccupazioni, e dubbi su quello che era davvero successo, e non reputassero così importante il feticismo delle vestigia fisiche della vita di Gesù. Tutto qui è diventato luogo di culto in anni successivi.

Una nota positiva è che è uno dei pochi posti in cui tutta la cristianità si riconosce, in cui non è divisa per sottigliezze teologiche o di potere.

Prima Crociata

Il viaggio

Check-in

Forte! Al gate ci sono i rabbini con la barba e i cappelli strani. Devo capire come si chiamano, i cappelli, non i rabbini. Uno era tipo quelle coppolette dei cardinali, che non sai come stanno su. L’altro era così

Volo

Il video di ElAl per dirti come chiudere le cinture o dove sono le uscite è molto bello: usano un sacco di trovate per renderlo meno noioso (il mentalist col 7 di cuori che vedi alla fine, l’aereo di carta in prospettiva, la tipa che raccoglie l’ombra … insomma fantastico devo cercarlo su google)

Ora danno un film coi sottotitoli in ebraico (immagino che l’audio sia in inglese, immagino si debbano usare le cuffie per sentirlo, ma ora non ne ho voglia).

Prima si vedeva la cartina con l’aereo. Malpensa è a 2770km da Tel Aviv.

Chissà se ci danno da mangiare.

Pranzo

Appena l’ho scritto hanno portato dei panini si poteva scegliere tra sandwich all’arrosto e qualcosa che non ho capito. Ho risposto “sandwich”, ma ho scoperto che la seconda cosa era un sandwich anche lei, per cui non so quale delle due mi abbiano dato. Gusto strano. Forse è il cibo kosher. Lory l’ha avanzato.

Il rabbino blu

Davanti c’è uno con la coppoletta da cardinale, ma blu.

Sta in piedi, nel vano dove ripostigliano robe grosse. Ha appoggiato un tablet sul counter e legge. Credo stia pregando, tipo breviario.

Siamo arrivati

Mai visto un atterraggio così brutto.

Cena

In qualche modo siamo riusciti ad ordinare. Ho azzeccato lo starter, delle melanzane arrosto buonissime e sbagliato il secondo (agnello tritato nel pane pita, ma non avevo capito che lo tritavano). Dolci, buonissimi, musica arabo moderna fortissima.

Il Post Hostel è molto simpatico, tutto caruccio comunque (nel senso che costa tanto).

Notte di merda e colazione affollata.

Non ho chiuso occhio tutta la notte. Riscaldamento alto e piumone.

Colazione buffet con yogourt fiocchi e frutta buoni ma coda al caffè (c’erano anche uova al tegamino e verdura, magari domani provo).

È un posto con un bel feeling: oltre alle camere, che sono quello che sono, c’è questo grande spazio comune in cui oltre a mangiare la gente sta durante il giorno a leggere e ciaciarare. Ieri sera c’era su un divanetto un travestito bruttissimo con due coscione oscene di fuori, un po’ fatto credo, non sembrava molto presente. C’è anche musica live di sera. In media più giovani di noi gli ospiti.

Visita all’holocaust museum

Qui non ti fanno fotografare ma c’è il gioco The swastika’s Race to Victory, una specie di gioco dell’oca (da cui il passo probabilmente).

Ma Hitler non salutava col braccio allungato: faceva il braccino corto e alzava timidamente la manina in su.

Dà da pensare lo strappo psicologico subito dagli ebrei tedeschi che si erano integrati nella cultura tedesca. Questa li ha gradatamente estromessi e rifiutati.

Guardavo le foto di questi che hanno partecipato al meeting del 20 gennaio 1942 in cui è stata decisa la soluzione finale. Cercavo la cattiveria in quei volti, ma non c’è. Sembrano persone normali, pratiche, efficienti. Quelle che trovano le soluzioni, appunto. Qualche faccia un po’ più stupida forse, qualcuna più opportunista. Avremmo potuto esserci noi lì e avremmo fatto la stessa scelta.

Che incredibile organizzazione, pianificazione per questo sterminio.

Perché non si ripeta

Penseresti che sia di per sé cosa buona organizzare il lavoro di tante persone per un fine. Viene da pensare che i soldati avrebbero dovuto opporsi ad ordini inumani. Ma è anche di per sé un bene che molti possano eseguire ordini che non comprendono: è l’unico modo di sfruttare le decisioni dei pochi che sanno. In altri frangenti ha funzionato. Dov’è il male allora ? Cosa bisogna fare perché la pazzia non si ripeta ?

Forse un museo come questo può contribuire, ma penso che il problema alla base sia di prendere collettivamente coscienza del fatto che l’efficienza, la razionalità stessa sono solo strumenti, spesso limitati, non possono diventare fini. Non ha senso rincorrere il massimo dell’efficienza. I tedeschi di fatto hanno fatto questo. La supremazia raziale, pensiero disturbato, d’accordo, ma è ricerca di efficienza. Non è tanto il fine il pericolo, quanto l’utilizzo di uno strumento che quel fine aberrante non ti permette di mettere in discussione. L’efficienza è uno strumento, un’ arma, spesso a doppio taglio. Gli strumenti che ha senso usare per migliorare l’umanità sono ormonali, dolci, dubbiosi, disobbedienti. Hanno una loro anima, come il pennello del pittore o uno strumento musicale: l’artista può imprimere una sua direzione, una sua volontà solo accettando i limiti dello strumento e collaborando con esso.

Battutadelcazzo

Ma gli armeni dopo che li hanno sterminati si chiamano arfiù ?

Bici

Un sacco di bici elettriche pieghevoli in giro.

Non a pedalata assistita, con l’acceleratore. Molte col seggiolino porta bimbi, alcune con due. Tutte col portapacchi, son veramente usate al posto delle macchine.

Benché siamo capitati nei giorni più freddi che abbia visto questo paese da quando esiste ne girano molte.

Ebraico

Per creare questo linguaggio hanno acceso randomicamente i led di un display a sette segmenti, tutte le combinazioni che non avevano senso negli altri linguaggi le hanno messe in questo.

Evoluzione contro Cultura – 1

E non avrò paura se non sarò bella come dici tu
Ma voleremo in cielo in carne ed ossa
Non torneremo più
Na na na na na na
E senza fame e senza sete
E senza ali e senza rete voleremo via

Francesco De Gregori, La donna cannone

Vorrei iniziare questa chiacchierata con un disegno.

Provo ad unire alcuni punti, alcuni aspetti della nostra vita, in una maniera credo originale. Forse sorprenderà qualcuno l’idea di tirare un filo conduttore tra alcune di queste cose.

Il discorso di Robert Pirsig, il chautauqua di “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, riguardava sostanzialmente il rapporto tra arte e tecnologia, tra pensiero classico e romantico. Io vorrei parlare di quella che mi sembra una lotta, in corso ormai da millenni, tra i meccanismi evolutivi che hanno portato l’uomo a essere ciò che è oggi, e la sua Cultura.

La nascita, nell’uomo, della razionalità e la conseguente autocoscienza e di seguito la tensione a prendere il mano il proprio destino potrebbe essere un prodotto dell’evoluzione 1, che lo sia o no si traduce in un conflitto con i meccanismi installati dall’evoluzione stessa.

Userò il termine Cultura con la maiuscola, per indicare qualcosa di estremamente ampio. Avrei potuto usare Autocoscienza, o Pensiero, o Razionalità, ma Cultura mi sembra abbracci più aspetti, compresa la storia, l’elaborazione effettuata da tanti individui nel corso del tempo: è con questa che facciamo i conti noi oggi.

I punti

I punti che cercherò di connettere riguardano alcuni aspetti della nostra vita in cui i meccanismi evolutivi ci indirizzerebbero a comportamenti opposti a quelli richiesti dalla Cultura.

L’evoluzione ci ha guidato in modo egregio fin qui, lo ha fatto dotandoci di riflessi automatici che reagiscono agli stimoli dell’ambiente intorno a noi e anche a quelli prodotti dal nostro organismo. Questa cosa ci attira, ci piace perché ci fa bene, quest’altra, che ci danneggerebbe, la troviamo repellente.

La Cultura è apparsa dopo, ci rende orgogliosi al punto di identificarci spesso con lei, ma ci plasma, ci domina, ne subiamo le pressioni. La Cultura ci spinge a scelte, spesso in conflitto con gli automatismi di cui ci ha dotato l’evoluzione.

Quello che noi davvero siamo è il campo di battaglia tra queste due forze, tra i geni e i memi 2, entrambi ci usano per selezionare i migliori tra loro.

Obesità

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Pensate ad esempio al giro vita. L’evoluzione ci ha programmati per sopravvivere in un mondo con una bassa (e soprattutto non continua) disponibilità di cibo. Siamo, come tutti gli animali, fatti per riempirci senza freni ogni volta che è possibile. E preferiamo i cibi ad alto contenuto calorico, i dolci, i grassi. Siamo dotati di un sanissimo meccanismo che ci fa ingrassare: è il modo in cui accumuliamo l’abbondanza temporanea di cibo per i momenti in cui ce ne sarà meno. Noi ingrassiamo perché discendiamo da gente che grazie alla capacità di ingrassare è sopravvissuta a delle carestie: chi non ha sviluppato questa capacità è morto, e i suoi eredi genetici non sono tra noi.

Nel mondo in cui viviamo oggi questa capacità non serve più. Ci siamo organizzati in modo da assicurare alla maggior parte della popolazione 3 una disponibilità di cibo continua e superiore alle esigenze caloriche. A questo punto quello che era un vantaggio evolutivo (la tensione ad ingerire cibo oltre necessità e la capacità di immagazzinarlo) diventa uno svantaggio: le energie dedicate alla ricerca, preparazione e consumazione del cibo possono essere meglio destinate ad altro, la massa di grasso dovuta all’immagazzinamento diventa un peso inutile da trasportare, ci rende meno agili, alla lunga (non venendo mai smaltita perché non ci sono più i periodi di carestia) crea problemi di ogni tipo.

Poco male, ma abbiamo fretta

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Non è di per sé un gran dramma. L’evoluzione sa affrontare questo ed altro. Un po’ alla volta qualcuno svilupperà tratti genetici più adatti alla nuova situazione: meno attrazione per il cibo, metabolismo più veloce, migliore autocontrollo. Questi individui funzioneranno meglio, si accoppieranno più facilmente tra loro, nasceranno sempre più individui con questi tratti e il problema si risolverà da solo.

Ma l’evoluzione procede per tempi lunghi 4. L’evoluzione è prudente, aspetta che le situazioni si siano ben stabilizzate prima di fare cambiamenti radicali, e comunque manterrebbe qualche grasso, just in case.

La Cultura invece ha fretta, coglie il problema e lo vuole risolvere, possibilmente nell’arco di una generazione (questo è un suo grosso limite, ne parleremo). La Cultura ci vuole magri da subito. Crea memi, mode. Orienta i nostri filtri di selezione del partner. Le prossime generazioni saranno principalmente composte da geni adatti al nuovo stato di benessere, la cultura in questo caso va nella stessa direzione dell’Evoluzione, e la accelera (vedremo che non è sempre così).

Stress

Ma questa situazione genera sofferenza: essere soggetti a due tensioni opposte è una delle peggiori cause di malessere per l’essere umano.

La Cultura stessa, tra l’altro, ci spinge verso un edonismo sfrenato, il carpe-diem (di nuovo, la fretta), che bolla qualsiasi forma di rinuncia, anche alimentare, come sbagliata.

Il risultato è che, a parte pochi fortunati dal metabolismo accelerato, che possono mangiare quanto vogliono senza ingrassare, tantissimi di noi vivono bilanciando calorie e soddisfazione da cibo, e nei momenti di maggiore stress (quando aumenta la richiesta della seconda) cominciano a lievitare.

Medicina, Chirurgia e Manipolazione genetica

La medicina già offre soluzioni (ad esempio chirurgiche) per ridurre il problema almeno nei casi più gravi, oltre a una marea di pillole e pozioni e indicazioni.

Il limite di queste soluzioni, a parte gli inevitabili rischi di effetti indesiderati, è che si fermano all’individuo, i loro effetti non sono ereditabili.

Se l’umanità vorrà davvero accelerare in tempi brevi il corso dell’evoluzione l’unica strada perseguibile sarà la manipolazione genetica: finiremo per modificare il nostro DNA con un Fast Forward evolutivo, che doterà le nuove generazioni di un corredo di geni più adatto al mondo in cui dovranno vivere.

Ovviamente questo non è ora il sentire comune, ma sarei pronto a scommettere che le attuali remore sulla genetica saranno superate velocemente e che andremo in questa direzione.

Una guerra globale

L’esigenza di restrizione calorica è solo uno dei tanti fronti su cui si consuma questa lotta tra l’Evoluzione e la razionalità umano che pretende di prendere il timone.

Nei prossimi post proveremo a guardarne altri.

    1. Credo che la maggior parte degli scienziati appoggino questa ipotesi, forse non tutti. È comunque una delle cose che vorrei approfondire.

 

    1. meme è un termine proposto da Richard Dawkins nel suo “Il gene egoista” per indicare questo passaggio tra l’evoluzione fisica e quella culturale.

 

    1. il fatto che non sia tutta la popolazione è un altro dei punti su cui merita riflettere. È esso stesso uno dei punti della lotta Evoluzione/Cultura.

 

  1. Probabilmente è una fortuna, perché questa nuova generazione di super magri non dovrebbe nemmeno aspettare una carestia: si estinguerebbe al primo sciopero dei supermercati.

Chautauqua

Quest’anno vado prima al mare
così ho tempo per pensare
e faccio scorta di pensieri che non bastano mai
ne voglio quattro sull’amore, due sul fatto che si muore
voglio avere tutto chiaro, giuro, vedrai


(Daniele Silvestri, Frasi da dimenticare)

Il vero motivo della nascita di questo blog è che Aruba aveva in sconto la creazione del sito, compreso di dominio … non ho saputo resistere.

Una concausa è che da tempo mi trastullavo con frammenti di idee su una serie di cose, e con la voglia di scriverle da qualche parte. Una cosa tutto sommato per me, per metterle meglio a fuoco, e magari per trovare altri con cui parlarne.

Chautauqua arriva da “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, sicuramente uno dei più bei libri che abbia letto. Il Chautauqua è un lungo discorso filosofico che il protagonista fa con sé stesso mentre, assieme a suo figlio e un paio di amici, attraversa in moto una lunga fetta degli Stati Uniti.

E’ il tipo di cosa che vorrei fare 1: mettere in ordine un po’ di riflessioni, magari approfondirle, discuterne con qualcuno che ne avesse voglia.

L’Asceta

E cosa c’entra il titolo del blog ? Mi piaceva più che altro il gioco di parole 2, che richiama la fatica di scegliere cosa dire prima (e come dirlo) e un certo isolamento, una fuga controllata dai posti in cui si è in troppi e le parole non risuonano.

Per me l’asceta è chiunque sia in qualche modo interessato a temi legati alla spiritualità, e, visto che vorrei parlare molto di questo, mi sembra ci stia bene nel titolo.

L’asceta è una parte di chiunque, una parte importante dell’Uomo.

E, ovviamente, qualsiasi asceta è imbarazzato. Perché la spiritualità è impalpabile, sfuggente, quando se ne parla si può solo balbettare.

Estoy embarazada

Ma imbarazzato mi ricorda anche il significato spagnolo. L’asceta in fondo è creativo, le sue idee vogliono figliare, diffondersi.

Benvenuti, quindi, in questo mio angolino. Se vorrete tornare ogni tanto a prendere un tè e fare due chiacchiere siete i benvenuti.

  1. Sì, anche il giro in moto negli States, ma qui parlo del discorsone. ↩︎
  2. Anche se, cercandolo con google ho scoperto che è presente nella pagina Facebook di Scilipoti Gasp!, ma non sembra aver elaborato molto il concetto, per cui non so cosa intendesse. ↩︎