Carlo Rovelli e la guerra

creato da Midjourney in base al testo "Machine gun shooting at the Constitution"
creato da Midjourney in base al testo “Machine gun shooting at the Constitution”

Rovelli

Nelle ultime settimane ho visto rimbalzare diverse volte sui social questa riflessione di Carlo Rovelli sulla guerra in Ucraina.

Rovelli sottolinea l’ipocrisia dell’Occidente nell’ammantare di

belle parole: democrazia, libertà, rispetto delle nazioni, pace, rispetto della legalità internazionale, rispetto della legge

la decisione di intervenire contro l’invasione perpetrata dalla Russia ai danni dell’Ucraina, quando è chiaro che l’Occidente

non vuole una soluzione, vuole fare male alla Russia.

Penso che Rovelli abbia ragione. Nell’articolo cita numerosi esempi del comportamento dell’Occidente che evidenziano la nostra impostazione imperialista.

Rovelli ha ragione su tutto questo, ma non trae conclusioni esplicite. Non dice, ad esempio, che dovremmo cessare gli aiuti militari a Zelensky. Si può pensare che lo dica implicitamente, e, immagino, che chi ha riproposto questa riflessione la intenda in questo senso.

Io sul trarre questa conclusione non sono d’accordo.

Harari

Yuval Noah Harari, nel suo bellissimo Sapiens, parla degli imperi come di una delle forze che hanno contribuito, nel corso almeno degli ultimi 2500 anni a organizzare l’umanità in insiemi sempre più vasti.

Queste unificazioni sono costate lacrime e sangue. Sono avvenute attraverso lo sterminio di intere popolazioni, attraverso l’oppressione, le deportazioni, i genocidi. Se pensate che queste non siano belle cose sono d’accordo con voi, ma questo è quello che è stata l’umanità fino ai nostri tempi, e la storia recente dimostra che non ne siamo ancora usciti.

A fronte di questa moneta di orrore con cui abbiamo pagato la nascita e la prosperità degli imperi abbiamo ricavato dei benefici non da poco. Ogni volta che un impero ha invaso una popolazione è avvenuta una fusione di due culture. L’insieme più grande che ne è nato viene salutato dalla Storia in modo positivo. L’impero che impone una lingua comune a tutti i suoi territori pone le premesse per la nascita di una civiltà migliore per tutti. Gli scambi, anche culturali, i commerci, le strade, l’arte, il benessere economico generale finiscono per guadagnarci.

guerre

La sensibilità comune, soprattutto nel mondo occidentale, si era illusa negli ultimi 70 anni di aver eliminato la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Questa illusione è stata in gran parte frutto dell’ipocrisia denunciata da Rovelli, perché le guerre ci sono state eccome, Rovelli ne cita parecchie, e molte sono state condotte dall’impero Occidentale.

La minaccia dell’escalation nucleare ha di fatto imposto questa ipocrisia. Non sono stati più possibili scontri diretti tra i grandi blocchi, ma quelli striscianti hanno continuato ad esserci, sia durante la guerra fredda che dopo la caduta del Muro.

Il fatto è che gli imperi ci sono ancora e noi facciamo decisamente parte di uno di essi, il blocco occidentale. E fuori dai nostri confini ci sono altri imperi: quello Russo e quello Cinese, che potremmo considerare sull’orlo di fondersi, e altri minori.

È implicita negli imperi la tensione a prevalere, a fagocitare gli altri. Non è possibile negare questa realtà. Queste tensioni non cesseranno finché in qualche modo tutta l’umanità sarà sotto il controllo di un unico governo. E dobbiamo augurarci che questo, in un modo o nell’altro avvenga in fretta, perché problemi come la crisi climatica o lo spreco di risorse si possono affrontare solo a quel livello.

Sarebbe bellissimo essere capaci di arrivarci in modo dolce, senza l’uso della violenza, attraverso la diplomazia, la globalizzazione economica e culturale, attraverso la politica. Ma se guardiamo anche solo all’Italia, alla difficoltà di cedere sovranità da parte delle regioni allo stato centrale, alle continue spinte localistiche, è chiaro che non siamo ancora pronti per andare in quella direzione.

per quale impero tieni ?

Forse è il caso che ognuno di noi si chieda, a questo punto, di quale impero preferirebbe far parte. O almeno di chiedersi quale impero abbia le migliori probabilità di vincere, perché anche questo è un criterio: trovarsi dalla parte sbagliata della Storia implica dover ammettere un giorno di aver rallentato il processo di unificazione.

Gli imperi di oggi non coincidono necessariamente con collocazioni geografiche. Oggi, grazie alla globalizzazione diventa tutto un po’ trasversale. Forse addirittura in ognuno di noi convivono due o tre prospettive alternative.

l’impero Occidentale

Da una parte abbiamo l’impero Occidentale, che promette un sistema in cui le scelte sono, in qualche modo, espressione dei cittadini, in cui gli individui sono tutelati nei confronti del potere centrale, in cui il vero potere non è detenuto da qualche persona, ma da un insieme di regole, una Carta Costituzionale, a cui tutti sono tenuti ad adeguarsi. Carta derivata da Principi inderogabili.

Un sistema, soprattutto, in cui c’è libertà di espressione, in cui non si viene arrestati per motivi ideologici, per aver espresso posizioni critiche verso il potere.

Non è privo di difetti.

Da una parte c’è quello denunciato da Rovelli: l’ipocrisia. Le cose non stanno nei termini ideali enunciati sopra. Quei Principi non sono praticamente rispettati, i cittadini non partecipano, i governanti sono una Casta che si ammanta di paroloni per fare scelte in gran parte tese ad alimentare i privilegi di chi sta al potere e degli amici suoi.

Dall’altra quei Principi stessi rendono il sistema molto fragile:

    • l’estrema libertà di espressione rischia di far prevalere posizioni di intolleranza che vanno espressamente contro gli stessi Principi democratici. La libertà di espressione rischia di demolire il castello.
    • la difficoltà di mediare posizioni diverse provoca rallentamenti e impasse, un sistema democratico è sicuramente meno agile ed efficiente di uno autoritario. Le minoranze restano scontente, ma anche la maggioranza non vede spesso grandi benefici a causa delle decisioni lente e poco nette. Questo scontento alimenta poi il punto precedente e il tutto rischia di cadere. Una democrazia vera è difficilissimo tenerla in piedi. Richiede una grande maturità dei cittadini, che devono veramente adorarla in quanto tale per farla funzionare. E spesso non è così. Tra l’altro è il motivo per cui non la si può imporre.

gli imperi fascisti, come Russia e Cina

Sulla carta anche questi sono sistemi democratici. In questi paesi si vota e si eleggono i governanti. Il fascismo nasce sempre da una democrazia che non funziona.

Il punto fondamentale a cui si è rinunciato è quello della libertà di espressione. Dove si può essere arrestati per aver espresso posizioni antigovernative (come nel caso di Alexei Navalny) l’ipocrisia democratica viene eretta a sistema. Si possono conservare le forme esteriori della democrazia, ma di fatto viene creato un sistema in cui chi è al governo fa quello che crede, il consenso viene acquisito con la violenza e la corruzione.

Sono sistemi sicuramente più stabili, il potere ha tutti gli strumenti per perpetuarsi. Sono sistemi più agili nelle decisioni. Hanno anche loro necessità di mediare, non più con i cittadini, ma con le oligarchie corrotte che lo sostengono e con la necessità di finanziare le loro inefficienze.

In genere crollano per eventi esterni, o per decisioni avventate dei leader o soffocati dalle difficoltà economiche provocate dalla corruzione.

neutralità

C’è una terza scelta rispetto allo schierarsi con un mondo o con l’altro: restare neutrali. Scegliere di ritagliare il proprio paradiso (che spesso diventa anche paradiso fiscale). Tagliare i legami e rimanere equidistanti da tutti. Difficilissimo riuscirci. Chi ce la fa finisce per diventare una specie di parassita globale. Non è una scelta che caldeggerei.

Credo che sia latente, inconscia, in chi assume una posizione non interventista.

condizionatori o guerre ?

È inevitabile che l’impero Occidentale abbia mire espansionistiche ? E, se così è, condividiamo questa scelta ?

Nel caso dell’Ucraina la scintilla che ha scatenato l’invasione Russa è stata la decisione di un governo sovrano di aderire spontaneamente alla Nato. Non la si può necessariamente vedere come una manovra espansionistica dell’Occidente. Ma ci sono stati sicuramente casi in cui queste manovre ci sono state. Il voler imporre la democrazia nei paesi arabi è sicuramente stato un mascherare con belle parole l’accaparramento di risorse energetiche, e molti dei casi citati da Rovelli sono dello stesso tipo.

Si è trattato di decisioni democratiche ? I cittadini occidentali hanno davvero deciso di aggredire altri paesi per pagare di meno la benzina ? Forse non proprio direttamente e coscientemente, ma direi che la risposta è sì.

L’impero Occidentale ha abituato i suoi cittadini ad un tenore di vita superiore a quello medio nel resto del mondo, ed è molto difficile per le forze politiche che si rendono conto di questo squilibrio, e ambirebbero a calmierare questo scompenso, essere elette. È già difficile tenere in piedi la democrazia, costruire una democrazia illuminata che ragioni tenendo conto dei problemi di tutto il mondo lo è ancora di più. Anche se sarebbe l’unico mezzo per arrivare in modo non violento ad un governo mondiale.

La reazione negativa di molti alla battuta di Mario Draghi

Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?

è esemplificativa di questa difficoltà.

Secondo me bisogna lavorare per costruire questo tipo di maturità e sensibilità, ma finché questo percorso non avrà dato i suoi frutti non possiamo che accettare questi episodi.

Le alternative possibili/reali sono molto peggio.

Quelle Cinque Stelle

Photo by Clay Banks on Unsplash
Photo by Clay Banks on Unsplash

Morning

Nella puntata di Morning, il podcast de Il Post condotto da Francesco Costa, di stamattina c’è una bellissima introduzione che parla del fenomeno Movimento Cinque Stelle. Sentitela, credo valga da sola l’abbonamento.

L’introduzione tenta un bilancio dell’avventura di questo movimento, facendo notare che, comunque la si pensi nel merito dei temi proposti e delle scelte fatte, è stato senza dubbio un successo politico. Nell’arco di quindici anni, che è molto poco rapportato ai tempi in cui normalmente un partito riesce a incidere sulla società, sono riusciti a proporre all’elettorato una serie di questioni, a farsi votare, e a realizzare soluzioni concrete a quei problemi. Soluzioni richieste da chi li aveva votati. Sono stati un esempio di democrazia che ha funzionato.

svecchiamento

Tra i temi portati avanti dal movimento viene citato lo svecchiamento della politica, l’ingresso di tanti giovani in parlamento. È un tema molto caro a Francesco che ce l’ha un po’ coi boomers. Essendo io un boomer condivido poco l’entusiasmo su questo, ma il ricambio generazionale è effettivamente avvenuto, non solo nei cinque stelle: hanno obbligato di fatto gli altri partiti a seguirli in questo.

lotta ai privilegi

Altro tema citato è la lotta ai privilegi della casta. E anche qui i successi sono sotto gli occhi di tutti, dal taglio dei vitalizi, alla riduzione dei parlamentari, ai tagli ai finanziamenti all’editoria. Su tutte queste cose si possono avere opinioni diverse, personalmente condivido alcuni dei dubbi, credo si sia esagerato un po’, ma è innegabile che ci fossero privilegi, inefficienze e incrostazioni che andavano per lo meno curate.

i temi ambientali

Su altri temi, soprattutto ambientali, hanno avuto meno successo. Su TAV, TAP, trivelle e termovalorizzatori sono riusciti a incidere meno. Per fortuna secondo me, perché le proposte erano irrealistiche e avrebbero distrutto senza proporre niente di concreto e funzionante come rimpiazzo.

reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza, cito ancora Morning, è stato il loro successo principale. Anche qui, penso sia stato implementato molto male e voterò per la sua abolizione al referendum proposto da Renzi. Ma il tema dell’aiuto a chi è in difficoltà era reale, e andava affrontato, come quello del lavoro. Eventuali revisioni di questa legge non potranno non tenerne conto.

Morning conclude questa riflessione dicendo che quella a cui stiamo assistendo oggi, la polverizzazione del Movimento, è dovuta al fatto di aver esaurito il loro compito storico e non essere stati capaci di inventarsene un altro.

democrazia diretta

Mi spiace che Francesco non abbia citato il tema che, personalmente, ritengo più centrale nella proposta dei 5S, il cambiamento delle forme del fare politica, del fare democrazia: la democrazia diretta.

Ho seguito il blog di Grillo praticamente da quando è nato. Ho anche votato M5S alla prima tornata e me ne sono immediatamente pentito quando ho visto la masnada di scimmie urlanti che avevamo eletto. Resto però convinto che il concetto in sé di democrazia diretta, non fosse sbagliato.

Oggi i progressi tecnologici permetterebbero di avere luoghi virtuali in cui ai cittadini sia permesso anzitutto di approfondire, poi discutere e infine deliberare sulle macro scelte. Il day by day, il decidere sulle questioni pratiche, va comunque gestito da qualcuno che faccia politica a tempo pieno. E questo qualcuno deve essere un professionista, non uno scappato di casa, deve aver avuto una formazione adeguata. Il limite ai due mandati è una cura da cavallo a un problema che merita soluzioni più intelligenti, quello di evitare gli incancrenimenti che un esercizio prolungato del potere inevitabilmente produce.

Ma la democrazia diretta è l’unico modo di far decidere ai cittadini

    • se sia meglio tassare di più i redditi da lavoro o quelli da capitale
    • se si debbano considerare i migranti una risorsa o un pericolo
    • se lo stato debba intervenire o meno sui temi etici: aborto, eutanasia, orientamento sessuale
    • se sia necessario liberalizzare o meno i taxi, le droghe e quali, o la prostituzione
    • se lo stato debba essere laico o finanziare enti e scuole religiose
    • che tipo di alleanze internazionali si voglia cercare e che visione geopolitica del mondo si voglia partecipare a costruire
    • che tipo di soluzioni ai problemi energetici sia meglio: spegniamo i condizionatori o finanziamo dittatori in giro per il mondo ?, non è una battuta
    • e decine di altri.

Il fatto è che, sicuramente con delle ragioni, abbiamo paura di far davvero decidere su queste cose alla gente (io stesso avrei delle remore).

E qui, secondo me si arriva al vero motivo per cui l’esperimento 5S è fallito. Prendiamola un po’ larga: chi sono i 5S ? Anzi, chi sono i partiti in generale ?

Anzitutto sono un’idea di fondo, un manifesto, una proposta. Poi un gruppo di persone che decidono di investire tempo, denaro, energie e passione lavorando perché questa idea di fondo sia presentata all’elettorato e infine gli elettori stessi che decidono se investire il loro quantum di potere su questa proposta.

Nel caso dei 5S il manifesto è stato inizialmente redatto da Beppe Grillo e poi rifinito sul sistema informatico messo a disposizione da Casaleggio. Il gruppo dirigente si è auto-organizzato intorno a questa piattaforma e per qualche strano motivo, che credo abbia sorpreso anche loro, hanno avuto un grande consenso elettorale. Dico che il motivo debba essere stato non ovvio perché chi ha votato 5S senza partecipare alla forma di democrazia diretta che veniva offerta non ha evidentemente capito per cosa votava. Il senso del movimento era essenzialmente lì.

I 5S, almeno inizialmente, non si sono proposti come l’ennesimo partito, un’altra delle numerose offerte politiche a scatola chiusa che vengono presentate agli elettori. Questa volta i contenuti potevi partecipare a metterceli. Ma pochissimi l’hanno fatto. Intorno alle 50000 persone hanno aderito alla piattaforma contro otto milioni di elettori nel 2013, e pochi degli aderenti hanno partecipato alle votazioni, e pochissimi hanno partecipato alla discussione o proposto contenuti.

È passata l’idea che la democrazia diretta fosse una forma di antipolitica. Di fatto l’antipolitica è stata la mancanza di partecipazione a questa embrionale forma di democrazia diretta. Quest’ultima è stata ridotta a barzelletta dal fatto di aver mandato in parlamento un branco di persone incapaci e piene di slogan, votati da pochissime persone (parlo dei voti sulla piattaforma). Il voto massiccio al Movimento rappresentava un grosso Vaffanculo alla casta, e forse non è poco, ma c’erano le premesse perché fosse molto di più.

maturità

Le cose avrebbero potuto andare diversamente. Provate a immaginare uno scenario di questo tipo:

    • Grillo pubblica le sue idee, lancia la proposta, crea, assieme a Casaleggio, la piattaforma su cui interagire
    • Tante persone, diciamo un quinto di chi ha votato 5S, si riconosce nella direzione della proposta e partecipa a raffinare l’idea, proporre ed eleggere i candidati

A questo punto i candidati non sarebbero stati il meno peggio degli scappati di casa, ma gente filtrata tra un insieme di persone molto ampio e votata da un insieme ancora più vasto. Avremmo potuto avere in quel movimento politici più adeguati.

Avendo questi eletti sperimentato sulla propria pelle che il metodo funzionava ci saremmo potuti aspettare che la prima proposta politica fosse di offrire a tutta la popolazione questo strumento di democrazia. Una piattaforma di interazione politica a livello nazionale, gestita dallo Stato, con identità digitale verificata e via dicendo.

Sarà per la prossima volta. Con un elettorato più maturo.

Preferireste perdere la libertà o la privacy ?

I dati del Covid19

Che i dati di diffusione del virus siano, a voler essere ottimisti, inutili è ormai sotto gli occhi di tutti. Basta dare un’occhiata ad articoli come questo per rendersi conto che i numeri forniti ogni giorno dalla Protezione Civile sono basati sul niente.

Se i tamponi non vengono fatti a tappeto su tutta la popolazione il dato relativo ai contagiati è un non senso (soprattutto in presenza di contagiati asintomatici). Inoltre le politiche di raccolta dei tamponi sono diverse da regione a regione come spiega molto bene il Post e questo rende il dato inutile anche solo per un confronto tra i vari territori. Se si aggiunge che queste politiche cambiano continuamente l’inutilità si estende alla dimensione temporale: non ha senso neanche un confronto tra i dati della stessa regione/provincia nell’arco di più giorni.

Fatte queste considerazioni avevo ingenuamente immaginato che si potesse avere un’idea di come si sta diffondendo il contagio prendendo il dato delle morti e moltiplicandolo per 100. L’idea era di prendere per buono il dato internazionale di mortalità dell’ 1% (vista la situazione sopra questo dato è probabilmente più affidabile). Per fare questo ci si scontra anzitutto col problema che il totale dei decessi è fornito solo per regione e non per province. Poi, riflettendoci tre secondi in più, ci si rende conto che sarebbe comunque una stima fatta su basi traballanti: non sappiamo quanti muoiono di Covid perchè la classificazione (morti per/con Covid19), di nuovo, è affidata alla discrezionalità dei vari operatori, come sottolinea anche l’articolo citato sopra del Post. Sarebbe pressochè equivalente a tirare i dadi.

Quindi mi chiedo: i nostri governanti in base a cosa prendono le loro decisioni ?

Facendo coda davanti al negozietto del paese e sui social vedo gente richiedere con veemenza l’intervento dell’esercito per far rispettare le restrizioni di movimento. Sento il nostro presidente del consiglio annunciare che ci attendono misure ancora più restrittive (mentre quelle attuali stanno già distruggendo la nostra economia). Il tutto senza che nessuno sappia cosa sta davvero succedendo?

Un’utopia

Non è privo di importanza il problema della disponibilità di queste informazioni. Immaginate per un attimo una situazione diversa:

  • Immaginate che non esista più il denaro contante, e che tutte le transazioni siano quindi tracciate. Immaginate che le informazioni relative a queste transazioni siano pubbliche, disponibili su qualche sito a chiunque voglia consultarle
  • Immaginate che siano anche disponibili i dati relativi alle registrazioni sulle celle telefoniche
  • Immaginate che siano anche pubblici dati delle anagrafi: nascite e, importante in questo caso, morti. E che siano aggiornati (oggi le statistiche sulla mortalità italiana sul sito Istat sono aggiornate al 2018)
  • Immaginate che siano anche pubblici i dati relativi ai tamponi Covid19 (o quelli della prossima pandemia).

Già solo con queste informazioni chiunque, con un minimo di skill informatico potrebbe rintracciare chi in questi giorni esce di casa senza fondati motivi, chi partecipa ad assembramenti, chi, magari positivo al tampone, ha avuto contatti con chi. Con queste informazioni i governanti potrebbero prendere decisioni fondate, magari allentando le misure nelle aree a minore rischio, lasciando in questo modo respirare l’economia. Con queste informazioni le forze dell’ordine potrebbero indurre i trasgressori a comportamenti più adeguati. Ma non ce ne sarebbe nemmeno bisogno: la semplice visibilità dei dati sarebbe un deterrente sufficiente. Con queste informazioni molti di noi eviterebbero di essere reclusi in casa, magari con l’esercito per le strade.

Preferite davvero la difesa della privacy ?

Oltretutto sapendo che quei benedetti dati vengono già raccolti. Qualcuno li ha, li legge, li compra e li vende in barba a qualsiasi legge che finisce solo per rendere ogni cosa più difficile, soffocando la società col peso di una burocrazia sempre più inutile.

Davvero preferite questo ?

O forse preferireste che quei dati fossero a disposizione dei governanti ma non di tutti ? Forse avete più paura che il vostro vicino scopra quanti soldi/debiti avete, o i vostri orientamenti sessuali o politici, che di una dittatura ?

In genere le persone a cui riconosciamo un potere (i politici, i VIP in generale) sono costrette a rinunciare al proprio privato. Salgono su un piedistallo per essere radiografati da tutti. Forse costruire democrazia significa diventare tutti più visibili, esercitare la nostra fettina di potere non si può fare di nascosto.

Muscoli, Cervello e Cuore

I muscoli

Votare credo sia una versione raffinata della guerra.

Photo by Valentin Salja on Unsplash

Anzichè scannarci di brutto ci contiamo, decidiamo che, più o meno, i più numerosi avrebbero vinto, ed evitiamo spargimenti di sangue ed energia fingendo che la guerra l’abbiano vinta gli uni o gli altri. Una bella conquista, dopo tutto.

Personalmente avrei preferito la soluzione Orazi e Curiazi. Spargimento di sangue vero, ma minimo. Qualità contro quantità. E poi lo spettacolo! Vuoi mettere col calcio? Ma tant’è, oggi il sangue ci fa orrore. I talk-show penso siano ispirati da quest’altra modalità. Purtroppo, in genere, si fermano alle invettive.

Comunque muscoli, sublimati o no. La politica di oggi è estremamente muscolare, e quando risolvi i problemi con la forza viene il dubbio, più che lecito, ovviamente, che l’oggetto del contendere siano interessi di parte e non idee, checchè poi se ne dica.

Il cervello

No, c’è di meglio.

Da grillino della prima ora (subito deluso, tengo a dire, dalla faccenda con Bersani, e ancora più deluso in seguito dalla pochezza e arroganza dei rappresentanti eletti) ho avuto modo di dare un’occhiata alla piattaforma Rousseau. Se ne son dette tante a riguardo, e penso che i sospetti di scarsa integrità e sicurezza fossero più che giustificati. Quello che ho notato, però, e che nessuno sottolinea, è il fatto che non si tratta semplicemente di un meccanismo digitale di supporto al voto. Gli stessi 5S ne stanno dando questa immagine, ricorrendo pubblicamente al verdetto dell’oracolo a fronte di ogni decisione che non hanno il coraggio di prendere. Ma Rousseau è, secondo me, principalmente un posto in cui le idee, le proposte, nascono, si mescolano, si raffinano, emergono. Su Rousseau ogni iscritto può presentare soluzioni che vengono lette, commentate e, infine sì, votate, ma l’importante è quello che è successo prima del voto.

Ho l’impressione che il PD stia pensando di replicare la parte muscolare e non cerebrale dell’idea. Le primarie in fondo sono questo: “scegli A o b” (notare la A maiuscola). Negli altri partiti encefalogramma piatto, direi, non credo che le varie sedi locali ospitino di meglio in termini di democrazia interna. Forse i Radicali sono un’eccezione, lì ci sono posti per dire la propria (ho l’impressione che in quei contesti si parli molto più di quanto si ascolti, ma è un’impressione dall’esterno).

Comunque questo è il cervello. La politica deve essere confronto di idee, dialogo, elaborazione, generazione di soluzioni possibili, soprattutto nel senso di abbastanza condivise. Il voto, alla fine, deve diventare quasi una formalità.

Il nostro ordinamento prevede, almeno sulla carta, questo bellissimo metodo di prendere le decisioni collettive. Eleggiamo dei rappresentanti che in parlamento, in teoria, sono chiamati a fare esattamente questo: fare proposte (a nome nostro), ascoltare le proposte degli altri, capire se ci sono punti di convergenza e creare leggi che rappresentino compromessi accettabili per gli elettori. Forse nelle commissioni parlamentari avviene davvero questo, non so. Ascoltando i lavori del parlamento su Radio Radicale l’impressione che ne ho ricavato è più disarmante: parlamentari che fanno i loro interventi più a beneficio dei media che dei loro colleghi, schieramenti preconfezionati su ogni tema, voto finale che ha inevitabilmente l’esito pre-deciso dalla maggioranza. Insomma, il dialogo non si vede, quel “Ah sì, in effetti, considerando questo, magari hai ragione tu”, quel “Oh, bella idea! Mette d’accordo tutti” non si vedono. Spero di sbagliarmi, almeno un po’.

Questo degrado è l’inevitabile conseguenza dell’esistenza dei partiti, diceva bene Simone Weil nel suo Appunti sulla soppressione dei partiti politici. L’opinione di bandiera è essenziale alla definizione stessa del partito. Noi siamo quelli che votano così. Spesso non è chiaro in anticipo cos’è quel “così”. L’unica cosa chiara è che le decisioni sono prese altrove, non in parlamento.

Potrebbe andare bene comunque, potremmo farcene una ragione. Siamo troppi: non è possibile un dialogo tra 50 milioni di persone, forse neanche tra 900 (600 adesso, ma il problema peggiora, direi, se questi rappresentano i pensieri dei 50 milioni). Quei 600 rappresentano idee troppo diverse per essere fuse, e soprattutto non hanno un collegamento serio all’indietro, verso la loro base, per avere un feedback sulla disponibilità dei 50 milioni ad accettare le nuove proposte. L’unico feedback esistente sono i media, e il risultato è un continuo buttare lì proposte e guardare le reazioni sui social, sui sondaggi. È la nostra nuova democrazia, facciamocene una ragione. E forse è meglio di niente.

Ma si potrebbe fare molto meglio. La tecnologia potrebbe aiutare di più. Non tanto per fornire piattaforme digitali di voto, quanto per fornire uno spazio di discussione che permetta a numeri sempre maggiori di persone di esprimersi, di manifestare i propri bisogni anzitutto (non servono particolari competenze per raccontare il proprio disagio) e anche le proprie proposte. Il contenitore, lo spazio per questo dialogo digitale potrebbero essere i partiti stessi, che dovrebbero dotarsi di forme di democrazia interna più al passo coi tempi (e, diciamocelo, con tutte le loro contraddizioni i 5S qualche passo in questo senso l’hanno fatto) o, io preferirei, un’arena globale in cui si discute di temi concreti e serve come base per conoscere/scegliere singoli rappresentanti non pre-coalizzati in partiti.

Se escludiamo la difesa di interessi di casta e di ideologie, entrambi fattori che considero deleteri e/o sorpassati, non c’è davvero più nessun motivo serio di esistenza di formazioni politiche. Sono solo il parto (e la premessa) di una politica muscolare e non intelligente.

Il cuore

Photo by Tim Marshall on Unsplash

Se questo era il cervello, mi piace pensare che ci sia anche un cuore. Il cervello, la razionalità, servono per condividere le proposte, per esprimerci e dialogare, raffinare. Le idee, quello che ognuno di noi porta in questo dialogo bisogna pescarle altrove, altrimenti questa elaborazione si riduce a ribadire i concetti già espressi da altri, si riduce a una serie di mi piace. Il cuore è individuale, non collettivo, le idee, anche quelle politiche, arrivano da un profondo non esprimibile a cui ognuno di noi è in grado di accedere. Un profondo che etichettiamo di volta in volta con termini come spiritualità, filosofia, arte, amore per la conoscenza, per la natura.

In definitiva, credo debba partire tutto da qui, dal cuore. Senza di questo il resto è un vuoto blaterare. E al cuore devono arrivarci tutti. Oggi relativamente poche persone, gli esperti, i saggi, sono in grado di partorire pensieri originali, un gruppo più ampio discrimina, veicola queste idee e la massa non può che subirle. Purtroppo il cuore, soprattutto l’amore per il cuore, non si insegna granchè a scuola. Siamo impregnati di razionalità, di ricerca dell’efficienza e nascondiamo i tesori alle nuove generazioni. Formiamo greggi di schiavi/consumatori e, in politica, li illudiamo di poter “condividere la sovranità”. Quello che abbiamo di fatto realizzato è un’elite che manovra eserciti di consensi, e ci accorgiamo che non funziona, che le leggi non sono che traballanti stampelle se l’humus che ha partorito le idee alla base di quelle leggi non è condiviso da tutti. Se no non lamentiamoci ci dover poi votare Lapo.

Two Days After

Ho ricevuto questo commento al post precedente dal mio amico Pino Gangemi, che ringrazio. Siccome è un commento piuttosto articolato, e credo meriti di essere letto, ne ho fatto un post.


Dissento e proverò a motivarne le ragioni con pacatezza, sulla falsariga di quanto hai scritto tu.

Il grande saggio

Mi sento anch’io in lutto, nel dopo voto, perché non mi piace affatto questa Italia che vota Lega perfino a Lampedusa e Riace o, più in generale, in tutto il Sud. Fino a qualche anno addietro, il “capitano” cantava canzoncine sui napoletani che “puzzano come cani” e invocava un intervento risolutivo del Vesuvio. Se è lecito cambiare idea, a me risulta insopportabile la troppo corta memoria dei miei conterranei che farebbero bene a rileggere lo statuto del partito ex padano che, però, non ha affatto ripudiato la secessione. Chi pagherà un prezzo molto alto se saranno approvate le nuove regole per l’autonomia regionale saranno proprio i meridionali, masochisti per scelta o per ignoranza.

Perché intristirsi delle reazioni di molti a causa del risultato delle elezioni, sia pure ampiamente prevedibile? Limitarsi alla sola curiosità e non evidenziare il proprio disagio mi sembrerebbe davvero bizzarro, come se potessimo asetticamente partecipare al contributo di nuova conoscenza che ne deriva, mettendo da parte ogni altro sentimento: un cicinin disumano, a mio parere. Il voto, semplificando, è davvero una gara, nel senso che determina vincitori e sconfitti nonostante i voli pindarici di molti politicanti che trionfano persino quando perdono. Esattamente come prevede la democrazia che assegna l’esercizio del potere ai primi e la facoltà di controllo ai secondi. Come non preoccuparsi ancor di più se il partito vittorioso persegue obiettivi e traduce in leggi dello Stato argomenti quali la “legittima difesa preventiva”, la “flat tax” che, se fosse davvero piatta, risulterebbe anticostituzionale, l’utilizzo della ruspa per eliminare i campi rom senza minimamente preoccuparsi di una qualche soluzione alternativa, l’interdizione a priori dei porti a qualunque nave che salva esseri umani? La netta vittoria di un partito il cui leader, capo del governo “de facto”, mira all’ulteriore aumento del nostro colossale debito pubblico e risponde “Chi se ne frega?” quando qualcuno gli fa notare il conseguente incremento dello spread dei nostri titoli di Stato?

Mi domando: chi stabilisce, a partire da una presunta saggezza collettiva, quali siano le idee migliori o le soluzioni più adatte? Un algoritmo che non è asettico poiché qualcuno l’ha implementato o lo implementerà seguendo criteri difficilmente verificabili e condivisibili?

L’ondata nera e la sicurezza

La paura di un ritorno del fascismo, in una forma storicamente diversa, non è solo legittima ma, addirittura, doverosa. Lo dobbiamo a quelli che il fascismo, o qualunque altro tipo di dittatura, ha ucciso, incarcerato, torturato, esiliato. La paura, se motivata e non indotta o fomentata da un ministro degli interni, è lo strumento indispensabile per intravedere un pericolo e, possibilmente, prevenirlo. Purché non degeneri in immotivata ossessione, naturalmente.

Restando nell’ambito della semplificazione economica “destra-sinistra”, non è affatto vero, purtroppo, che la ridistribuzione della ricchezza avvenga in modo automatico, anzi: la forbice della disuguaglianza si allarga sempre di più. Basta leggere il “Rapporto Oxfam” discusso a gennaio di quest’anno durante l’Economic Forum di Davos. Nel 2018, la ricchezza dei 3,8 miliardi di persone più povere della terra è diminuita dell’11% contro un incremento del 12% dei più ricchi. Una situazione analoga si registra in Italia, particolare trascurato anche dalla sinistra – o meglio, dal centro-sinistra – al governo nel nostro Paese negli ultimi anni. Ma quest’argomento, certo, riguarda più il capitalismo che il fascismo.

Ridurre a folklore le manifestazioni degli attuali gruppi neofascisti e, di contro, le “reazioni che suscitano sulle persone genericamente di sinistra” significa dimenticare cosa è accaduto in Italia non solo durante il ventennio ma anche a partire dalla strage di Piazza Fontana in poi, gli anni del terrorismo nero che è stato una concausa della nascita del terrorismo rosso. Personalmente non ritengo efficace partecipare alle proteste contro Casa Pound o Forza Nuova ma non mi sento affatto di giudicare coloro che lo fanno come persone animate da preconcetti e prive di un reale oggetto del contendere.

I migranti

Xenofobia, egoismo e paura immotivata non sono sufficienti per etichettare come fascista chi li prova ma costituiscono una buona base per avviarsi su quella strada. Il fenomeno della migrazione rappresenta un problema davvero enorme che l’Europa dovrà affrontare più seriamente di quanto non abbia fatto e non faccia. Davvero la soluzione è quella di Salvini e dei suoi amici di Visegrad che vogliono, semplicemente, impedire gli arrivi a tutti i costi? Le azioni messe in pratica dal ministro della paura, colpevolmente supportato dai 5S, non si sono limitate alla fantomatica chiusura dei porti ma hanno sistematicamente smantellato ogni simulacro di accoglienza. Negli ultimi anni in Germania sono arrivate milioni di persone mentre l’Italia non ha neppure firmato il “Global Migration Compact” dell’Onu, una semplice dichiarazione dei principi che dovrebbero regolare il flusso mondiale dei migranti. E, ancora: immaginiamo, per un momento, che nel nostro Paese scompaiano tutti gli extra comunitari irregolari ad oggi presenti e non ne arrivi più nemmeno uno. Si risolverebbero, per incanto, tutti i veri problemi degli italiani quali la disoccupazione, la criminalità organizzata, la corruzione, la decrescita economica, il debito pubblico, la burocrazia, le lungaggini della giustizia e … chi più ne ha più ne metta?

La difesa delle forze di polizia, sempre e comunque, come lavoratori che fanno il loro mestiere è molto “pasoliniana” e sarebbe anche del tutto legittima se non fossero mai accaduti, ad esempio, i fatti di Genova, della scuola Diaz e di Bolzaneto. In quei luoghi la violenza è venuta da una parte sola, pianificata e costruita ad arte come costruite ad arte e del tutto false erano le prove per giustificarla. Ammiro i non violenti ma non sono, e non aspiro ad essere, il Mahatma Gandhi.

Antifascisti

Il prefisso “anti”, nelle sue diverse accezioni, significa “contro”. Rispetto al fascismo, che sia solo propaganda ideologica o regime totalitario, non si può essere “non” ma decisamente “anti”. Sarebbe bastato un cicinin di “anti”, a partire dal primo dopoguerra fino alla marcia su Roma, per evitarci vent’anni di dittatura ed una seconda guerra mondiale. L’illuminata classe dirigente liberale dell’epoca ha considerato il fascismo, nonostante tutte le sue innumerevoli manifestazioni violente, poco più che un fenomeno temporaneo e, soprattutto, controllabile. Conosciamo bene le conseguenze e, se la Storia davvero insegna qualcosa, dovremmo aver imparato l’importanza, in certe occasioni, di essere “anti”. Questo non significa impedire ad una casa editrice di partecipare al Salone del Libro ma, se fossi stato costretto a scegliere – come è accaduto – tra Casa Pound e la partecipazione di Halina Birenbaum, una delle ultime sopravvissute alla Shoah, non avrei avuto dubbi. Non cerco affatto nemici “a priori” ma questo non significa che i “nemici” da cui stare in guardia non ci siano e che, nel caso, vadano combattuti.

Le alternative

La sinistra paga, ancora oggi, un suo difetto atavico e devastante: come in una religione, ogni partito, gruppo, persona che ne fa parte ritiene di possedere la sua propria verità. Quando, ovviamente, tali verità tutt’altro che oggettive, contrastano fra di loro, ci si massacra allegramente all’interno della sinistra stessa, dimenticando del tutto quali siano i veri avversari. Al momento lo stanno facendo i simpatizzanti del PD e quelli che, all’interno del M5S, si ritengono di sinistra. Trovare una sintesi è difficile, così come difficile è proporre soluzioni di problemi complessi che siano semplici e immediatamente comprensibili.

La riduzione dell’utilizzo del contante, ad esempio, è stata proposta in più occasioni, a partire da Bersani, e, pur essendo semplice e comprensibile, è stata accolta con scarso riscontro e scarsissimo entusiasmo. Considererei un passo avanti significativo se la sinistra riuscisse, finalmente, a formulare e mettere in pratica qualche concreta proposta per migliorare, almeno un poco, la vita dei meno abbienti. Istruzione e asili nido davvero gratuiti per tutti, ad esempio.

Insomma

All’interno del Movimento 5 stelle, per quanto mi sforzi, non riesco a vedere neppure un indizio di dialogo interno: al primo accenno di dissenso le espulsioni sono immediate come dimostrano i casi, ad esempio, di Pizzarotti e di De Falco. Mi è insopportabile che l’ultima parola sia stata sempre e comunque riservata a quel sovrano senza trono che è Beppe Grillo, il garante unico, indiscusso e indiscutibile. Possiamo considerare davvero come terreno di confronto l’incontrollabile piattaforma Rousseau sulla quale perfino la formulazione del quesito riguardo a Salvini e la nave Diciotti risultava quanto meno equivoca? È sintomo di reale dibattito interno affidare agli iscritti, con un voto on line, la conferma o meno di Di Maio come capo politico o, invece, è solo un rifuggire la propria responsabilità individuale di fronte ad una catastrofe elettorale? Il PD ha molti difetti ma ritengo le primarie e lo svolgimento di un regolare congresso un “minimo sindacale” che va comunque difeso e preservato.

Ad una seria riflessione autocritica dovrà seguire la ricostruzione di un’alternativa credibile. Un’impresa non da poco e che, nei fatti, non potrà che passare da nuove elezioni e da un periodo in cui le carte le avrà probabilmente in mano il centro-destra o, addirittura, la destra-destra. Sempre che non ci si scatafasci prima, a causa della situazione economica e dell’aria che tira. Speruma bin …

Deve comandare lui o noi ?

Mi è venuta voglia di parlare di Dittatura e Democrazia dopo aver visto alcuni dei commenti alla favola di “Anna, Marco e Raffaello”. Mi sembra di aver inavvertitamente toccato il nervo scoperto della voglia di dittatura che coviamo un po’ tutti. Riflettendoci, poi, credo che questo tema possa far parte a pieno titolo del discorso sul contrasto tra Evoluzione e Cultura, insomma è uno dei punti focali della nostra esistenza.

Il mio nemico non ha divisa
Ama le armi ma non le usa
Nella fondina tiene le carte visa
E quando uccide non chiede scusa
Il mio nemico non ha nome
Non ha nemmeno religione
E il potere non lo logora
Il potere non lo logora
Il mio nemico mi somiglia
È come me
Lui ama la famiglia
E per questo piglia più di ciò che da
E non sbaglierà
Ma se sbaglia un altro pagherà
E il potere non lo logora
Il potere non lo logora

Daniele Silvestri (Il mio nemico)

Photo by Felix Mittermeier on Unsplash

Il Re.

Decisamente l’esistenza, nei vari gruppi di persone in cui da sempre si è strutturata l’umanità, di un regnante, di una persona che prende decisioni per tutti è un meccanismo evolutivo. L’Evoluzione aveva bisogno di raggiungere due obiettivi apparentemente contrastanti:

  • selezionare i geni migliori.
  • assicurarsi che il maggior numero possibile di individui della specie sopravviva.

Se avesse puntato solo sul primo obiettivo, il maschio alfa di ogni gruppo avrebbe potuto semplicemente sterminare i concorrenti maschi, perpetuando la specie attraverso le femmine rimaste. Questo modello ovviamente non avrebbe mai funzionato: il gruppo sarebbe restato indifeso da attacchi di predatori animali o umani, sarebbe mancato il sostentamento, e in definitiva, i figli stessi del maschio alfa sarebbero presto diventati i suoi concorrenti.

L’unico modello che l’evoluzione lasciava aperto era che i competitors del re sopravvivessero (diventando tra l’altro anche dei backup in caso di morte del primo), e restassero subordinati a lui, sotto il profilo riproduttivo, ma anche sotto quello decisionale. L’Evoluzione operava anche selezionando i vari gruppi, per cui la bontà delle decisioni del re veniva premiata con la sopravvivenza del suo gruppo rispetto agli altri.

Ma come fa il maschio alfa a dominare gli altri ? Forse non è una domanda così banale. La prima risposta che viene in mente è “li mena”. Ed è vero: la brutalità fisica è la sua arma, ma il sottomettersi degli altri è legato ad altro. E’ un calcolo. Ed è anch’esso un meccanismo evolutivo. Gli animali e gli esseri umani non passano il loro tempo a farsi guerra, se non in casi eccezionali: hanno un meccanismo di simulazione per cui capiscono in anticipo come andrebbe a finire un eventuale scontro e si comportano di conseguenza. Orazi e Curiazi all the way insomma. Quindi i sudditi si assoggettano volontariamente perché hanno precalcolato che in un eventuale scontro col capo soccomberebbero.

Il popolo

A questo punto la domanda sorge spontanea: “Ok, il singolo suddito soccomberebbe alla lotta col capo, ma se lo affrontassero tutti insieme, il calcolo darebbe sicuramente per perdente il boss. Perché non succede ?”.

Beh, per succedere succede. Magari non frequentemente, ma le rivoluzioni accadono. In genere, però, accadono quando il popolo è portato all’esasperazione. Finché il governante riesce a mantenere una forma di benessere anche moderato per i sudditi, o finché il suo Divide et imperat funziona, è difficile che il popolo si ribelli.

Quello che ostacola questa ribellione, secondo me, è la difficoltà, per i sudditi, di immaginarsi un ordine diverso da quello gerarchico. Se la presa del potere da parte del popolo si traduce in una nuova dittatura (come normalmente succede) dove sta il guadagno? E se non è un nuovo singolo a prendere le redini cosa succede ? Come viene regolato il nostro stare insieme ?

Il fatto è che non abbiamo meccanismi evolutivi che ci guidino nella realizzazione di questo nuovo tipo di organizzazione. La Democrazia è davvero un faticoso frutto della Cultura, di quel qualcosa che stiamo creando in sostituzione dei meccanismi evolutivi. E siamo ben lontani dall’averla realizzata la Democrazia, i problemi sono tanti. Ma andiamo con ordine: vediamo prima di capire di cosa stiamo parlando.

Giochi

Conoscete il Dilemma del prigioniero ? E’ un gioco in cui viene simulata la situazione di due carcerati, che si suppone abbiano compiuto un crimine insieme. I due vengono tenuti separati, non possono quindi mettersi d’accordo, e a ciascuno viene proposto di confessare (inguaiando in tal modo il compagno) con le seguenti regole:

  • Se uno dei due confessa e l’altro no, il primo esce subito e all’altro vengono dati 7 anni.
  • Se tutti e due confessano si beccano 6 anni ciascuno.
  • Se nessuno dei due confessa escono entrambi dopo 1 anno.

La soluzione razionale, dal punto di vista del singolo, è di confessare, e il risultato normale è quello tutto sommato non ottimale in cui entrambi stanno sei anni in carcere.

La soluzione migliore, se consideriamo la coppia nel suo insieme, è che nessuno dei due confessi, ma questo richiede una grande fiducia nell’altro. La costruzione della democrazia, secondo me, passa dalla capacità di un gruppo di vincere a questo gioco.

Ma mettiamo altra carne al fuoco: il gioco dell’ultimatum. A due persone viene data una somma di 100 euro da dividersi con le seguenti regole:

  • A fa una proposta di divisione (ad esempio “Mi tengo 60 euro e ne do 40 a te”)
  • Se B accetta si dividono i soldi come proposto da A
  • Se B non accetta nessuno prende niente.

E’ chiaro che se B reagisse solo razionalmente accetterebbe qualsiasi cifra superiore a 0. Sapendo questo la proposta più ovvia per A sarebbe “Ti do 0.1 e mi tengo 99.9”. Sembra invece che il risultato sia spesso che offerte minori del 30% vengono rifiutate, qualcuno spiega la cosa dicendo che consideriamo l’equità un obiettivo più importante del guadagno, secondo me è solo il nostro senso del derby: la cosa importante è misurarsi con l’altro e uscirne vincenti, perdere molto tutti e due è meno peggio del caso in cui io perda poco ma l’altro guadagni molto.

Gossip

Leggevo tempo fa, credo in un libro che ho già citato in questo blog “The Happiness Hypothesis”, che tra le ipotesi sul perché la specie umana abbia sviluppato un linguaggio così sofisticato c’è quella che servisse uno strumento per fare gossip. Oggi la predisposizione a fare o ascoltare pettegolezzi è considerata un tratto deteriore di una persona, almeno tra le persone che frequento, e almeno a parole, ma ha avuto una funzione importante nel progresso dell’umanità. E continua ad averla, magari in altre forme, come la reputazione dei profili sui social networks.

Il pettegolezzo serve a costruire una reputazione. La reputazione è la base della possibilità di cooperazione. Se decidiamo di mettere insieme il raccolto di un gruppo di famiglie o le catture di un gruppo di cacciatori o pescatori e dividerle equamente come forma assicurativa contro i momenti meno fortunati di qualcuno, è importante assicurarsi che tutti collaborino davvero. Se uno non lavora, perché tanto la pappa è assicurata dal lavoro degli altri, il gossip lo smaschera. La reputazione permette di estendere il gruppo: possiamo fare affari con persone che personalmente non conosciamo perchè la loro reputazione fa da garanzia.

La reputazione è quello che permette ad un gruppo di ottenere la soluzione migliore al dilemma del prigioniero. Letteralmente: il senso dell’onore, il non essere additato come spia, sono le forze che fanno si che una persona faccia la scelta meno individualmente razionale in quel gioco: rischio di farmi 7 anni di carcere e lasciare l’altro libero perché so che il gruppo fuori me la farebbe pagare se facessi una scelta diversa, e il sapere che anche l’altro è sotto lo stesso tipo di pressione facilita questa scelta.

Ma funziona anche fuori dagli ambienti malavitosi: negli stati un po’ più avanti di noi, credo, sulla strada della democrazia, atteggiamenti come non pagare le tasse, sporcare o rovinare beni pubblici, non riciclare, in alcuni casi anche usare l’auto quando una bici sarebbe sufficiente, sono viste come riprovevoli e sono oggetto di sanzione sociale. Il vicino non ti saluta più, nessuno ti presta qualcosa, nessuno vuol fare affari con te, se hai un negozio chiudi e i tuoi figli hanno vita difficile a scuola. E questo funziona: anche qui il dilemma del prigioniero viene tendenzialmente vinto dal gruppo: le tasse le pagano tutti e quindi ognuno deve pagare meno, i beni pubblici e le strade sono funzionanti e puliti, la corruzione è molto minore e via dicendo.

Ccà nisciuno è fesso

Nei paesi come il nostro, che, credo, sono un po’ più indietro su questa strada, il pensiero dominante è d’altro tipo: il singolo che riesce a farla franca e, ad esempio, a non pagare le tasse o a far funzionare bene la propria azienda grazie alla corruzione dei politici è visto come un furbo, come un eroe che ce l’ha fatta contro lo stato tiranno.

Forse c’è anche del buono in questo: magari è un retaggio di situazioni diverse, in cui questo atteggiamento aveva più senso. Sotto una monarchia assoluta e tirannica, che depreda il popolo per mantenere la corte negli agi sfrenati, non pagare le tasse è davvero eroismo: è una sfida al tiranno, un modo di riequilibrare una situazione inefficace per il gruppo. In questo caso il gossip è giustamente premiante.

Questo atteggiamento riportato in una società democratica ci dice semplicemente che molte persone non la ritengono tale: “la politica è una cosa sporca”, chi fa politica è lì per nutrire il proprio interesse, è la nuova corte che ingrassa a spese dei poveracci. E il bello è che, almeno in parte, è vero.

In fondo è di nuovo un dilemma del prigioniero tra l’elettore e l’eletto: pago le tasse perché mi fido che una volta al potere non ruberai, gestirai al meglio le cose e alla fine io pagherò meno tasse e avrò più servizi o non mi fido, non le pago, accetto che il paese vada sempre più a ramengo, ma almeno io mi faccio tre amanti e uno yacht (tanto so che te li fai anche tu).

Il primo che ha comprato il telefono

Ma non vogliamo parlare di quello che non confessa mentre l’altro sì, e finisce per prendersi i 7 anni mentre il complice va via libero ?

In fondo è lui il vero eroe.

E’ come il primo che ha comprato il telefono: sapeva di non poter parlare con nessuno, ma se l’è comprato e l’ha tenuto lì, aspettando che qualcun altro facesse la stessa scelta, inizialmente, idiota, rischiando tra l’altro che nessuno lo seguisse nella pazzia.

Ci sono persone che fanno queste cose, persone irrazionali che si comportano come se il mondo fosse già migliore. Queste persone lo costruiscono il mondo migliore. Ogni volta che uno si becca i 7 anni sta piantando un seme nel gruppo fuori, il gossip lo farà crescere. Più pazzi di questo tipo ci saranno, più rapidamente si creerà una cultura di gruppo che indirizzerà anche la razionalità dei più pavidi a scelte più intelligenti dal punto di vista del gruppo.

L’alveare

Dicevamo, la Democrazia è una strada in salita, è la costruzione di questa pressione psicologica che premia atteggiamenti virtuosi.

Ho citato il non buttare la carta per terra, ma credo che gli atteggiamenti virtuosi più importanti riguardino la partecipazione, l’interessarsi alla cosa comune, a come viene gestita. Guardare da vicino cosa fa chi ci governa e guardare con occhio sereno a chi propone scelte diverse da quelle che ci piacciono, senza partiti presi perché nessuno ha la sfera di cristallo, e perché quello a cui stiamo giocando non è il gioco dell’ultimatum ma il dilemma del prigioniero.

Il tutto con un pizzico di ottimismo e quel pizzico di pazzia che ci permette di essere, almeno ogni tanto, eroi.

Anna, Marco e Raffaello

Sono primo io e sono l’ultimo

Sono primo io e sono l’ultimo

È un fatto tipico

Del gioco ciclico del ritmo mantrico

Perciò

Parole su parole

Su milioni di parole

Come cellule si scontrano

Si moltiplicano

Conto quanto kunta kinte

E in quanto kunta kinte canto

(Daniele Silvestri – Kunta Kinte)

“Ciao, io sono Enzo, benvenuti.”

“Anna, ciao”

“Io sono Marco, buon giorno.”

“Venite, vi faccio strada. Avete finito tutto con Carla ?”. Annuiscono.

“Quindi da oggi siete ufficialmente parte di Raffaello!, complimenti, c’è una discreta concorrenza ormai.”

“Sì, nel mio corso si sarebbero volentieri fatti assumere tutti. Sorprende un po’ visto che qui la paga è così bassa. Senti, abbiamo capito di essere stati selezionati, e ne siamo contenti, ma in base a quali criteri non è stato molto chiaro …”

“Ora capirete tutto, quanto alla paga vedrai che guadagnerete molto più dei vostri colleghi in altre aziende.”

“Ma, ci hanno detto che avremo il minimo sindacale per la categoria …”

“Sì, ma quella è la parte di stipendio che percepisci se non fai niente.”

“Si può non fare niente ?”

“Certo!, anzi, per qualche tempo è anche consigliato. Alla lunga poi uno deve rendersi utile, se no ti licenziano, ma vedrai che avrete più voglia di darvi da fare che di impigrirvi: è un ambiente molto coinvolgente.”

“Ecco, siamo arrivati, ho prenotato la sala 37, è una delle sale jolly. In questi giorni, se decidete di venire in ufficio potete sistemarvi qui, è prenotata per voi per tutta la settimana, poi avrete imparato a destreggiarvi. Io comunque sono a vostra disposizione per qualsiasi cosa, io e Carla siamo i vostri mentor, lei si occupa un po’ più della parte organizzativa io un po’ più di quella tecnica, ma per la maggior parte delle cose potete chiedere indifferentemente a me o a lei.”

“Scusa, hai detto -se decidete di venire in ufficio- ?”

“Sì, molti trovano più confortevole lavorare da casa, soprattutto chi abita lontano. Molti, comunque, vengono a lavorare qui perchè abbiamo creato davvero un bell’ambiente.”

“Sì, ho visto, tutti questi fiori, è bellissimo”

“Oh, beh, non solo quello: io apprezzo molto la caffetteria. Poi abbiamo una piccola palestra, una bella piscina, una sala per la meditazione, bellissime sale per lavorare, laboratori di ogni tipo …”

“Non ci sono uffici chiusi ?”

“Ce n’è qualcuno, ma non sono mai nominativi, bisogna prenotarli, come le sale, e in genere ci piace stare a contatto con gli altri.”

“Allora, questi sono i vostri notebook e smartphone, questi sono i tuoi Marco credo .. sì, sono i tuoi e quelli allora i tuoi Anna. Cominciate ad accenderli, qui ci sono le vostre credenziali, poi ve li configurate come volete. Ecco, questi sono i token per l’accesso alla rete aziendale. Accedendo al wifi della sala siete collegati a internet, come se foste a casa, alle applicazioni della rete di Raffaello si accede con il numerello del token e le credenziali che vi ho dato. Per questo, dicevo, lavorare da qui o da casa è esattamente uguale, d’altra parte non ci sono orari né lavorando da casa né in sede. Pensate che abbiamo assunto persone, soprattutto in altre nazioni che non sono mai state in una sede dell’azienda. Ah, riguardo alla selezione, buona parte della decisione viene presa in base alla vostra presenza online: progetti open-source in particolare, ma anche blog e altre iniziative, abbiamo valutato il modo in cui interagite con gli altri in particolare. Tornando alla sede, ovviamente se vi scegliete un lavoro per cui è necessario usare attrezzature che sono qui dovrete venirci.”

“Ci scegliamo noi il lavoro ?”

“Sì, non lo sapevate ? E’ uno …”

“Io lo sapevo, l’avevo letto”

“Sa sempre tutto lei ..”

“Va beh, non c’è niente di male a non saperlo, comunque è uno dei punti fondamentali del nostro modo di lavorare. Riteniamo che se uno decide lui cosa fare sceglierà molto meglio di quanto farebbe un manager al posto suo: sceglierà un lavoro che gli interessa e quindi sarà più motivato, misurerà le proprie capacità in modo da darsi compiti alla sua portata, visto che verrà pagato solo in base ai risultati”.

“Ma il responsabile del progetto saprà meglio di chiunque altro cosa è necessario fare …”

“Saprà quello che farebbe lui, i dipendenti, nelle organizzazioni gerarchiche tradizionali sono braccia aggiuntive per una sola testa. La nostra scommessa qui è stata che le teste aggiuntive fossero una risorsa quanto e più delle braccia. Tu potrai conoscere meno il progetto, ma magari sei esperto in qualche campo che entra in sinergia col progetto in modi inaspettati, la maggior parte delle innovazioni sono frutto di cross-impollinazione, la gerarchia è garanzia di inaridimento.”

“Ma io posso sbagliare a valutare le mie competenze, magari perdo tempo o ne faccio perdere.”

“Sono rischi che siamo preparati a correre, ma tieni conto che il journal di progetto aiuta molto, perché i nuovi arrivati hanno a disposizione la storia delle scelte fatte, dei tentativi falliti etc., e poi considera che il fatto di essere tutti pagati in base al successo del progetto focalizza molto e aumenta la collaborazione, nessuno è mai solo nel fare una scelta.”

“Sì, ma non succede che ci siano lavori che tutti vogliono fare e altri che non vuole fare nessuno ?”

“Certo che succede. Per questo assegnamo un valore ai vari task: le cose che vogliono fare tutti saranno pagate molto meno, in modo da invogliare chi vuole monetizzare a dedicarsi ai problemi meno frequentati.”

“Ma chi è che assegna questi valori ? Ci sono dei manager quindi ?”

“No, non ci sono manager, i valori sono calcolati da un meccanismo in parte automatizzato, ma con la supervisione di un team che si occupa del meccanismo tenendo conto anche dell’andamento dei progetti, del costo totale del prodotto verso i clienti, dei costi fissi etc.”

“Ma chi decide la composizione di questo team?”

“Nessuno. Puoi farne parte anche tu, se ritieni di essere adatta a quel mestiere, anzi puoi iniziare anche da subito, apri Confluence.”

“Cosa ?”

“Guarda, se vai al sito intranet, è preimpostato vedi ? Accedi con le tue credenziali e vedi le varie applicazioni, la più importante è Confluence, è un enterprise-wiki, sapete cosa significa ?”

Sia Anna che Marco guardano nel vuoto.

“Avete presente wikipedia ? E’ un posto in cui ogni utente può dare il proprio contributo creando nuove pagine, le voci dell’enciclopedia, o migliorando quelle esistenti. Il wiki è questa tecnologia di base che permette di creare un sito web modificabile dagli utenti. Per noi è un grosso foglio attorno al quale è seduta tutta l’azienda. Salvo alcune parti che devono essere riservate per le esigenze di certi progetti o clienti ogni dipendente può vedere tutto quello che c’è sul foglio.”

“E cosa ci scrivete ?”

“Anzitutto ognuno di noi è incoraggiato, eufemismo: se non lo fai non ti pagano, a tenere aggiornate una pagina di presentazione personale e un journal. Nella prima ognuno scrive chi è, cosa sa fare, cosa gli piace, insomma tutto quello che può servire a facilitare la sua collaborazione con altri. Nel journal, sulla base di periodi che uno si sceglie, all’inizio di un periodo scrive cosa si propone di fare in quella fase e alla fine tira le somme sul come è andata. C’è chi lo mantiene giornalmente, chi settimanalmente o mensilmente, di più è sconsigliato, altro eufemismo. Vale per qualsiasi cosa tu faccia nel periodo: sia che studi, che partecipi a un progetto che altro.

Inoltre i vari stakeholders manutengono due di queste pagine per ogni progetto e ogni meccanismo interno, compreso il Task Prizing Team, che è il nome del team di cui dicevamo. Se vai nella pagina di questo team trovi documentazione sui criteri che stanno adottando correntemente e puoi cominciare a farti un’idea. Tengono, come tutti i progetti una lista dei sotto task da completare, se la sfogli e trovi qualcosa che sai già fare puoi cominciare a dargli una mano (i sotto task hanno assegnato il loro valore 😀) altrimenti scoprirai che tipo di formazione ti serve per entrare nel giro.”

“Ma questo foglio comune non crea problemi di sicurezza, non ci sono informazioni che devono essere ristrette a pochi ?”

“Ci sono, e, come ho detto, Confluence è attrezzato per gestire delle access list, ma tendiamo a minimizzare la necessità di usarle. Vedi la maggior parte del software che produciamo è open-source, è per definizione visibile a chiunque”

“Ma di cosa vive l’azienda ?”

“Noi vendiamo sistemi completi e servizi. L’open-source è la nostra vetrina, è dove dimostriamo di avere ottime conoscenze nei campi in cui operiamo, e i clienti ci pagano per spendere questa conoscenza nei servizi che offriamo loro: il software è a disposizione di tutti, ma pochi lo conoscono bene come noi e questo ci mette in una posizione di vantaggio commerciale.”

“Quindi è tutto qui ? Uno si cerca lavori e viene pagato a progetto ?”

“Se fosse solo questo già non sarebbe male, ma non è tutto qui. Quello che cerchiamo di promuovere è un vero spirito imprenditoriale. I soldi che guadagni puoi prenderteli o reinvestirli nell’azienda stessa, se decidi di farlo, anche in parte, puoi decidere di finanziare dei progetti tuoi, o creati assieme ad altri, pagare il lavoro di tuoi colleghi per farli lavorare ai tuoi progetti etc … Sui progetti di cui sei finanziatore hai una bella fetta dell’eventuale guadagno, anche qui la percentuale reale è decisa da meccanismi complessi, in continuo adattamento e comunque sempre trasparenti. Quello che cerchiamo di evitare sono le rendite di posizione, se uno è stato bravo per un periodo non guadagnerà per sempre di più per questo motivo, anche se cerchiamo di creare un po’ di isteresi per non essere troppo ossessionati dall’efficienza.”

“Ma, quindi, non succede mai che qualcuno decida di non fare niente e accontentarsi della paga minima ?”

“Finora non è mai successo. Ci sono due meccanismi che tendono ad evitarlo: uno è punitivo: abbiamo tutti firmato un accordo per cui dopo un periodo di due anni in cui si guadagni in media meno del doppio della paga base veniamo automaticamente licenziati, l’altro è proattivo: i vostri mentori, io e Carla in questo caso, hanno tutto l’interesse a farsi in quattro perché voi vi inseriate a pieno nel giro: il cinque per cento dei vostri guadagni dei primi due anni va a loro”

“Come i navigator di Di Maio !”

“Esatto, solo che qui funzionano”

“Ma come siete riusciti a creare questo ? I dirigenti dove sono finiti ? E’ nata così questa azienda ?”

“Non è nata così: è nata in un momento in cui eravamo con le spalle al muro. L’azienda stava fallendo e avevamo pochi mesi prima che chiudesse. Ma ci rendevamo conto che all’interno avevamo grandi professionalità, sia tecniche che commerciali e qualcuno ha proposto un buy-out dei dipendenti per sfruttarle. Girava questa proposta organizzativa ed è sembrato il modo migliore di stimolare chi era capace a darsi da fare e rimettere a galla la baracca, a quel punto si è visto che funzionava e il resto è venuto da sé. I dirigenti non sono affatto spariti: hanno accettato una paga minimale e rinunciato a tutti i benefit e al ruolo decisionale, ma si sono rimessi in gioco. Chi aveva delle capacità guadagna ben più di prima perché la torta è più grande e viene decisamente premiato il merito.

Bene ! potete passare il resto della mattinata a leggere sul wiki, così cominciate a farvi un’idea. Vengo a prendervi per pranzo così vedete la nostra meravigliosa caffetteria. E vi faccio conoscere Rocco, il cuoco, prepara delle cose stupende.”

“E’ un dipendente ?”

“Ovvio !, probabilmente è quello che guadagna di più in sede. Pensate che nella ditta originale era all’ufficio acquisti ! Si era stufato di quel lavoro e ha deciso di rigiocarsi quest’altra competenza.

Posso lasciarvi, avete ancora dubbi ?”

“Solo uno. Una curiosità. Il logo dell’azienda è strano, cosa significa ?”

“Non ridete: è una stilizzazione delle tartarughe Ninja”

“Daaai, perché ?”

“Non vogliamo pubblicizzare troppo la cosa perché è un riferimento culturale un po’ terra terra, ma ci era piaciuto: sembrava conciliare l’eccellenza individuale con lo spirito di gruppo, che è in fondo l’idea di lavoro che portiamo avanti.

Buon lavoro ragazzi, buona prima mattinata e benvenuti in Raffaello.”